Può un film hard denunciare e prevedere le storture del calcio?
Farlo uscire a ridosso dei mondiali di calcio fu un’operazione di marketing in piena regola. Del resto è risaputo: un evento planetario genera un effetto moltiplicatore su tutte le attività che riescono ad inserirsi nell’ampia e variegata scia che, inevitabilmente, porta con sé. Un’opportunità da non lasciarsi scappare, anche a discapito dell’effettiva bontà del prodotto da vendere.
Per intendersi, si tratta di uno scenario del tutto simile a quello che si ripresenta ad ogni Natale, quando il Cinepanettone di turno primeggia al botteghino andando ben al di là dei propri meriti. Il buon esito dell’investimento è da attribuire esclusivamente al tempismo di uscita e non certo alla trita e ritrita riproposizione di contenuti volgari e trash. Tuttavia, sarebbe riduttivo spiegare il successo diCicciolina e Moana “Mondiali”soltanto in virtù di una vincente strategia distributiva.
Il film di Riccardo Schicchi, diretto insieme a Mario Bianchi e messo in circolazione pochi giorni prima dell’inaugurazione di Italia ‘90, rappresenta uno dei più fulgidi e rari esempi di come business e qualità possano anche coesistere. Come a dire: OK, cavalchiamo l’onda del Mondiale per vendere più VHS, ma allo stesso tempo sfruttiamo la kermesse iridata affinché i nostri messaggi arrivino forti e chiari al più ampio numero di persone.
Già, messaggi. Perché Cicciolina e Moana “Mondiali” travalica i confini del solito film hard, in quanto fonda la propria essenza su tre inconfutabili elementi che lo fanno ascendere al rango di vera e propria opera d’arte: denuncia, verità, profezia.
A conferma di quanto fosse preminente nelle intenzioni dei registi scoperchiare verità scomode, la componente della denuncia è evidente sin dalle prime scene: un non ben precisato personaggio (Roberto Malone), probabilmente un alto funzionario di Stato, fa capire senza mezzi termini a Luca Cordero di Montezemolo, direttore del comitato organizzatore di Italia ’90 (proprio come lo fu nella realtà) interpretato da Luca Capezio, che l’Italia deve vincere il Mondiale a qualsiasi costo, perciò lo invita a farsi venire un’idea per raggiungere l’obiettivo, e a farlo in fretta.
“Dobbiamo vincere a qualsiasi costo. Costi quel che costi”
A ben vedere, già dietro questa insistente richiesta si nascondono dei malesseri a dir poco attuali: mancanza di fiducia nei propri mezzi, paura dell’opinione pubblica, ossessione per il consenso, insicurezza, ansia da prestazione. E come spesso accade, il passaggio dal malessere al malaffare è quasi automatico. Ecco che allora, al fine di agevolare la vittoria degli Azzurri, Montezemolo decide di ingaggiare Ilona Staller (alias Cicciolina) e Moana Pozzi.
Le due pornodive, nel ruolo di se stesse, vengono assoldate con il compito di sfiancare, attraverso prestazioni sessuali ad alto contenuto atletico, gli avversari dell’Italia, alterando così al ribasso il loro rendimento in campo e, di conseguenza, compromettendo di fatto il regolare svolgimento del torneo.
A essere presi di mira, in particolare, i giocatori più rappresentativi e temuti delle nazionali di Germania, Argentina e Olanda, rispettivamente Kataklinsman (Jürgen Klinsmann interpretato da Eric Price), Maradona (Ron Jeremy) e Gullit (Sean Michaels). Pur accomunate dall’epilogo, che non dovrebbe essere difficile da immaginare, ogni situazione è assolutamente diversa nonché idonea a svelare un singolo aspetto di una realtà, come quella del calcio, complessa e in continua evoluzione.
Assegnataria della pratica-Germania, Moana Pozzi si introduce senza difficoltà nel ritiro della nazionale teutonica per occuparsi dei muscoli di Kataklinsman. Sulle prime, l’attaccante fa onore alla proverbiale risolutezza tedesca e sembra quasi convincente nel respingere le avances di Moana, concentrato com’è sulla partita che lo attende l’indomani.
Tuttavia Moana, da fine psicologa, interpreta quella opposizione come insofferenza al rispetto delle regole tanto ferreequanto obsolete imposte dal ritiro. Per cui, intercettato questo grido d’aiuto, l’emissaria del piacere non fatica a soddisfare i desideri più reconditi del giocatore, la cui espressione, da corrucciata a estatica, assurge a manifesto di libertà: fino a quel momento non si era mai sentito così capito. Una conquista personale che gli farà superare il trauma della susseguente eliminazione della Germania.
Ancora più sottili i concetti filosofici che emergono nel corso della seconda spedizione. Un grasso e baffuto Maradona viene raggiunto da entrambe le pornostar mentre è dedito ad allenarsi su un prato. L’unione delle forze vale di per sé già un attestato di stima nei confronti del capitano dell’Argentina, ritenuto a ragione il più pericoloso per le sorti dell’Italia.
Diego, avverso alla diplomazia e alle regole, non oppone la minima resistenza, anche perché la sua già elevata autostima esce rafforzata dalla prospettiva di giocare in “inferiorità numerica”, laddove per vincere Kataklinsman, calciatore dal profilo più basso, era bastata la sola Moana. Ma, pur partecipando con gusto al ménage à trois, a un certo punto l’ego prevale sulle esigenze del collettivo, per cui Maradona decide di concludere il consesso carnale in solitudine, con quell’autocompiacimento tipico dell’individualismo che caratterizza il calcio attuale, dove si scende in campo per lo più inseguendo la sola gloria personale. Un approccio che spesso e volentieri è alla base di rovinose sconfitte: Argentina eliminata.
Gloria personale che viene alimentata anche dall’atteggiamento dei media, quasi sempre accomodante e calibrato più sul bacino d’utenza (oggi dei followers) che sulla ricerca della verità.
“Lei non si preoccupi, lasci fare a me”
Ebbene, il film è davvero spietato nel sottolineare questa criticità della stampa sportiva in occasione della “corruzione” di Gullit. Il fuoriclasse olandese, marcato stretto da Cicciolina, decide di rilasciarle delle dichiarazioni alla vigilia della finale con l’Italia, dichiarazioni che la giornalista speciale intende registrare con l’ausilio di una “nuova tecnica”.
Da un punto di vista simbolico, l’associazione tra l’intervista e la pratica della fellatio rappresenta un’allegoria di un’efficacia prorompente. Un’immagine che spiega con estrema chiarezza l’asservimento – geniale anche l’allestimento di un ProSesso al Mondiale condotto dall’imitazione di Aldo Biscardi – di una buona parte della stampa, che si produce in domande compiacenti al solo scopo di vendere copie in più e di tenersi buono il campione di turno per future collaborazioni.
Dopo tutto questo sapiente lavoro, la strada per l’Italia campione del mondo sembra dunque spianata. Ma nonostante gli sforzi compiuti da Cicciolina il giorno prima, Gullit non sembra risentire dei “postumi” dell’intervista, anzi: aiuta l’Olanda a portarsi sul 2-0 alla fine del primo tempo.
“Qui si fa l’Italia o si muore.”
A quel punto il misterioso dirigente e Luca di Montezemolo corrono ai ripari, e obbligano le loro ambasciatrici a recarsi, insieme e di tutta corsa, nello spogliatoio dell’Olanda: hanno a disposizione un quarto d’ora di tempo per “sfinire” Gullit.
È interessante osservare che le prestazioni supplementari cui sono chiamate le due protagoniste fotografano l’ennesimo aspetto profetico della pellicola, ovvero l’ingresso in un’era del calcio caratterizzata dal sopravvento della componente fisica su quella tecnica, un’epoca in cui sarà sempre più difficile neutralizzare i giocatori alla Gullit. Comunque sia, Cicciolina e Moana ci riescono e, una volta depotenziato il leader degli Orange, l’Italia ribalta il risultato imponendosi per 3-2 e vincendo così il tanto agognato Mondiale.
“Finalmente un Mondiale diverso. Con palle vere.”
Anche in questo caso non è difficile immaginare il premio che spetta agli Azzurri, ma preme sottolineare che la vittoria della Coppa del Mondo sortisce l’effetto di rinvigorire le pur stanche attrici che, dedite completamente alla causa patriottica, tirano fuori energie insospettabili: esse riservano così ai meritevoli calciatori italiani – ignari del vantaggio di cui hanno goduto nel corso del campionato – il loro repertorio migliore, facendogli vivere delle vere Notti Magiche.
Certo, il finale del film non fu di buon auspicio, visto che la squadra di Vicini come è noto fu eliminata in semifinale dall’Argentina e si classificò terza, però rappresentò una scelta campanilistica pressoché obbligata: far vincere un’altra nazionale sarebbe stato visto, al contrario, come malaugurante. Ma non sono i festeggiamenti a chiudere il lungometraggio: a proposito, il film dura un’ora e venti, una vera eccezione per il genere. C’è infatti tempo per un’ultima chicca. Il montaggio conclusivo che sintetizza le performance delle attrici è accompagnato da una telecronaca eccessiva e euforica che non può non rimandare alla stretta attualità. Alla narrazione orgasmica del calcio di oggi.