Oggi entriamo in una nuova fase.
Quando abbiamo fondato Contrasti, ormai quattro anni e mezzo fa, stavamo solo cercando un modo per prolungare la giovinezza. Per non diventare “adulti” nel senso più abusato e sciocco del termine, per continuare in un certo senso a vivere di entusiasmi e non di abitudini, di assoluti e non di compromessi (tanto pratici quanto intellettuali). In una società derelitta come la nostra, che a forza di campare per immaginari ha reso le immagini più vive delle persone, ci eravamo ritrovati a un bar – letteralmente – solo sapendo ciò che non eravamo, ciò che non volevamo. Incapaci di crescere, giovani vecchi diventati troppo presto vecchi giovani, terrorizzati dall’idea di essere efficienti, flessibili, magari anche resilienti, di sgomitare per inserirci in un mondo che tendenzialmente ci faceva schifo, ma che non avevamo il coraggio e la forza di combattere.
La nostra misera ribellione è stata quindi fondare una rivista di sport e cultura, facilitati in questo dal livello della narrazione dominante e dai suoi vizi sempre più evidenti: storytelling smielato da discount, conflitti di interesse grossi come una casa, semplificazione e retorica divenute regola, necessarie per mascherare una mancanza di capacità critica a dir poco inquietante. Per non parlare della deriva nerdistica del pallone che per tutta risposta, lavagne tattiche alla mano, ha preferito chiudersi nella propria torre d’avorio trasformando il calcio in una scienza, accessibile solo agli addetti ai lavori e al ceto medio-alto del pubblico sportivo. Di qualcuno che non riuscisse, ma almeno provasse, a restituire allo sport la sua dimensione epica (es. Brera e Buzzati) o estetica (Carmelo Bene, Foster Wallace) o sociale e culturale (da Galeano a Soriano, da Pasolini a Camus, da Ratzinger allo stesso Che Guevara) neanche l’ombra.
Per questo, a parte tutti i moventi psicologico-esistenziali, nasce Contrasti: perché lo sport sta(va) morendo di intrattenimento. La stessa estetica sportiva, volgarizzata e sfigurata, è divenuta ormai una pornografia di highlights, playlist e telecamere in ogni dove. Eppure estetica vuol dire percezione, stimolo dei sensi, non certo una carrellata di gol, di tiri da tre o di bordate da fondo campo. L’estetica nello sport ha invece bisogno di trasfigurare come facevano David Foster Wallace con Federer, Carmelo Bene con Van Basten e Platini.
E alla (contro)rassegna stampa sportiva più scorretta del web
Ecco che, a proposito di Carmelo Bene, arriviamo alla prima grande novità: Giancarlo Dotto, cresciuto con CB per i teatri della Penisola ma soprattutto formidabile giornalista (guai a dirglielo), autore (teatrale e televisivo) e scrittore (per Mondandori e Rizzoli), inaugura ufficialmente la collana editoriale di Contrasti con il libro “Il Dio che non c’è”. Un vero e proprio Diario di un mitomane in cui mitomane non è chi vuole fare di sé stesso un mito bensì il creatore di miti, il soggetto che ha bisogno di dèi, anche laddove non ci sono – una necessità che abbiamo tutti, fin dall’alba dei tempi. Per questo Dotto ci regala un flusso di coscienza destabilizzante e allo stesso tempo seducente, che combatte la deriva nostalgica non assecondando la retorica da museo per cui il vecchio è sempre meglio, ma trovando nel mito il motore e il senso della storia. E quindi dello sport.
Così si vedrà Carmelo Bene inginocchiato davanti alla televisione dopo una punizione al bacio di Platini, l’inquietudine di Foster Wallace per la finale degli Us Open che vide Federer trionfare su Agassi nel 2005, lo stesso Dotto che, con una radiolina a transistor, ascolta la telecronaca di Paolo Valenti durante l’incontro di pugilato tra Griffith e Benvenuti.
Il Dio che non c’è è una lunga confessione, ma anche un invito a non lasciarsi triturare dalla nullificante banalità del quotidiano, consumatori spasmodici di uno sport ridotto a numeri, statistiche, prestazioni fisiche. E quindi un inno alla necessità di riscoprirsi mitomani, abili nel trasformare la materia grezza in estasi liquida con cui dissetarsi, a ingannare e a ingannarsi.
Poi, parlando di collana editoriale, abbiamo deciso di raccogliere e pubblicare i migliori articoli sportivi di Luciano Bianciardi, uno dei nostri autori di riferimento: intellettuale suo malgrado, giornalista, scrittore, rappresentante rovesciato di quell’Italia post-industriale e per forza impegnata. “Potevo fare il trequartista” riprende la storica rubrica sul Guerin Sportivo in cui Bianciardi rispondeva a tutti, dai lettori a Vittorio Gassman, Carmelo Bene e Gino Paoli, trattando nello sport i temi più disparati.
«Io non sono razzista, credo che i giornalisti sportivi non siano una razza a sé, diversa dal resto dell’umanità. Non esiste, dunque, il giornalismo sportivo, se non come astrazione. Esiste il giornalismo e basta, che si occupi di crisi sul Canale di Suez o di Milan-Cagliari, non fa differenza». Il tutto sempre mantenendo la sua inconfondibile impronta che lo aveva portato a Milano da intruso, mentre cullava il sogno di distruggerla dall’interno. Un libro per chi non vuole rassegnarsi agli odierni studi pre e post partita sempre più banali e calcisticamente corretti, senza mai uno spunto con cui magari, viva Dio, essere anche in disaccordo.
“È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero dello auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale dei circolanti su detto mezzo, il consumo del pollame, il tasso di sconto, l’età media, la statura media, la valetudinarietà media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia.
Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo”.
– Luciano Bianciardi
Questi insomma i primi due titoli con cui lanciare la collana: un progetto in cantiere da anni, ma che abbiamo voluto curare nei minimi dettagli affinché rappresentasse un unicum in Italia, e non finisse risucchiato in quel calderone indistinto (e smielato) della cosiddetta “Letteratura sportiva” – Dio ce ne scampi e liberi.
Posiamo così le prime pietre della nostra indipendenza, anche perché questa rivista non è un trampolino di lancio, o un cavallo di troia per entrare nel mondo del giornalismo sportivo: Contrasti, che è solo all’inizio del suo cammino, rappresenta invece il nostro passato, presente e soprattutto futuro. Per questo, pur mantenendo tutti i contenuti accessibili e gratuiti, abbiamo voluto creare un negozio con pochi prodotti studiati e selezionati.
Come detto i libri, ma non solo. C’è anche il pezzo forte, l’oggetto del contendere, l’articolo che ha già fatto storcere il naso a Lele Adani e ai suoi scudieri: la nostra maglietta ufficiale “Santo Catenaccio” – esclamazione con cui Gianni Brera accoglieva l’Italia Campione del Mondo – che sfoggeremo orgogliosi per strade, spiagge e campetti di tutto il nostro splendido Stivale.
E poi due manifesti che abbiamo dedicato a un paio di soggetti che ci stanno particolarmente a cuore: i tifosi, nella splendida fotografia di Daniele Segre condita dalla prosa di Eduardo Galeano, e l’atto, il servizio di Roger Federer di bianco vestito, accompagnato dalla musica di quel mistico di Franco Battiato (alla faccia della signora Murgia) e dai colori di Wimbledon.
Mentre però avanziamo a piccoli passi verso una sostenibilità economica, il cuore del progetto continua a battere come un tamburo, arricchendosi di una nuova veste e di ulteriori contributi. Il sito come potete notare è stato rinnovato integralmente, e con esso le categorie principali: in apertura troverete d’ora in poi “Critica”, un nome che insieme richiama la tradizione intellettuale (letteraria, musicale, cinematografica etc), la carica interpretativa degli Editoriali e lo spirito incendiario dei Papelitos; quindi rimane la divisione Calcio – che si amplia con le sottocategorie Italia ed Estero – Altri Sport e Ritratti, sezione che viene stravolta da cima a fondo nel suo format grafico.
Ci sono però anche un paio di novità. Partiamo dalla categoria “Cultura”, nome un po’ banale ma contenuto decisamente originale. Una richiesta che ci è arrivata direttamente da alcuni di voi, che volevano un rifugio contro l’inclemenza dei tempi in cui fossero raggruppati i nostri approfondimenti più “alti”: Mishima, Sereni, Pasolini, Camus; e ancora Ratzinger, Shimoi, Gramsci, D’Annunzio. Al suo interno troverete poi le contaminazione musicali, dal rapporto dei fratelli Gallagher con il Manchester City a quello degli Arctic Monkeys con lo Sheffield Wednesday, passando per i ritratti di Battiato e De André visti tramite il ritmo del pallone. Una sezione aristocratica che rifiuta la fretta, che pretende tempi lunghi e animi distesi, da scoprire con uno schermo bello grande e magari con un buon bicchiere di whisky.
Per concludere, ultima ma non ultima, e anzi categoria per noi gerarchicamente cruciale, “Tifo”. Troppe volte abbiamo detto che gli sport, e il calcio in particolare, sarebbero nulla senza i tifosi; e troppo spesso abbiamo accettato inermi il trattamento che la narrazione sportiva ha inflitto agli stessi tifosi, stagione dopo stagione sempre più marginalizzati o addirittura demonizzati. Ecco, abbiamo deciso di passare dalle parole ai fatti e di creare questa sezione per tutti i fedeli laici d’Italia e del mondo, proprietari morali del pallone: ci troverete resoconti, approfondimenti su tifoserie, sottoculture, derby – del presente e del passato; e poi anche interviste, recensioni e ulteriori contenuti, tutti dedicati al mondo del tifo. Nel nostro piccolo, è un primo segnale che diamo per riportare il dodicesimo uomo al centro e rovesciare l’attuale narrazione sportiva, ridotta a linguaggio di consumo per spettatori da salotto, addetti ai lavori e nerd del pallone.
Per il resto navigate un po’ sul sito e troverete altre novità, dalla sezione “Podcast” finalmente rinnovata alle “Promozioni”. Ci abbiamo messo tutto il nostro impegno e speriamo che il risultato sia soddisfacente, soprattutto per voi che avete trasformato questo nostro sogno tardo-giovanile in un “lavoro” ormai a tempo pieno. Presto dovremo sdebitarci, magari tornando ad organizzare eventi come prima della pandemia (gli ultimi con Julio Velasco, Massimo Fini, Nicola Roggero, Paolo Di Canio, Sandro Piccinini etc.). Un’occasione straordinaria e insostituibile per vedersi in carne ed ossa, per discutere finalmente di persona e non separati da piccoli o grandi schermi; per tornare in definitiva a vivere, cosa che non abbiamo fatto nell’ultimo anno e mezzo.
Insomma, ormai abbiamo iniziato a fare sul serio, preferendo incamminarci per una strada lunga e ripida ma con un panorama che vale il costo della fatica: una strada senza compromessi, padrini e padroni, che non sappiamo dove ci porterà ma che speriamo di percorrere per un lungo tratto insieme. D’altronde come diceva Galeano, e Tabarez dopo di lui:
“L’utopia è all’orizzonte. […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve allora l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”.