L’arrivo a Fiumicino di Paul Gascoigne, nell’estate del 1992, rimane uno degli eventi memorabili nella storia della Lazio. La recente ascesa del patron Sergio Cragnotti permise al club romano di portare nella capitale uno dei talenti più fragili e sublimi che il calcio britannico avesse prodotto dai tempi di Lineker, suo contemporaneo. Con Lineker Gazza aveva condiviso dolci lacrime al Tottenham, lacrime amare con l’Inghilterra ad Italia 90.
Era in questo scenario, meraviglioso, in uno dei mondiali più appassionanti di sempre, che il giovane Gascoigne (nel ‘90 aveva 23 anni) seppe mettersi in mostra, come espressione di un calcio particolarissimo, forse mai visto, abbinato ad un carattere tipicamente British. I tifosi della Lazio lo attesero con speranze messianiche; era Gascoigne l’uomo della rinascita, idolo britannico di una curva che da quella terra traeva la massima ispirazione in termini di appartenenza e stile. A Cragnotti era particolarmente piaciuto quel ragazzotto di Dunston, in azione durante l’ultimo mondiale in terra nostrana, almeno quanto piacque ai suoi tifosi quel colpo da 8.5 milioni di sterline.
Ad attendere a Roma Paul Gascoigne c’era Dino Zoff. Non poteva esserci contrasto più marcato. Dino, uomo virtuoso, dai saldi principi morali, semplice nella sua bontà. Paul, irriverente mascalzone venuto dall’Inghilterra, amante della follia, genio sregolato dentro e fuori – soprattutto fuori – dal campo. “Mi avevano detto che lei mi cercava, mister, così sono corso giù di fretta, ma non ho fatto in tempo a vestirmi”; la frase è di Paul Gascoigne, l’aneddoto lo racconta Dino Zoff. Gascoigne si presenta nudo di fronte al proprio allenatore, senza timore dei propri compagni, che lo amano fin da subito.
In questo c’è del vero, Gascoigne non ebbe mai dei veri nemici. Li ebbe (forse) in campo; i demoni erano tutti dentro di lui. L’alcool soprattutto, amara tortura che lo accompagnerà sempre. Di amici ne ebbe parecchi, Paul, all’interno del collettivo Lazio. Uno su tutti, Luigi Corino. Giocatore dal calcio sporco, figlio del sacrificio, difensore vecchia scuola amante del fango e del rude tackle. Non di certo il joga bonito dei fuoriclasse brasiliani, tanto per intenderci. Lui e Gascoigne si intesero subito; Gazza amava i personaggi genuini, e Gigi era uno di questi.
Una volta mi disse di passarlo a prendere a casa, perché lui a Roma non guidava, girava con l’autista. Quel giorno però era a piedi. […] Gli dico di sbrigarsi, perché Zoff era inflessibile e se arrivavi in ritardo le multe fioccavano. Lui mi offre una birra, mi accende la televisione e mi fa mettere seduto in salone. Dopo dieci minuti, niente. Lo chiamo, salgo a cercarlo, niente. Era sparito. Esco e mi rendo conto che mi aveva rubato la macchina ed era andato al campo di allenamento, lasciandomi a piedi. Chiamo di corsa un taxi e quando arrivo in ritardo clamoroso, a Tor di Quinto, lui si rivolge a Zoff e comincia a urlare: ‘Multa Mister! Multa, multa!’, con tutti i compagni in coro, piegati dalle risate perché sapevano dello scherzo.
L’empatia che Gascoigne riuscì a creare fin da subito con tutti lo aiutò ad adattarsi ai ritmi, e alle noiose quanto tradizionali lezioni tattiche, che il campionato italiano offriva all’epoca, un’epoca d’oro nella quale erano gli inglesi a guardarci con occhi di ammirazione e invidia. Il calcio britannico non aveva certo la visibilità che possiede attualmente; come all’epoca di Gazza alla Lazio, tuttavia, era riconosciuta e tacitamente condivisa la superiorità calcistica del movimento Italia; superiorità intesa come tutto ciò che avviene prima della partita. In questo Gascoigne riassumeva tutti i pregi e i difetti che il suo calcio gli aveva donato in eredità; ciò che contava era la partita in sé, non quale partita, non il perché della partita. E’ ciò che accade anche oggi in Premier.
Gascoigne era un recipiente di fuochi d’artificio esposti ad una fiamma pericolosissima. La sua sfortuna era quella di possedere un talento calcistico tutt’altro che comune. Una dote che comportò sulle sue spalle un peso incredibile, fin dai tempi del Tottenham. L’esigenza della stampa inglese, che in lui vedeva il dieci da tempo atteso in nazionale, gli mise delle pressioni che al termine di Italia 90, con l’uscita in semifinale della sua nazionale, scaturirono in un pianto disperato, diventato poi immagine iconica di quel mondiale. L’abbraccio di Gary Lineker a fine partita non riuscì a placare una disperazione inattesa, quasi buffa, se si pensa alla consueta e ilare figura di Paul Gascoigne. Il suo esordio con la maglia della Lazio avviene il 27 Settembre, contro il Genoa.
Per quarantuno minuti, Gazza fa impazzire la formazione ligure nel blocco di campo centrale, zona che lo fa esprimere ai massimi livelli. Le sue incursioni palla al piede, partendo dalla luna del centrocampo, sono diventate un cult. Serpentine maestose in fuga dai suoi avversari, troppo veloce anche per le sue gambe, spesso vittime della sua particolare conformazione fisica. La partita col Genoa dura quarantuno minuti per motivi precauzionali. Quando Mario Bortolazzi lo stende, il pubblico dell’Olimpico sospende il clamore per qualche istante; solo un grosso spavento, è una botta al ginocchio e nulla più. Da quel giorno in avanti, la curva nord espone uno striscione che sa di minaccia: GUAI A CHI CE LO TOCCA. Contro il Parma, in coppia con Giuseppe Signori, la Lazio ne fa 5. I biancocelesti ospitano il Milan di don Fabio, e la Lazio ne prende 5. Poi, arriva il derby.
Nella città eterna dall’eterno splendore, la gloria si consuma da secoli. Per entrare nel mito di Roma è necessario qualcosa di straordinario. Non c’è niente di davvero straordinario nel goal di Gascoigne contro i giallorossi, al suo primo derby romano; quel colpo di testa, tuttavia, è una liberazione, per lui e i tifosi della Lazio. Le lacrime di tristezza sgorgate dal suo viso due anni prima sono ora lacrime di gioia.
Un’esultanza vecchio stile, con le braccia sollevate al cielo e la schiena arcuata all’indietro; la più pazza frenesia che un calciatore può provare, segnare un goal al derby sotto la propria curva. In quel momento, tutta l’Inghilterra tifa Lazio, e tutto ciò che è Lazio tifa Inghilterra. Viene sancita un’unione destinata a rimanere indissolubile, già presente prima, ora rafforzata. “The saviour has saved Lazio!”, urla Peter Brackley a Channel 4. La sua voce viene inghiottita dall’urlo della nord laziale. Tutto questo al minuto 89’ (Roma in vantaggio col gol di Giannini). I video dell’esultanza mostrano un dettaglio interessante: Gascoigne sembra pregare, tornando verso il centro del campo, dopo il gol e l’esultanza. Solo alcuni anni più in là, a proposito del derby di Roma (that derby) dirà:
I’ve played in some big derbies before, up in Glasgow as well, but that wasn’t normal. Scoring was just an unbelievable feeling but it wasn’t a good feeling, it was more a feeling of ‘thank god for that’.
Il suo gol contro i giallorossi lo mette al centro di un’attenzione mediatica senza precedenti. Gascoigne in questo era solo. Solo i suoi tifosi lo difendevano, ma non sarebbe bastato a lungo. Le vicende extra-campo rispecchiavano ciò che il personaggio era nel corso della settimana. La stampa italiana, e in parte la stampa romana, non perse occasione di assediarlo e attaccarlo. Il 24 Gennaio 1993, Gascoigne non viene convocato per la sfida contro la Juventus, a causa di un problema fisico (così Zoff nel pre-partita). I giornalisti, incauti, non rispettando la volontà di Gazza di mantenere il silenzio stampa, lo intervistano chiedendogli il perché di quell’assenza.
La risposta di Gascoigne è geniale; rutto ai microfoni e Rai scandalizzata. La Stampa apre addirittura un’inchiesta sul gesto, nei giorni successivi all’episodio. I laziali, nemmeno a dirlo, si schierano dalla sua parte. I giornalisti non avevano rispettato la volontà del giocatore; la sua replica non poteva essere più eloquente. Multa di Cragnotti al giocatore, episodio singolare ma non isolato. Nei tre anni in cui Gascoigne rimase in Italia, gli scherzi, anziché diminuire, aumentarono di numero. Forse una reazione irriverente allo stress cui veniva sottoposto dalla stampa italiana. Gascoigne aveva senza dubbio personalità, ma era un folle. Eppure non era uno sciocco. Nel ritorno col Genoa (stagione 92/93) viene espulso e, anziché reagire, non protesta minimamente, stringe la mano all’arbitro e se ne va dritto negli spogliatoi. Il giorno dopo, la stampa lo elogia come un gentleman. Gascoigne inizia ad apprendere la profumata ipocrisia della carta stampata.
La stagione successiva, 93/94, è costellata di incertezze. Gascoigne non riesce ad animare il suo rapporto con Zoff, allenatore paterno ma severo, lontano (forse troppo, forse a ragione) dai parametri di Paul. Dal canto suo, Gascoigne continua ad affogare nei continui scherzi un malcelato disagio, sia fisico che mentale. Salta praticamente tre mesi, giocando solo alcuni spezzoni. In uno di questi spezzoni, tuttavia, è assoluto protagonista nella vittoria per 3-1 della Lazio sulla Juventus (13 Dicembre 1993). Subisce un infortunio nel derby di quell’anno per merito di Valter Bonacina, il quale aveva malgradito un dribbling subito pochi minuti prima. Il danno fisico non è irreparabile, ma Gascoigne sfrutta il momento per prendere qualche giorno in più di riposo, rimanendo in Inghilterra.
Lo stress fisico si aggiunge a quello psicologico; Paul è stanco delle continue pressioni, ma dice di amare la Lazio e i suoi tifosi. Continua a giocare, senza troppa continuità, fino all’aprile del 1994, quando durante una partitella d’allenamento un ragazzo della primavera, Alessandro Nesta, interviene duramente in scivolata. E’ la fine dell’avventura di Paul Gascoigne con la maglia della Lazio; rottura del crociato e, questa volta, lacrime vere, lacrime di dolore. Nesta è disperato, ma la giovane età gli permette di non pensare troppo all’incredibile danno che ha fortuitamente causato. Rimane meravigliato, e quasi commosso, ma confuso allo stesso tempo, dal gesto che Paul Gascoigne gli riserva al ritorno dall’infortunio, nel campo d’allenamento dove s’erano lasciati:
Una volta tornato dall’intervento alla gamba mi tranquillizzò dicendo che non era colpa mia e mi diede cinque paia di scarpe e un kit da pesca. Non ho idea del perché del gesto, ma era proprio da lui.
Gazza lascia i biancocelesti nell’estate del ‘95, tra i rimpianti dei suoi tifosi e l’amarezza dei suoi compagni. L’arrivo di Zeman e lo spazio da lui riservato a Di Matteo, proprio al posto di Gazza, ne accelerano senza dubbio la partenza. Lo aspetterà la Scozia, destinazione Glasgow Rangers. Ma quella fiamma che Gascoigne tiene accesa da Italia 90 si spegne – quasi del tutto – al termine dell’avventura con la maglia della Lazio. Qui Gascoigne è venerato ancora oggi come un Re, e una sua bandiera capeggia in curva da anni. Viene sventolata per la prima volta nel 2012; in quell’occasione, la Lazio ospita il Tottenham in Europa League e Gascoigne torna all’Olimpico con le lacrime agli occhi. Nessuno ha dimenticato la sua estate romana. Nessuno potrà mai dimenticarla.