Perché tenere in alta considerazione le Milano-Sanremo? O davvero è una corsa noiosa?
La Milano-Sanremo è dietro l’angolo e, come ogni anno, è anticipata da una scia infinita di previsioni, pronostici e riflessioni più o meno critiche e ponderate. È la prima monumento dell’anno, è normale sia così, con un intero popolo in crisi d’astinenza da ciclismo. Una delle affermazioni più gettonate è quella che descrive la Classicissima come una lunga processione, una delle corse più noiose della stagione che si risolve quasi sempre in una volata di gruppo e che deve tutto alla sua storia e al suo glorioso passato. Non tutti la pensano così, aggiungiamo noi, fortunatamente. Ma scendiamo nel merito: perché la Milano-Sanremo viene vista e interpretata in questo modo?
Partendo dalle sue origini, che come succede per le corse più importanti combaciano con quelle del ciclismo inteso come sport, si può dire che questa corsa è “nata semplice”. Certo, strade asfaltate e mezzi sempre più all’avanguardia non hanno fatto altro che accelerare questo processo, ma la Sanremo ha sempre dovuto convivere con questo cruccio: un chilometraggio importante, praticamente unico, inversamente proporzionale alle difficoltà altimetriche e planimetriche che offre il percorso. Il Turchino non è più decisivo, i Capi non lo sono mai stati, Cipressa e Poggio di tanto in tanto ma anche questa tendenza sembra ormai appartenere al passato. Torriani inserì queste due ultime asperità rispettivamente nel 1982 e 1960 ma non sempre hanno dato i risultati sperati. Il percorso non è né impegnativo come quello della Liegi e del Lombardia, né tortuoso come quello del Fiandre e della Roubaix. Le leggende e l’albo d’oro non possono bastare, da sole, a giustificare l’entusiasmo che ogni anno viene a crearsi intorno a questa corsa. E allora, cos’è che rende affascinante la Milano-Sanremo?
L’incertezza. Proprio così: il fascino della Classicissima è da ricercare nella sua componente più astratta e ingovernabile. Prima di tutto, per quanto sia effettivamente pedalabile dal punto di vista altimetrico, la Sanremo non è piatta e quindi le squadre dei velocisti non sempre sono in grado di prendere in mano la corsa e gestirla per quasi trecento chilometri. Non è una tappa di pianura del Giro o del Tour, ma una classica che nel finale si apre a più soluzioni: chi sostiene che sia una corsa per velocisti e volate di gruppo, semplicemente sbaglia. Le ultime edizioni, da questo punto di vista, sono esemplari. Goss, Gerrans, Ciolek, Kristoff, Degenkolb, Démare, Kwiatkowski: dal 2011 ad oggi, nessun arrivo in solitaria. Il successo è arrivato al termine di uno sprint a ranghi ristretti: quando trenta corridori, quando tre, il gruppo compatto nelle ultime sette edizioni non è mai arrivato a giocarsi la Sanremo. Cipollini, Petacchi e Cavendish, i velocisti puri più importanti degli ultimi vent’anni, l’hanno vinta soltanto una volta a testa. Kittel, il migliore delle ultime stagioni, non ha mai partecipato. È vero, Zabel l’ha conquistata quattro volte, ma non dobbiamo dimenticarci che stiamo parlando di un corridore capace di piazzarsi quarto al Fiandre in due occasioni, e terzo alla Parigi-Roubaix. Forse è anche questo paradigma a trarre in inganno: si pensa, in maniera un po’ troppo semplicistica e superficiale, che la Sanremo sia una gara univoca per velocisti quando invece è aperta ad un ventaglio di soluzioni a dir poco vasto.
Gli ultimi trenta/quaranta chilometri della Classicissima sono di gran lunga i più incerti della stagione. Non è detto che siano emozionanti o spettacolari: imprevedibili, però, senz’altro. Sagan vi partecipa dal 2011, ogni anno sembra quello buono, nemmeno lui sarebbe stato in grado di disegnare un percorso così adatto alle sue caratteristiche: eppure non l’ha ancora centrata, due volte secondo e due volte quarto. La Milano-Sanremo si può vincere in mille modi diversi. Chiappucci scelse il Turchino, Bugno la Cipressa, tanti altri il Poggio (o la discesa del Poggio, altrettanto complicata da interpretare). Cancellara ha colto il momento nei chilometri finali, Tchmil e Pozzato erano già abbondantemente dentro gli ultimi mille metri. Cavendish attese il photofinish, che servì anche nel 2004 per il secondo successo di Freire: soltanto lui si rese conto d’aver vinto, nessun altro, sicuramente non Zabel che alzò le mani troppo presto. La Sanremo, quindi, è una corsa matta nonostante la sua linearità: altro che una volata lunga trecento chilometri.
Attenzione, questo non significa che il percorso non debba essere toccato. Come detto in apertura, la Classicissima lotta da sempre con questa sua semplicità, l’unica che fa di tutto per rendersi più complicata. La speranza è che non venga mai snaturata: la sua incertezza è la peculiarità che la distingue da tutte le altre corse del calendario, sarebbe un peccato se rendendola più dura finisse per assomigliare ad una delle tante altre gare della stagione. E poi, ogni evento è potenzialmente criticabile. Basti pensare alla Parigi-Roubaix e al Tour de France: la prima viene spesso reputata anacronistica e voyeuristica, la seconda noiosa e giustificata soltanto dal denaro che muove. Senza considerare che il periodo di stanca che il ciclismo sta attaversando dal punto di vista dello spettacolo, sta distorcendo e non poco le nostre percezioni. Da un lato si bramano le emozioni in maniera spasmodica, arrivando addirittura a maledire le tappe di pianura della Boucle e i velocisti, corridori (secondo molti) senza arte né parte che stanno a ruota per sei ore salvo poi spuntare fuori a duecento metri dal traguardo; dall’altro, invece, si rischia d’esaltarsi per la normalità, com’è successo sabato scorso quando la Tirreno-Adriatico è arrivata a Sarnano Sassotetto: tappa regina che si è conclusa con i favoriti praticamente appaiati e conquistata da Landa al termine di una mezza volata a quattro, eppure raccontata come spettacolare, scoppiettante, emozionante. Se si trova la voglia per apprezzare una frazione del genere, non vedo come si possa denigrare una corsa come la Classicissima.
In conclusione, si fatica a considerare la Milano-Sanremo una corsa facile, semplice e scontata. Al contrario, è difficile da interpretare e quindi da vincere, ed è stimolante perché aperta a tantissime soluzioni e riflessioni. È la prima Classica Monumento della stagione, introduce nel mese più intenso del calendario ciclistico e chi vuole vincere qui deve saper abbinare resistenza, velocità e furbizia come in nessun’altra gara. E poi, fosse soltanto perché costeggia il mare di marzo, per decine e decine di chilometri.