Ormai ci siamo. Tra poche ore al Millennium Stadium di Cardiff verrà assegnata la sessantaduesima Coppa dei Campioni/Champions League. A contendersi il più prestigioso trofeo internazionale per squadre di club saranno Real Madrid e Juventus, due società che condividono la medesima invalidante patologia: l’allergia da secondo posto. Che entrambe si affannano a curare con il più efficace degli antistaminici: la vittoria. Perché in fondo arrivare secondo significa essere il primo degli sconfitti, secondo l’orientamento del grande Ayrton Senna, a proposito di soggetti allergici incurabili. Il problema è che sia Real Madrid che Juventus sono abituate ad occupare il trono del vincitore, ben consapevoli che la poltrona più ambita è tanto comoda quanto stretta: c’è solo un posto per il numero uno. Questa è la dura realtà che getterà nello smarrimento più totale la compagine che uscirà sconfitta dal confronto, facendole maledire l’approdo in finale.
Con 33 titoli nazionali a testa, le due finaliste rappresentano i riferimenti di Spagna e Italia, e in tutte le epoche i loro risultati, positivi o negativi che fossero, hanno definito il livello dei rispettivi movimenti calcistici. Ma è sul terreno che maggiormente interessa in questa sede, quello della Champions League, che la condanna alla vittoria pendente su entrambi i club si colora di sfumature affatto diverse. Con 11 vittorie contro 2 i Blancos possono vantare un autentico diritto alla conquista della coppa dalle grandi orecchie, cui fa da contraltare ‘solo’ un dovere sul versante bianconero. Come accade in questi casi, è la storia della manifestazione a offrire la misura di questa diversità di approccio. Quello tra il Real Madrid e la Coppa dei Campioni è unrapporto quasi simbiotico. Si sono piaciuti sin da subito, ovvero dal 1955, anno di fondazione della competizione. Pronti, via e i madrileni, conquistando le prime cinque edizioni (1955-60), misero subito le cose in chiaro facendo terra bruciata intorno a loro, e per scongiurare il rischio di possibili fraintendimenti apposero il punto esclamativo del sesto trofeo nel 1966. Questo dominio a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, reso possibile da leggende quali Alfredo Di Stefano, Ferenc Puskás e Francisco Gento, fu un vero e proprio rito iniziatico che permise – e permette tuttora – alla casa blanca di esercitare una enorme influenza mista a fascinazione e rispetto sulla scena europea e mondiale. In ogni epoca il Real Madrid è riuscito a conservare il primato di Coppe Campioni conquistate; eppure c’è stato un periodo piuttosto lungo, dal ’66 al ’97, in cui quella terra bruciata è stata irrorata e resa fertile da altre compagini che in maniera deliberata hanno rischiato di sovvertire l’ordine precostituito. Le strabilianti epopee di Ajax, Bayern Monaco, Liverpool e Milan hanno minato non poco lo status del Madrid quale supremo riferimento del calcio europeo.
E anche la Juventus, l’avversaria di stasera, non ha nascosto le sue mire espansionistiche portando a casa due titoli, nell’85 (edizione, questa, passata tristemente alla storia per la tragedia dell’Heysel) e nel ’96. Tuttavia, nonostante il grande sforzo profuso, il rapporto tra i bianconeri e la Coppa dei Campioni non è mai decollato. Quei famosi “dettagli”, elementi qualificanti della competizione, sono stati spesso avversi alla Vecchia Signora. Un po’ per sfortuna, un po’ per malgoverno dei momenti decisivi, la Juventus in 61 anni non è riuscita a stanziarsi tra le grandissime d’Europa, stabilendo il beffardo record di squadra con il maggior numero di finali perse (ben 6). Da questo punto di vista è emblematico il quadriennio ’95-’98, in cui la Juve, tra Coppa Uefa (contro il Parma nel ’95) e Champions, disputò quattro finali consecutive, vincendo però solo quella di Roma ai rigori contro l’Ajax. Un fatturato troppo esiguo se si considera che la squadra di Lippi, per intensità di gioco e spirito di sacrificio, rappresentava il riferimento europeo di quegli anni, contribuendo in maniera decisiva ad issare il campionato italiano al vertice del ranking Uefa (1999).
Proprio per questo motivo, alla vigilia della finale di Amsterdam del 1998, il precedente più illustre tra le finaliste 2017, era da tutti gli addetti ai lavori considerata la favorita; tanto che in quell’occasione il diritto di vincere era appannaggio dei bianconeri, che cedettero ai rivali, in piena crisi di identità e a digiuno da ben 31 anni, il dovere di dimostrare di essere ancora i ‘padroni di casa’. Ma il miglior Del Piero di sempre (capocannoniere della competizione con 10 centri e vittima di un infortunio nel corso del match), Zidane e Inzaghi non bastarono. Tra le occasioni mancate da Super Pippo si inserì la rete decisiva, in fuorigioco, di Pedrag Mijatovic, che consegnò alle Merengues il settimo successo della loro storia. Così, mentre la Juventus fu costretta ad aggiungere il giocatore montenegrino alla lista degli ‘incubi’, accanto a Rep, Magath e Riedle, il Real si rimise in careggiata e dal quel momento in poi si aggiudicò altre quattro Champions (2000, 2002, 2014, 2016) portando i successi della casa blanca a 11. Durante questo periodo la Juve ci ha riprovato altre due volte, nel 2003 e nel 2015, riemergendo ancora più affamata dalle macerie di Calciopoli. Ma le finali contro Milan e Barcellona si sono risolte in un nulla di fatto.
Occasioni mancate, rigori falliti, squalifiche evitabili e qualche svista arbitrale hanno rappresentato quei dettagli che, sommati alla bravura degli avversari, si sono tradotti in ulteriori violazioni del codice bonipertiano: “vincere non è importante, è l’unica cosache conta”. Un principio che viene alimentato proprio dalle sconfitte, che ne accrescono a dismisura l’inderogabilità elevandolo a fardello non più sostenibile. Ecco perché la Vecchia Signora stasera, alla seconda finale in tre anni, ha il dovere di conquistare la sua terza Champions. Per liberarsi da questo peso opprimente, correggere la tendenza negativa e dimostrare di essere una grande d’Europa a tutti gli effetti, esportando sul palcoscenico internazionale quel protagonismo (incontrastato) che esprime sul versante italiano da sei anni a questa parte. Ma per farlo dovrà vincere l’opposizione di un’altra forza uguale e contraria: il diritto del Real Madrid ad essere, così come accadde per la Coppa dei Campioni, la prima squadra ad aggiudicarsi due edizioni consecutive della Champions League (dal 1992/93 nuova denominazione del torneo), impresa ad oggi mai riuscita a nessuno. Uno scontro tra forze di questa portata non si limita a coinvolgere i protagonisti, generando una irresistibile attrazione sul mondo del calcio e non solo. Perché tra chi ha il diritto e chi il dovere di vincere, ci sono anche miliardi di persone su cui incombe l’obbligo di vedere come andrà a finire.