Calcio
02 Maggio 2025

Calcio Padova, la vittoria della volontà

Una stagione come un dramma shakespeariano, ma a lieto fine.

“Noi pochi, noi felici pochi, noi manipolo di fratelli! Poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello: e per quanto sarà di umili origini, in questo giorno si farà nobile la sua condizione”.

Shakespeare sceglie queste parole per la risposta che Enrico V, nell’omonimo dramma teatrale, oppone ai dubbi che il cugino Westmoreland solleva prima della battaglia di Azincourt. Enrico sa bene che la gloria, quando si è grandemente inferiori di numero ai nemici, ha più valore. La sera seguente migliaia di francesi giacciono esanimi trafitti dai dardi scoccati dai precisi arcieri inglesi, che festeggiano ebbri di vino e birra accanto ai cadaveri. I vessilli con la croce di San Giorgio sventolano ben piantati sul terreno dell’Alta Francia.

Seicentodieci anni dopo, a Padova, quelle stesse bandiere sono avvolte nelle loro aste, esitanti. Sta per iniziare la stagione 2024-2025 del Calcio Padova, e tira una pessima aria. Inizia la ventunesima stagione in terza serie delle ultime trenta. La diciottesima delle ultime venticinque. La trentaseiesima delle ultime cinquantacinque. Dopo due finali playoff perse in quattro stagioni l’ultima beffa è stata confezionata dall’odiato Vicenza, che però non ha saputo capitalizzare al massimo lo slancio preso eliminando il Padova.


Proprio i berici sono i grandi favoriti per la vittoria del campionato assieme a Triestina e Feralpisalò. I biancoscudati, dopo gli infruttuosi esborsi degli ultimi anni, optano per il risparmio. Il mercato estivo è quasi nullo, ma arriva il generoso attaccante Spagnoli, reduce da due ottime annate ad Ancona; e torna il ventunenne portiere Fortin, prodotto del vivaio padovano e figlio di Marco, iconico portiere della Serie A di inizio duemila. Ma soprattutto si siede in panchina Matteo Andreoletti, classe ’89, vivaio Atalanta (con relativa impostazione lavorativa e morale), una carriera da portiere abbandonata in giovanissima età per una carriera in panchina.

I toni del neo mister biancoscudato non si discostano troppo da quelli di Enrico V. Perché il clima è da tutti contro tutti. La stampa, da sempre pungente ai limiti dell’offensivo a queste latitudini, il più delle volte per pure ripicche personali verso questo o quel dirigente, ha nel mirino l’intera società, ma in modo speciale il ds Massimiliano Mirabelli, reo di non essersi dimesso dopo l’ennesima mancata promozione. La stampa locale è sempre un’ottima cartina di tornasole della categoria di una piazza, e, consentitecelo, una grossa fetta dell’informazione sportiva padovana sarebbe più affine alla Serie D.

Un Massimiliano Allegri d’annata, da giocatore, contro la stampa padovana

E poi la decisione della tifoseria organizzata di disertare l’immondo stadio Euganeo, in polemica con la gestione dell’impianto da parte del Comune e anche per contestare l’austerità economica e la freddezza societaria. Sulla faccenda stadio torneremo dopo. La scelta della diserzione è stata drastica, e sulla sua opportunità il dibattito è lecito. Molti hanno aderito, c’è anche chi avrebbe preferito azioni mirate contro i reali protagonisti dello sfascio del calcio padovano. Va comunque riconosciuta una grande coerenza, dato che nemmeno gli ottimi risultati della squadra hanno portato a ripensamenti.

Alla prima di campionato ci sono 1614 spettatori. Il Padova inizia un’importante striscia di vittorie, vincendo e convincendo.

La vittoria contro il Vicenza all’ottava giornata impone riconsiderazioni. Fortin vola tra i pali, dimostrandosi il miglior prospetto nel ruolo dell’intera Serie C. Para i pochi tiri concessi agli avversari da una difesa guidata magistralmente dagli stakanovisti Delli Carri e Perrotta. A centrocampo, Fusi interdice il gioco avversario con la feroce grinta che lo ha reso da subito un beniamino del pubblico padovano, proponendosi spesso in avanti e contribuendo, tra gol e assist, a nove marcature. Accanto a lui, Lorenzo Crisetig smista palloni con calma e dedizione da autentico friulano.


Un mistero come il centrale delle Valli del Natisone sia finito in C, assai più facile comprendere la sua importanza nell’abbandonare tale categoria, sia per l’aiuto in campo sia per il ruolo dentro lo spogliatoio. Decisivo anche il contributo dell’ecuadoriano Varas, un jolly che tra gol e assist contribuirà a nove reti. Davanti, Bortolussi e Spagnoli si contendono la titolarità come punte centrali. Spagnoli, generoso quanto intelligente, si rivela di capitale importanza nel gioco della squadra, segnando anche reti decisive, ma è l’anno di Bortolussi. La punta anconetana chiuderà con 16 reti, eguagliando il suo massimo storico.

Il girone d’andata è una marcia trionfale. Il pubblico all’Euganeo, seppur in costante aumento, continua a latitare.

Un peccato per quello che, dati alla mano, è il miglior Padova di sempre. A gennaio i punti di distacco sul Vicenza sono 10. Mirabelli rinforza la squadra con Buonaiuto, acquisto che sarà di importanza capitale. A fine mese, in occasione del 115esimo anniversario della fondazione del club, il reparto marketing della società fa un regalo enorme a chiunque abbia a cuore il biancoscudo: una maglia mozzafiato in omaggio alla primissima divisa del Padova. I 115 esemplari vanno a ruba in neanche un’ora, segnalando la fame di calcio della piazza padovana.

Una maglia stupenda, realizzata da Macron / Foto sito ufficiale del Calcio Padova

Eppure chi conosce il Padova sa che nulla è scontato. Che la sofferenza è la cifra distintiva di questa schizofrenica società. Il primo febbraio arriva un’immeritata sconfitta sul campo della sempre ostica Virtus Verona di Gigi Fresco. Sommata ai pareggi contro Arzignano e Pro Vercelli vuol dire che il Padova ha lasciato sette punti in un mese. Andreoletti in conferenza stampa, però, getta coraggiosamente la maschera: «se giochiamo così questo campionato lo vinciamo». Alla 27esima si va a Vicenza. “Nel cuore una città”, recita la coreografia biancoscudata.

Il gol al 94esimo di Spagnoli, per il pari finale, mantiene il primato. Ma qualcosa si sta logorando.

Due giornate dopo arriva la beffa di Salò, una rete dei lombardi al 97esimo che compensa in negativo il punto di Vicenza. Due domeniche dopo a Renate un’altra sconfitta. La piazza inizia a mugugnare. Con la Pergolettese all’Euganeo si sfiora il dramma. All’intervallo il Padova è sotto e il sorpasso berico è un’amara realtà. Ci pensa Buonaiuto a risolvere le cose in extremis. Il vantaggio è salvo, ma dura poco. La domenica dopo il Padova perde male a Novara, con tanto di rigore scippato al rigorista designato Bortolussi e sbagliato dal funambolo Liguori.

È l’anticipazione dell’inevitabile: a Bergamo alla 33esima l’incornata di Vlahovic allo scadere fa scivolare il Padova al secondo posto per la prima volta dall’inizio della stagione, a quattro giornate dal termine. Si scatena un prevedibile pandemonio. Stampa (nella sua quasi totalità) e tifoseria (in una parte minoritaria ma rumorosa) danno il peggio. C’è chi, in deliranti pagine social, sostiene l’ipotesi che la società abbia dato ordine alla squadra di non salire per non sobbarcarsi i costi della B.

Sfogare le amarezze della vita su una squadra di calcio è molto triste, pur se comprensibile; ma farlo su una squadra come il Padova, che in oltre 60 anni ha fatto giusto due stagioni di A, è puro masochismo. Più subdola ancora quella parte di stampa avvelenata contro la società, che non perde occasione per intonare un anticipato de profundis e rilanciare notizie cicliche quanto infondate su un’imminente vendita del club.

La vista dall’area hospitality dell’Euganeo, un capolavoro firmato comune di cui, in realtà, è vittima la stessa società

Andreoletti e la sua armata, intanto, lavorano in silenzio. E lavorano duro. Il 7 aprile all’Euganeo i biancoscudati battono il Lecco con un brivido finale. In una confusa azione prima la traversa e poi un palo evitano il pari. Chi conosce il calcio sa che potrebbe essere un segnale non da poco. Il turno successivo molti immaginano possa essere lo spartiacque. Il Padova va a Trieste contro una squadra bisognosa di punti salvezza. Il Vicenza sarà di scena sull’ostico Gavagnin, tana della Virtus Verona.

In settimana in conferenza ci va Francesco Belli, esperto difensore appena rientrato da uno stiramento che l’ha tenuto lontano dal campo nella fase più delicata della stagione. Con lui in campo il Padova non ha mai perso. Ripete da giorni a tutti che lui ci crede, che certi miracoli li ha già vissuti: all’Entella ha subito un sorpasso e poi ha vinto il campionato con un gol all’89esimo dell’ultima giornata. Lo ripete in conferenza stampa, rendendo chiaro anche all’esterno le intenzioni del gruppo. Intenzioni, non speranze. La speranza però alberga nei duemila cuori che invadono Trieste.

Calcio Padova
La parte più calda del tifo, pur non entrando all’Euganeo, non ha mai smesso di servire la causa del Padova. Qui nel sostegno alla squadra primavera nella partita contro il Venezia disputata al “vecchio” Appiani, stadio rimpianto ancora da tutti i padovani

Nello splendido stadio intitolato a Nereo Rocco, uno al quale entrambe le società devono molto della loro storia, Bortolussi porta subito in vantaggio il Padova. La partita è vibrante, ma le attenzioni della curva padovana sono rivolte a Verona. La Virtus ha chiuso il primo tempo avanti, ma i berici a venti dalla fine pareggiano. C’è chi aggiorna compulsivamente l’app di diretta, chi guarda la partita sul telefono. Al Rocco arriva il triplice fischio, la squadra festeggia a centrocampo. E proprio mentre s’incammina verso i tifosi, i duemila che affollano la curva Trevisan esplodono in un urlo che fa tremare l’impianto.

La Virtus ha segnato al 97esimo. È la rete di Gatti a condannare il Vicenza, per una grottesca assonanza di significati. I giocatori biancoscudati apprendono la notizia proprio dall’esultanza della curva. È festa grande, il Padova è a più due a due giornate dalla fine.

Il venerdì santo vede il Padova battere la Clodiense in un Euganeo esaurito, ma con la farsesca limitazione di pubblico imposta dall’ennesimo protagonista in negativo, il questore di Padova, che a causa dell’inettitudine che un anno fa portò all’invasione di campo dei catanesi (sarebbe bastato tenere chiusi i cancelli del settore ospiti), ha pensato fosse meglio limitare l’afflusso dei padovani desiderosi di vedere la loro squadra vincere il campionato – in uno stadio che per i concerti può stipare oltre trentamila persone, mentre per il calcio non può arrivare a seimila.

Si decide tutto all’ultima. Lumezzane riceve l’esodo di 4000 padovani. È un continuo sbandieramento. Le croci di San Giorgio risplendono tra i fumogeni rossi. La partita si trascina su un nervoso 0-0. Il Vicenza è a Trento, e sta pareggiando 1-1. Va sotto di un uomo. Al 76esimo un boato. Trento in vantaggio. Otto minuti dopo raddoppia con Anastasia, e a Lumezzane si scatena il tripudio. Arrivano le prime lacrime di gioia. I cori s’intensificano. Al fischio finale il popolo padovano si stringe in un commosso abbraccio, che ha il suo apice nell’invasione di campo. Le zolle e le reti del Saleri diventano reliquie da custodire con amorevole cura nei decenni a venire.

Calcio Padova
L’arrivo della squadra a Padova

La squadra porta in trionfo il suo condottiero. C’è moltissimo di Andreoletti in questo capolavoro. Si commuove, pensando all’abnegazione dei suoi ragazzi e a un amico che non c’è più. Vincere in una piazza come Padova è di per sé qualcosa di storico, e farlo a soli 36 anni lascia intendere grandi cose per il futuro di questo allenatore. Il viaggio di ritorno è pura gioia in ogni macchina, in ogni pulmino. Sgorgano fiumi di birra. Alcuni giocatori chiamano Gigi Fresco per esternargli la loro gioia.

Quando il pullman biancoscudato arriva a Padova è festa grande. Si muove a stento nelle vie del centro in un torpedone d’orgoglio. Poi l’arrivo in Prato della Valle. La squadra sale sulla terrazza di un ristorante che dà sulla piazza, gremita da migliaia di tifosi che inscenano uno spettacolo fatto di bandiere, cori, fumogeni e sciarpe. Impossibile rendere la magia di quello spettacolo solamente a foto o a parole. Impossibile non calcolare il peso degli innumerevoli gin tonic che rendono il tripudio biancoscudato ancora più esaltante.

Ma la festa non è ancora finita. La squadra punta decisa un locale del centro. Si schiera compatta attorno a un tavolo. È un momento da condividere solo con chi ci ha sempre creduto. Crisetig confeziona drink con la stessa maestria con cui dispensa i palloni a centrocampo. Partono altri cori, viene mattina. Padova si risveglia in una categoria più consona a una città patrimonio UNESCO, che con la prima cintura urbana arriva a 400.000 persone e sfiora il milione con l’intera provincia.

E adesso? Presto per parlarne. Doveroso che gli stessi protagonisti si godano il momento e raccolgano le energie per pensare al futuro con lucidità. Ci sarà tempo e modo per programmare una Serie B che una città come Padova deve affrontare con la ferrea volontà di restarci, per costruire un avvenire degno della potenzialità di questa piazza. Ricordiamo qualche dato: 19 stagioni in terza serie (e una in D) nelle ultime 25, 21 nelle ultime 30. Sono 37 in 63 anni, con due sole stagioni in A, svoltesi ormai 30 anni fa.

La grande festa in Prato della Valle

È un dato di fatto, Padova non è un posto di rilevanza calcistica da fine anni ’50. Se la bontà o meno dei risultati in campo dipendono da programmazione e fortuna, altri fattori sono, o meglio dovrebbero essere, meno aleatori. Come la questione stadio. È vergognoso che una città così abbia un impianto del genere. I recenti “miglioramenti” della curva sud, figli dell’assurda protervia della giunta capeggiata dall’ex presidente del Padova Sergio Giordani e dal suo degno sodale Diego Bonavina, assessore alla sicurezza (3000 i reati in più registrati a Padova tra il ’24 e il ’25) e allo sport, ex centrocampista di un umiliante Padova impantanato in C2, sono il più plastico esempio del riguardo che la squadra ha avuto nelle ultime decadi dalle istituzioni cittadine.

Già il progetto di quell’abominevole struttura, del tutto scollegata dal resto dell’impianto e finanziata da soldi pubblici in via teorica destinati allo sport di base da un bando ministeriale, avrebbe dovuto far drizzare le antenne. I successivi ritardi sono semplicemente intollerabili. Dove non è arrivata la giustizia ordinaria, ci si augura possa arrivare la Provvidenza divina. Andreoletti, rivolgendosi al popolo biancoscudato dopo il trionfo, ha ribadito la speranza che questa vittoria possa unire l’ambiente. Ce ne sarebbe bisogno. Ma se non sarà così, poco male. Basterà che sotto il biancoscudo ricamato sulle maglie battano i cuori di un manipolo di fratelli. Pronti a lottare. Pronti a vincere. Anche se felicemente pochi.

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