Il buongustaio dall'inebriante, ed opprimente, bel gioco.
L’illusione ha un solo lato positivo. Quello dell’attesa. Prima di scontrarsi la dura realtà, l’illusione ti coccola, ti eccita e ti fa sentire vivo. Ancora di più se viene dopo periodi di sofferenza prolungata. Nella primavera del 1988 l’illusione, nei campi di calcio italiani, è rappresentata dalle gloriose maglie rossoblu del Bologna, e dalla figura imponente del suo mister, tale Luigi Maifredi detto Gigi. Nell’epoca della santa crociata tattica a favore del bel gioco, il Milan di Sacchi sta mostrando a tutta Italia (l’Europa e il mondo verranno dopo) come si può coniugare il bel calcio con i risultati. Certo ci sono voluti mesi di lavoro e una robusta iniezione di DNA di calcio totale proveniente dall’Olanda, ma il risultato è strabiliante.
In quella primavera del 1988 il Milan sta per fagocitare un Napoli stanco e boccheggiante, consumato da aspre disfide interne e schiavo come sempre degli umori del suo genio con la maglia numero 10. Ma torniamo all’illusione. Il Milan è praticamente una realtà, e non promette più nulla di romantico dettato dall’attesa. È lì sotto gli occhi di tutti. Allora il testimone dell’illusione viene preso dal Bologna di Maifredi, che sta strabiliando in Serie B, conducendo un trionfale campionato che lo riporterà, dopo anni di sofferenze, nella massima serie.
Vince, convince e diverte. Maifredi imposta i felsinei su un gioco veloce, condito dall’applicazione estrema della zona, e sempre propositivo. Certo, l’organico per la serie cadetta è di tutto rispetto, ma più che i risultati impressiona il modo in cui questi vengono raggiunti. Lo chiamano calcio Champagne, perché è spumeggiante e perché Maifredi, prima di fare il mister, era rappresentante della Veuve Clicquot Ponsardin, azienda produttrice di champagne appunto. Tutto questo turbinare di bel gioco colpisce gli occhi di Giampiero Boniperti, che da un paio d’anni non trova il modo di rimettere la sua Juve sulla strada della vittoria. Il dopo Platini si sta dimostrando difficile e nell’annata 87-88 nemmeno l’acquisto di Ian Rush riporta madama alla vittoria. Anzi, si registra uno dei campionati più negativi dell’intera storia bianconera, con il sesto posto, e la conseguente qualificazione Uefa, artigliata solo allo spareggio nel derby contro il Torino.
Cullato dall’illusione il presidente bianconero chiama Maifredi, desideroso di portare spettacolo e vittorie di nuovo sulla sponda juventina. Il primo incontro ha contorni persino comici. Maifredi è imbarazzato, ma come tutti gli uomini sicuri di sé nasconde la timidezza con un atteggiamento che lambisce l’arroganza. Non si sogna nemmeno di rifiutare la Juve, ma una delle prime cose che chiede al presidente bianconero è quella di svecchiare le divise da gioco, che con quelle maglie attillate e a righe strette, danno un aspetto troppo retro alla squadra. Boniperti annota, abbozza una teoria secondo cui le maglie strette permettono all’attaccante di non dare appigli al difensore, ma chissà cosa avrà pensato dentro di sé. L’incontro entra vivo quando arriva l’avvocato Agnelli, che nutre una simpatia personale nei confronti di Maifredi, ed è ovviamente ammaliato del suo calcio.
Sembra tutto fatto, ma si mette di traverso il presidente Corioni, patron del Bologna all’epoca, vero padre calcistico di Maifredi, avendolo letteralmente inventato come mister nell’Ospitaletto e poi portandolo con sé nell’avventura sotto le due torri. Maifredi pensa di aver perso il treno giusto, e Boniperti stesso gli fa presente che la Juve non bussa due volte. La storia andrà diversamente. Nei due anni successivi Maifredi porta a termine il suo contratto col Bologna, prima salvando la squadra al ritorno in Serie A e poi addirittura centrando una splendida qualificazione Uefa nella stagione 89-90. Sempre con il bollino del bel gioco, certificato anche da Arrigo Sacchi che in occasione di un Milan-Bologna dichiara come la squadra felsinea sia l’unica ad essere arrivata a San Siro per imporre un proprio gioco, riuscendoci per larghi tratti.
In questi due anni la Juve viene affidata a Dino Zoff che porta in bacheca una Coppa UEFA nel 1990 ma in campionato non si spinge oltre al quarto posto. Serpeggia una certa delusione negli ambienti bianconeri, il tutto sfocia in una rivoluzione che porta anche al cambio di presidente, con la staffetta tra Boniperti e Montezemolo. Per risalire la china ci si rifugia nuovamente nell’illusione. E Maifredi che ha appena spalancato le porte dell’Europa al Bologna, è ancora più che mai il mister del momento.
Questa volta il rifiuto è fuori discussione, anche perché è risaputo che l’omone di Lograto allenerà la Juve targata 90-91. Resta solo da decidere il contratto. Per discutere della cosa Maifredi viene invitato da Agnelli per assistere alla semifinale di Italia 90 tra Germania ed Inghilterra che si svolge a Torino. Catapultato nello sky box presidenziale, Maifredi siede a fianco al presidente della Fiat, della Mercedes, e ad altri esponenti del gotha finanziario mondiale. Di fronte a sé, niente meno che Henry Kissinger. In pratica Gigi Maifredi da Lograto, omone della provincia bresciana amante di vini e bel calcio che prova a disquisire (chissà in quale lingua data la sua latitanza dall’inglese) con l’ex segretario di Stato USA già premio Nobel per la pace nel 1973. Altro che semifinale del mondiale, lo spettacolo da vedere sarebbe stato quello.
Comunque la portata principale della serata è l’incontro con Agnelli per la discussione del contratto: l’avvocato propone un triennale. Maifredi, spavaldo, sicuro di sé, ma anche onesto, ribatte chiedendo un solo anno. Si sente già abbastanza sicuro delle sue idee calcistiche, e crede di riuscire ad importare il laboratorio calcistico bolognese anche sotto la mole antonelliana. Il mercato della Juve in quell’estate è scoppiettante: su tutti arriva Roberto Baggio, strappato a suon di miliardi alla Fiorentina che dovrà fare coppia con Totò Schillaci, eroe di Italia 90 capocannoniere del mondiale delle notti magiche. Maifredi ha un unico cruccio. Vorrebbe Dunga, sempre dalla Fiorentina. Gli fanno presente che sarebbe meglio evitare lo scoppio di una guerra civile, perché portare via i due gioielli ad una squadra rivale, nella stessa sessione di mercato, sarebbe un rischio anche a livello di ordine pubblico.
La squadra è comunque indicata come una delle favorite assolute. E promette spettacolo. Nella prima uscita ufficiale della stagione in effetti lo spettacolo arriva. Ma per gli altri. Supercoppa contro il Napoli che strapazza i bianconeri per 5-1. Iniziano le polemiche, ancora prima della stagione praticamente. Si parla di difesa allegra, di zona senza senso, di centrocampo poco incline al filtro. Maifredi risponde che Dunga serviva a quello. Continua a sostenere, anche dopo anni, che con il centrocampista brasiliano avrebbe vinto lo scudetto.
Una scena emblematica dell’esperienza bianconera di Gigi Maifredi si può avere spulciando su youtube, un raro filmato di una partita di Coppa Italia, datata settembre 1990 contro il modesto Taranto. La Juve viene inopinatamente sconfitta per 2-1. Nelle riprese frutto di una telecamera nascosta negli spogliatoi, si vede, e si sente, un Maifredi infuriato con i suoi, che parla apertamente di guerra tra lui e la squadra. Siamo solo a metà settembre e il mister con i suoi giocatori è già ai ferri corti. Inoltre intorno a sé non sembra esserci molta attenzione, nessuno lo ascolta, e il filmato si riduce a lunghi minuti di accuse, imprecazioni e minacce. Eppure la qualità di quella squadra è abbastanza alta, alterna recite deludenti a sprazzi di calcio celestiale, con alcune partite memorabili come il 5-0 rifilato alla Roma o il 4-2 all’Inter di Trapattoni. Alla fine del girone d’andata è agganciata al treno delle prime, due soli punti dalla vetta, in coabitazione con la Samp che sarà poi campione d’Italia.
Le immagini impressionanti, significative e, in un certo senso, divertenti, di quella celebre sfuriata
Ma tutto il vento seminato nei primi mesi in bianconero si tramuta velocemente in tempesta nel girone di ritorno. Maifredi non capisce che il suo calcio per funzionare ha bisogno assoluto del coinvolgimento emotivo della squadra. E se questo non c’è bisognerebbe adottare contromisure, che l’omone di Lograto non ha la minima intenzione (o soluzione) di attuare. Arrivano sconfitte sanguinose contro le piccole, che fanno allontanare la squadra dalla vetta. E una volta resasi conto dello sfumare di obiettivi importanti, la formazione bianconera molla di schianto, lasciando il proprio timoniere in balia delle onde.
Maifredi viene tradito da quello che sembra in realtà uno dei suoi punti di forza: l’empatia. Tanto era stato l’affetto e il coinvolgimento con l’ambiente nella bella avventura di Bologna, con squadra società e tifosi travolti dall’avverarsi dell’illusione, quanto a Torinolo sono le difficoltà, lasciando il mister solo con le sue convinzioni, portate avanti testardamente anche in contrapposizione con chi doveva tradurre l’illusione in realtà, cioè la squadra. La Juve, che aveva pensato a Maifredi la prima volta sull’onda di una deludente stagione conclusa quasi fuori dall’Europa, con il mister bresciano in panchina si piazza settima. Questa volta davvero fuori dalle coppe europee. È uno dei risultati peggiori di sempre. Per ritrovare una Juve sotto il sesto posto bisogna tornare ai tempi del pallone di cuoio marrone e dei servizi calcistici nel cinegiornale.
Fallimento incredibile, reso ancora più aspro dal fatto di era stata la squadra, la Juventus, ad aver speso di più nel mercato estivo. La carriera di Gigi Maifredi non si riprenderà più dopo quei 9 mesi tinti di bianconero. La magia del suo Bologna non si ritroverà più nelle seguenti tappe del suo pellegrinaggio verso il bel gioco, che toccherà anche mete esotiche come l’Esperance di Tunisi. La Juve, scottata dall’illusione del bel calcio, si rifugia nella confortante e classica figura di Trapattoni, ripudiando totalmente la strada intrapresa appena un anno prima. Tacconi per tutta la stagione seguente continuerà a punzecchiare il mister bresciano, dicendo di non voler sentire parlare di zona neanche alla lontana.
Maifredi riuscirà a portare il suo integralismo calcistico a spasso per i salotti del calcio parlato, fino a quando anche qui si stancheranno della sua testarda boria, come testimoniato dallo spiacevole siparietto contro Ciro Ferrara, accusato di sperperare un patrimonio tecnico con cui lui riteneva di poter facilmente vincere lo scudetto. Resta tutto quindi nel campo dell’illusione. La splendida e sensuale illusione che ha cullato i tifosi bianconeri nella magica estate del ’90, ammaliati dalla promessa di un calcio frizzante ed inebriante come lo champagne. Il vino era scadentee ha lasciato solo un gran mal di testa al duro risveglio dal sogno del bel gioco.
Claudio Pasqualin ci parla senza peli sulla lingua e senza retorica. E forse anche con un filino di nostalgia per il calcio di vent'anni fa, auspicando che in qualche modo se ne possano recuperare i valori.