Interviste
16 Giugno 2019

Contro il procuratorismo

Claudio Pasqualin ci parla senza peli sulla lingua e senza retorica. E forse anche con un filino di nostalgia per il calcio di vent'anni fa, auspicando che in qualche modo se ne possano recuperare i valori.

Avvocato, procuratore sportivo di fama internazionale nonché presidente di Avvocaticalcio, associazione che mira alla formazione degli agenti che verranno, Claudio Pasqualin rappresenta forse uno dei pochi signori rimasti nel calcio. Un mondo in cui è stata svilita, anche dal punto di vista dell’immagine, la figura dell’agente dei calciatori, una professione tanto ambita che, almeno fino alla riforma che ha reintrodotto l’esame di abilitazione, aveva tolto importanza alle competenze giuridiche, e di conseguenza alla tutela legale degli assistiti. Ma forse adesso qualcosa sta cambiando. Il disastroso esito della recente prova di accesso lo dimostra. Di questo e tantissimo altro – da Del Piero a Lentini, da Wanda Nara a Cristiano Ronaldo, passando per il probabile matrimonio Sarri-Juve – ce ne ha parlato in questa piacevole chiacchierata.

 

Avvocato, come si spiega il numero così elevato di bocciati al recente esame per agenti sportivi?

Evidentemente la prova era impegnativa, è un dato di fatto che posso confermare. Effettivamente si andava proprio alla ricerca della qualità della professione che in questi anni era un po’ venuta a mancare per via della cosiddetta deregulation. Però, come si dice, est modus in rebus. Si è passati da un estremo all’altro, perché meno dell’1% (8 su oltre 800) dei candidati ammessi è un dato troppo severo per essere accettabile. Però bisogna far tesoro di questa esperienza per inquadrare meglio la figura professionale.

In generale come giudica questa nuova normativa?

Concettualmente era attesa da tempo una riforma. La FIFA di Blatter aveva avuto questa alzata di ingegno di annullare tutte le regole provocando conseguenze disastrose nel nostro contesto. Quindi il ripristino dell’esame, per una sorta di sollevazione di tutte le componenti, seppur con gli aggiustamenti dovuti – l’eccessiva severità non può essere certo apprezzata -, sicuramente va salutato con favore. Certo è che si passati da un estremo all’alto. Comunque quello che conta è la valorizzazione del concetto secondo cui il buon procuratore deve sapere di contrattualistica e di tutte una serie di materie, quella fiscale, promopubblicitaria, assicurativa e via dicendo che vanno ad aggiungersi ad un’eventuale competenza calcistica. Dico eventuale perché il procuratore deve parlare con molta parsimonia di spinta sulle fasce, filtro a centrocampo, perché c’è una pletora di personaggi, allenatori, direttori tecnici, osservatori a cui aggiungere altre persone che invece dovrebbero limitarsi a valorizzare le di per sé già buone prestazioni del proprio assistito.

 

Perché il calciatore che non ha le stimmate non dovrebbe avere il procuratore, mentre se le ha non c’è bisogno del procuratore: nessuno è in grado di far volare gli asini. Quindi è inutile spingere Tizio e Caio. Spingendo calciatori privi di talento incentivi quell’eccesso di procuratorismo che si sta verificando. Tutti adesso vogliono avere e hanno il procuratore. Si inizia già nei settori giovanili. E i primi a favorire questo fenomeno sono quei genitori che non si preoccupano di verificare se i figli hanno le qualità per emergere. Il fenomeno è degenerato. Per cui riservarlo alle persone dotate delle competenze di cui sopra può ricondurlo nei giusti binari. Perché in Italia di calcio parliamo tutti e crediamo di essere competenti. Quindi è giusto che le materie d’esame vertano sul diritto dello sport, diritto privato e diritto amministrativo.

 

Il problema è capire se si può tornare indietro, come originariamente era. Dove non ci si affannava a prendere in procura i ragazzini della categoria esordienti. Si cominciava con la Primavera. Noi andavamo al torneo di Viareggio e lì vedavamo lo spartiacque tra calcio professionistico e calcio giovanile. E in quel contesto notavamo chi aveva o meno le qualità per imporsi. Ma non ci sognavamo di accettare l’offerta di un genitore che proponeva suo figlio. Le mie segretarie hanno il compito perentorio di fare selezione sotto quel profilo lì e di non passarmi nessuno. Un fenomeno molto negativo. Mentre invece il procuratore dovrebbe essere riservato ai campioni che hanno tutta una serie di problematiche. Tutto è talmente degenerato che dovremmo parlare non più di procuratori ma di mediatori tout court.

 

Claudio Pasqualin con un vecchio pallone autografato da grandi campioni: l’immagine della speranza che il calcio possa recuperare i valori di un tempo

Si può dire dunque che il genitorismo è figlio del procuratorismo?

Sono neologismi che calzano assolutamente. Evidenziano un fenomeno esistente. Adesso per giocare a calcio si paga. Ci sono le academy, le school, i vivai privati. Ma anche per accedere alle giovanili delle squadre professionistiche, a quanto ne so, corrono denari. E non è più come una volta, dove l’oratorio era il centro dell’universo giovanile. Però c’è questo equivoco di fondo. Molti genitori, oltre a vedere nel calcio la soluzione di tutti i problemi, pensano che ci siano delle scorciatoie, mentre alla fine, come si dice, hic rhodus hic salta: saltavo e vincevo tutto, poi ad Atene ho fallito. Ecco,se non hai la qualità non c’è procuratore che tenga! Da questo punto di vista forse un risultato come quello dell’esame servirebbe a demolire il fenomeno, così magari molti giovani sprovvisti delle qualità adeguate resterebbero lontani da questo sogno di diventare ricchi facendo i procuratori, perché ovviamente questa è la molla. Però non è così che si fa. Ormai siamo andati avanti con un certo tipo di discorso… io credo che solo dopo qualche ulteriore smusata riusciremo a ristabilizzarci, perché siamo andati davvero troppo in là.

Quale deve essere l’approccio del buon procuratore?

Anche il procuratore si posiziona. Anche lui entra in un sorta di classifica. Il suo posizionamento è determinato dalla scelta del soggetto e dalla capacità che hai avendo visto e sentito dire da persone competenti; e poi andare da quello veramente bravo e avere la capacità e le competenze di convincerlo. Io con Del Piero mi sono messo in fila. Perché tutti sapevano che c’era questo bimbetto fenomeno. Ma io mi sono approcciato nella maniera che ai genitori di Del Piero è parsa giusta. Intanto, telefonando prima a mamma Bruna e poi a papà Gino intrattenendomi con loro. Fortunatamente loro in qualche maniera avevano sentito parlare di me.

 

Sono stato diverse volte a casa loro e senza mai vedere Alessandro, ci tengo a precisarlo. E non l’ho visto fino a quando non sono stati loro ad acconsentire all’incontro. Poi le cose sono andate bene, evidentemente sono piaciuto anche ad Alessandro, e un giorno mamma Bruna mi chiama per procedere alla formalizzazione della procura. Ma questa prassi è oramai desueta. Se ne sentono di tutti i colori. Si arriva anche a una sorta di compravendita delle procure che è stata anche oggetto di una denuncia da parte di un’associazione di categoria dei procuratori. Io auspico che si ritorni a quel mondo che sto dipingendo. Spero che si possa risalire, adeguandola ai tempi, certo, ma recuperando i valori di una volta.

Certo è che i procuratori/mediatori e i procuratori veri (come lei) sono accomunati dall’obiettivo di far guadagnare quanti più soldi è possibile ai propri assistiti. Volevo chiederle se esiste un limite morale al denaro. Cioè, prendo ad esempio il caso Donnarumma: secondo lei non può essere pericoloso dare a un ragazzino appena diciottenne qualcosa come sei milioni di euro all’anno? L’aspetto economico può mai essere l’unica cosa che conta?

Non conta certo solo il lato economico. Ma anche. La carriera è breve. Tra 15 anni Donnarumma non avrà problemi economici. Il confine della moralità si varcherebbe solo nel caso in cui si andasse alle trattative con la pistola, usando sotterfugi, raggiri, oppure se si fingessero delle qualità che non si hanno. Ma la vecchia legge della domanda e dell’offerta suggerisce sempre che quando sei dalla parte di chi deve prenderli i denari, a un certo punto si incontrano le volontà. Ma qual è il limite morale? Non c’è un limite morale! Se Donnarumma avesse preso 7 milioni, buon per lui! Per cui credo che non è colpa del suo procuratore se ha chiesto tanto, ma stiamo scherzando? Che discorso è? E’ tutta una serie di giochi, incastri, circostanze.

 

Guardi, mi faccia tornare a Del Piero. L’offerta iniziale della Juventus per il rinnovo del suo contratto era inferiore in maniera esponenziale rispetto al risultato che raggiungemmo. Ma perché raggiungemmo quel risultato? Perché la Juve sbagliò i tempi: essendosi il giocatore infortunato un anno (nel ’98 a Udine, ndr) prima della scadenza del contratto, ha fatto un errore di calcolo. Non ha percepito tempestivamente che avvicinandosi alla fine del rapporto la sua forza contrattuale cresceva potenzialmente di giorno in giorno, perché Real Madrid, Manchester United e chi più ne ha più ne metta erano lì pronti a non pagare nulla di cartellino e a riempirlo in maniera incommensurabile di oro. Per il caso Donnarumma, piuttosto, trovo esecrabile che non abbia fatto la maturità! Quella è una cosa importante. Forse è un po’ retorico battere sull’immoralità dei soldi. E non mi sento moralmente fuori luogo se chiedo una montagna di soldi per il mio assistito. Anzi, purtroppo sono pochi i giocatori per i quali posso farlo!

 

Novembre ’98, Udinese-Juventus: Del Piero si rompe il legamento crociato

Lei riuscì a far ottenere a Del Piero un ingaggio stratosferico per l’epoca: 10 miliardi all’anno. Eppure Alessandro stava attraversando, appunto dopo l’infortunio di Udine, il peggior momento della sua carriera. Molti sostengono anzi che non tornò più quello del 1997-98.

Mah, non mi sembra. Anzi, credo che dopo un anno e mezzo di convalescenza tornò ad altissimi livelli. Comunque sia, venendo alla trattativa, sono stato abile non solo nel differire, senza rompere i rapporti, me ne sono inventate tutte per prendere tempo. Mi ricordo per esempio un invito a mangiare baccalà alla Triade vicentina, che poi Giraudo ebbe a dire che quello era stato il baccalà più caro della storia (ride ndr)… e poi alla fine li avevo attirati in un posto dove l’oste era un super juventino sfegatato dove abbiamo fatto anche l’alba… e non abbiamo parlato di contratto, dopo il baccalà siamo passati anche al vino che lo innaffiava, insomma… e poi con Giraudo non si scherzava, era un fine intenditore anche di vini oltreché di cibi…

Quali sono state le operazioni che le hanno dato maggiori soddisfazioni umanamente e professionalmente?

In realtà ce ne sono tre che se la giocano: Oliver Bierhoff, Nicola Berti e Gianluigi Lentini. Sul tedesco ebbi per certi versi l’occhio di vedere questo ragazzone che era stato importato dall’Inter e che giocava e non giocava nell’Ascoli, dove il ruolo di titolare l’aveva un altro mio assistito, Pippo Maniero. Avevo intravisto le qualità di Bierhoff, soprattutto l’applicazione. Si allenava molto. E andai a prendermelo, per così dire. E poi fu una soddisfazione particolare quando proprio qui, nel mio studio di Vicenza, vennero il presidente dell’Udinese Pozzo e l’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani, e facemmo il contratto del passaggio dall’Udinese al Milan. Dove segnò venti gol e vinse lo scudetto con Zaccheroni. Anche in nazionale, nel ’96, fece bene, siglando il golden gol all’Europeo inglese. Quante telefonate ricevetti quella notte! Ricordo pure che invitai Oliver a mandare un mazzo di rose alla moglie del portiere ceco Petr Kouba. Diciamo che ebbi l’intuizione che quel giocatore potesse arrivare a quei livelli. Così come ricordo il contratto di Berti.

 

Ecco quali dovrebbero essere le caratteristiche di un procuratore come lo concepisco io. Non riuscivamo a metterci d’accordo con il presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini. Il problema era la durata: noi chiedevamo tre anni e il presidente ne offriva due. Tra l’altro all’epoca mi fecero molto piacere le telefonate di Arrigo Sacchi, il quale, evidentemente fidandosi di me, mi chiedeva se il giocatore fosse pronto per disputare il mondiale del ’94, anche perché era reduce da un infortunio. E allora poco prima che la spedizione azzurra partisse alla volta degli Stati Uniti, mi inventai uno stratagemma: accontentai dialetticamente Pellegrini accettando l’opzione per il terzo anno. Facemmo un contratto di due anni con opzione per il terzo, però imposi una penale – forse urtando la sensibilità di qualche purista del diritto (ride, ndr) – nel caso di mancato esercizio dell’opzione.

L’operazione-Lentini merita invece un capitolo a parte, visto lo scalpore che suscitò all’epoca.

Il contratto di Lentini non è stato vivisezionato: di più. Anche perché il processo che sappiamo – falso in bilancio – prese impropriamente il nome di Lentini, ma il giocatore era del tutto estraneo alla vicenda. Il processo era contro Berlusconi riguardante il prezzo del cartellino, ma il contratto non fu mai in discussione. Effettivamente Lentini era molto combattuto tra la Juventus e il Milan. E alla fine scelse i rossoneri in maniera del tutto estemporanea. Perché quel 30 giugno del ’92 scadeva il precontratto sottoscritto tra il Milan e il Torino, per il quale l‘allora presidente granata Borsano già aveva intascato gran parte dei soldi e il presidente del Torino tentava di rivenderlo alla Juventus… Quel giorno avemmo un incontro con la Juventus, andammo in collina a casa di Boniperti, discutemmo, e io professionalmente evidenziai tutte le criticità della proposta juventina anche nel fastidio del mio assistito. In particolare feci capire a Gigi che quello era il momento di svolta della sua carriera e che non poteva permettersi di giocare ancora un altro anno al Torino e poi passare alla Juventus (questa era la formula di cui si stava discutendo).

 

Per cui venimmo via da casa Boniperti senza un nulla di fatto e gli chiesi il favore di venire a Milano, ma lui era molto ma molto restio: non intendeva farsi 150 km di autostrada. Inoltre erano le 13 e c’era da considerare che alle 19 scadeva il termine per il deposito dei contratti preliminari. Ricordo che mangiammo un toast al volo a Torino e che dovetti pregarlo di venire con me a Milano, glielo chiesi a titolo di favore personale, nel rispetto del rapporto professionale e umano che ci legava. Mi piace ricordare che c’era sempre Andrea D’amico con me. Alla fine riuscimmo a convincere il giocatore a salire sulla mia Mercedes Coupè. E per paura di un suo possibile ripensamento e che mi scappasse dalla macchina (ride, ndr), non effettuai nemmeno una sosta. Inoltre, particolare che ricordo benissimo, in macchina avevo una copia del Guerin Sportivo che in prima pagina sfoggiava Marco Simone con la maglia rossonera. Al che Lentini disse: “E io dovrei indossare questa maglia? Ma mai al mondo!” Comunque sia, in questo clima, affrontiamo il viaggio verso Milano, durante il quale riceviamo un numero indefinito di telefonate, tra cui quelle di Borsano che, chilometro dopo chilometro dopo chilometro, aumentava l’offerta… A un certo punto chiama il papà di Lentini a cui spiegai un po’ di cose e poi gli passai il figlio.

 

Gigi parlava a monosillabi, ma evidentemente il padre lo fece ragionare. Fatto sta che arriviamo a Milano, richiama Galliani, ci impone (ride, ndr) di fermarci al primo albergo sulla strada. E dopo soli dieci minuti ci raggiungono l’ad del Milan e Braida. Di corsa entriamo nella hall dell’albergo, dove il portiere aveva appena annotato i documenti di una coppia – presumo che l’albergo fosse a ore (ride, ndr) – e riusciamo a ottenere la disponibilità di una sala riunioni. Una sala enorme da 200 posti. E lì, nel deserto, abbiamo discusso ancora e lì finalmente Lentini si decise a firmare. Ricordo pure che Galliani telefonò in Lega per far sì che accettassero il contratto anche con un leggero ritardo, visto che le 19 erano passate, e lì insomma scoppiò la bomba. Quella sì che fu una bomba, altro che Icardi. Poi il destino con Gigi fu cinico e baro, perché un anno dopo ebbe quel gravissimo incidente con la Porsche che compromise la sua carriera. L’importante ovviamente è che adesso stia bene.

 

Estate 1992, il Milan presenta Gianluigi Lentini

Se non sbaglio per l’epoca divenne il giocatore più pagato al mondo con i famosi 8 miliardi di ingaggio lordi.

Sì, certo. Ecco, anche in quel caso si era scatenata un’asta tra i due uomini più potenti d’Italia: l’Avvocato e il Cavaliere. Per cui il mio merito stava nell’aver compreso la situazione ed essermi trovato nel posto giusto al momento giusto. E poi nel far fruttare al massimo tutte quelle coincidenze. La cifra era sì fuori mercato, ma entrambi i club lo volevano fortemente. Insomma, torniamo sempre alla famosa legge della domanda e dell’offerta. A proposito di Lentini ricordo anche che qualche giorno dopo andammo con l’elicottero di Berlusconi – ci venne a prendere all’aeroporto di Torino – ad Arcore. E devo dire che pranzare insieme al Cavaliere, poi ci mostrò anche il giardino e le piante, fu una bella esperienza. Una cosa da ricordare con piacere, ecco.

Si può dire che nell’iper valutazione di Lentini siano entrate anche considerazioni di carattere fisico e tecnico, perché in un certo senso si trattava di un giocatore che anticipava il calcio di oggi?

Erano 80 chili di fantasia, energia e di genio che scavallavano sulla fascia con grande velocità e allo stesso tempo leggerezza senza mai che una giocata assomigliasse all’altra. Era davvero estro, fantasia e potenza. Ricordo che a Capello brillavano gli occhi quando pensava al giocatore che di lì a poco avrebbe avuto tra le mani.

Ecco, se prima la valutazione di queste caratteristiche era preminente, oggi invece si ha l’impressione che a contare e neanche poco ci siano altri parametri, ad esempio il numero di followers sui social. Faccio l’esempio di Balotelli, un calciatore che ormai non dà nulla o quasi al calcio in termini prestazionali e che però riesce sempre a strappare ingaggi importanti. Come se lo spiega?

Indubbiamente è così. A volte la pubblicità, che notoriamente è l’anima del commercio, prevale su tutto. Il mio giudizio su Balotelli è esattamente uguale al suo. In ogni caso questo succede perché in giro c’è un certo appiattimento culturale e una certa ignoranza. D’altra parte io credo che si cominci a invertire la tendenza. Ad esempio io penso che tutte queste esagerazioni che sono state fatte sul caso-Icardi possano iniziare a segnare un’inversione di tendenza. Perché verificheremo, a parer mio, in questo mercato le difficoltà che si avranno per piazzare un giocatore che rappresenta uno stile di vita non certamente da consigliare ai figli o ai nipoti.

 

Se anche i miei nipoti non vedono le foto che posta sua moglie va bene insomma (ride, ndr), anche perché chi compra Icardi non compra solo Icardi, ma deve sorbirsi tutto quel contorno… E la cosa strana è che Icardi sta al gioco. Cioè, lui più che il capitano dell’Inter appare come il marito di Wanda Nara e la asseconda in tutto. A questo punto altro che clausola da 120 milioni! Andrà via a molto meno. Se dovesse restare all’Inter, secondo me resterebbe solo a determinate condizioni, e non mi sento di dire altro e non sarebbe nemmeno giusto se lo dicessi.

Quindi mi sembra di capire che il suo giudizio su Wanda Nara non è certo lusinghiero…

No, io non mi permetto di dare giudizi. Anzi, dico che la meno colpevole è lei, perché è fatta così. Più che altro è il sistema che le dà spazio che è colpevole e che va condannato. Per carità, quando lei ha detto che conosce le lingue io mi sono limitato a replicare che le materie d’esame sono diritto dello sport, diritto privato e diritto amministrativo. Poi, per carità, conoscere le lingue è una cosa fondamentale, ma per fare l’agente servono anche altre competenze.

Una domanda sulla strettissima attualità. Cosa pensa del probabile matrimonio tra Maurizio Sarri e la Juve?

Io penso che la cosa possa andare a buon fine. E penso che si tratta di un ottimo professionista che va in un top club. Poi i tradimenti, la napoletanità, sono discorsi che lasciano un po’ il tempo che trovano, non mi sembrano discorsi seri, ecco.

 

Secondo Claudio Pasqualin Cristiano Ronaldo non ha migliorato la Serie A

E per il famoso stile Juve? Secondo lei è un tipo di allenatore che soddisfa quel genere di richiesta?

Questa già è una cosa un po’ diversa. Perché effettivamente la Juve ha un che di particolare, come immagine, come atteggiamento. La società è diversa dalle altre, insomma. Questa specialità è espressione del taglio dato dalla famiglia Agnelli. E’ anche una cosa difficile da spiegare: il rigore, l’ordine, l’isolamento dal pettegolezzo, l’essere drastici nelle situazioni. Questo è lo stile Juve. E credo che lo stile di Sarri non sia propriamente rispondente a queste caratteristiche, però credo anche che la convivenza sia assolutamente possibile. Anche perché Sarri dovrà allenare, non stare dietro alla scrivania. Dovrà allenare e soprattutto vincere, prima ancora che far giocare bene la squadra, perché sappiamo tutti il dogma juventino: vincere non è importante è l’unica cosa che conta.

Si può fare un parallelismo con l’esperienza in bianconero di Gigi Maifredi?

No. Sarri mi dà l’idea di essere un allenatore universale, mentre Maifredi mi sa più di provinciale. Forse in termini esperienziali un confronto con il Maifredi del ’90 sarebbe anche possibile, ma trovo che Sarri, anche in virtù del fortunato passaggio al Chelsea, sia più pronto ad affrontare questa nuova sfida di quanto non lo fosse Maifredi all’epoca.

Volevo chiudere con Cristiano Ronaldo. Il suo arrivo ha davvero migliorato la Serie A, secondo lei?

Lui si è comportato come meglio non si poteva. Ma a mio avviso lo ha fatto in maniera troppo distaccata. Come dire, non ha partecipato socialmente all’evoluzione di niente. Tutti abbiamo visto un gran campione. Punto. Molto rigoroso in tutto, anche nella sua vita privata e nei contatti con l’esterno. Tutti rapporti fissati in maniera rigida e programmata. Perciò, ripeto, abbiamo visto un grande campione, ma non credo che sotto il profilo dell’insegnamento – se non appunto sotto quello della determinazione – abbia contribuito allo sviluppo del calcio italiano. Credo che proprio non si possa affermare questo.

 

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