Oh, che piacere ritrovarci. So che sono diventato un contenuto riservato agli abbonati, e questo a dirla tutta mi riempie d’orgoglio – soprattutto perché gli analfabeti (dis)funzionali dei social non leggeranno mai più questa rubrica, e la cosa non può che aiutare anche legalmente, garantisce il direttore di Contrasti. Ciò detto nell’ultima settimana ho capito una cosa importante, ovvero che siamo entrati ufficialmente nell’epoca della post-verità.
Come spiegare altrimenti che Maurizio Molinari, il direttore di Repubblica, avete presente quell’ometto con la erre moscia, senza spalle e con i capelli da pretino, Maurizio Molinari dai che se poi vedete una foto (vi auguro comunque di no) dite “aahh lui, sisi, mamma mia ahah”, ebbene proprio lui ha ricevuto un premio contro le fake news in quanto “direttore di un quotidiano rispettoso del valore della notizia e delle aspettative dei suoi fruitori”. La Repubblica, questo. Sarebbe un po’ come dare a Nicolò Zaniolo il Nobel per la letteratura, anzi peggio perché già Zaniolo fatica a leggere, figuriamoci a scrivere. Cosa che invece Molinari, purtroppo, fa eccome.
Tutto ciò per dire cosa però? Che qualsiasi concetto espresso qui potrà essere vero, falso, inventato o reale, non è mica la verità (ufficiale, quella di Molinari & friends) ad essere un criterio. Che ce ne facciamo della verità?Perché la non verità piuttosto?, come diceva quel dinamitardo di Nietzsche. Che poi a volte è la verità stessa ad assumere forme e tratti grotteschi, deformanti, quasi surreali. Come nella settimana appena trascorsa, con i casi di Roberto d’Arabia e gli strascichi dell’affaire Rubiales a tenere banco. Situazioni per le quali ci sarebbe stata una sola e sana costante: il silenzio. E invece…
A proposito del povero (ma ricchissimo) Roberto Mancini ad esempio, testimonial di tutto il testimoniabile, volto dei volti con quel suo sorriso magico, principale esponente della lotta alle droghe in questo disgraziato Paese, che quasi mi ispira umana pietas per tutti gli attacchi ricevuti: ebbene non voglio qui unirmi alla pubblica gogna riservatagli dal 90% degli italiani ma concentrarmi su una cosa, la lettera che ha poi scritto per ‘spiegarsi’.
Ma perché, Roberto? Una delle lettere più insulse, ignave e vuote che abbia mai letto, in cui sembra che Roby si rivolga alla ex e agli amici di lei per difendere la propria reputazione e dire che no, lui non ha lasciato per questa nuova destabilizzante diciottenne che ha conosciuto solo dopo, quando “già era mancata la fiducia, e senza fiducia non si può andare avanti”, ma in cui cita anche i poemi antichi, gli Dèi, le fake news (pure lui), nella quale si lascia andare alla retorica nostalgico-populista per cui «il calcio è sempre stato tutto per me, fin da quando ero poco più di un bambino, nei campi sterrati, a tredici anni, sempre e solo a sfidare un pallone» – e quindi? Roberto, ma almeno te le scrivi da solo queste cose o paghi anche qualcuno per farlo? Perché nel caso io mi propongo, in vendita e pure a prezzo di saldo per l’Arabia, faro di civiltà e luogo di tradizione calcistica in cui c’è così tanto da selezionare tra materiale tecnico e umano.
Peggio ancora, però, ha fatto Rubiales, sul cui caso ci siamo dovuti sorbire uno stucchevole dibattito che ha superato persino quello sul libro del generale Vannacci. Giorni interi tra appelli, smentite, versioni concordate e poi disattese, con un caso che è diventato politico nel senso che ha fatto discutere anche quei politici degli influencer, quegli influencer dei politici (ministri, parlamentari, addirittura in Spagna gli ex candidati premier, ancora in attesa di formare un governo ma impegnati a parlare di Rubiales e Jenni Hermoso) e con essi tutta la società, ridotta ormai a una gigantesca tendenza Twitter, anzi X – meglio, più impersonale – laddove più i temi sono idioti e imbarazzanti più monopolizzano il dibattito.
Così, come scrive il Corriere della Sera, «La Spagna si è fermata per sostenerla. Sono in centinaia a dire ‘Sono anche io Jenni Hermoso’. Sugli spalti degli stadi, per le strade», mentre la madre di Rubiales si è chiusa in un convento minacciando lo sciopero della fame notte e giorno in difesa del figlio e tutto l’arco (parlamentare e non) si è dovuto schierare, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Come diceva un caro amico, d’altronde, la Spagna è l’Italia ritardata, ma non credo che noi ormai siamo messi molto meglio.
In questo caso però facciamo i seri, vi prego. Non si può semplicemente dire che chi ha un ruolo del genere, con tutto il bene, non può baciare in mondovisione una calciatrice e comportarsi in quel modo? Ma che scena orrida è stata tra l’altro? Già è repellente quando un genitore bacia in bocca il figlio – perché lo fate? –, figuratevi questa roba in cui lui le salta addosso, la tocca, questo sudato padre di famiglia senza capelli, e poi, super appassionato con quel suo fare un po’ dinoccolato e scimmiesco, la bacia in un “impeto di euforia”. Ma dai, ma veramente dite?
Così, invece di nascondersi per un po’, andarci lui in convento anziché la madre, Rubiales ha preferito tirare fuori la persecuzione politica, lo “omicidio sociale” commesso ai suoi danni, e ha messo in mezzo “il falso femminismo, che è un grande flagello in questo Paese”, come se fosse il leader di Vox e non della Federcalcio spagnola. Premettendo che apprezzo le femministe quanto la sabbia nelle mutande o quanto una conferenza stampa di Pep Guardiola, ma caro Luis Rubiales: che diavolo stai dicendo?
Il punto non sono la “posizione di dominio”, la legge «solo sí es sí», voluta dal ministero dell’Uguaglianza spagnolo (sic!) e tutte quelle fregnacce con cui ci ammorbano le associazioni fucsia, le Boldrini e i Fratoianni del mondo. Semplicemente un personaggio pubblico a quel livello non fa certe cose, non ne dice altre. Stop, fine del (patetico) dibattito. Ché certi ruoli sono fatti anche di immagine, di forme e di modi. Sarebbe come se un politico sventolasse in parlamento una fetta di mortadella, tanto per dire. Insomma, un bel tacer non fu mai scritto, direbbe la saggezza popolare. Ma anche un discreto comportarsi aiuterebbe. Almeno Mancini con la sua scelta saudita ha messo in banca figli, nipoti e pronipoti, e soprattutto non c’è pericolo che in Arabia venga messo in croce dalle associazioni dei diritti civili e di genere – alla fine, lo sapete che forse forse quest’Arabia…
Scherzi a parte, necessari per rimanere vivi nell’epoca della verità dei Luis Rubiales, Roberto Mancini e Maurizio Molinari, il fatto è che parliamo di personaggi che farebbero pure ridere in un teatr(in)o del grottesco, in un’etica che nemmeno riesce più ad essere etichetta. Volevo finire con un paradosso, ma sono già stati troppo bravi loro. Un unico suggerimento, forse: avrebbero dovuto scambiarsi di ruolo i nostri eroi. Rubiales in Arabia, che guai a chi avesse provato a dire e scrivere qualcosa per un innocente bacio; e Mancini contro le femministe, così a caso, e contro la persecuzione politica nei suoi confronti – addirittura il sindaco PD di Pesaro Urbino ha proposto di revocargli il ruolo da testimonial della Regione Marche. Molinari, poi, che si scambia con Molinari: tanto 0x0 fa pur sempre zero, ci insegnavamo alle elementari, e verità per verità?
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