Il 9 settembre del 1971 veniva a mancare una leggenda della Lazio.
Le notizie corrono in fretta, specie quelle brutte. È il primo pomeriggio di giovedì 9 settembre 1971 e i tifosi della Lazio sono ancora felici per il gol di Chinaglia nel derby. Battere la Roma dopo sei anni di astinenza è una soddisfazione, ma all’improvviso l’espressione di gioia muta di segno. A 89 anni compiuti da tre giorni è appena morto Sante Ancherani, il primo grande bomber della Capitale. Un uomo e un personaggio che oggi non tutti, forse nemmeno tanti tifosi della Lazio, ricordano come meriterebbe. Di se stesso era solito dire: “Il calcio a Roma sono io”. Una frase che può apparire presuntuosa, vanamente autocelebrativa. A inizio XX secolo, Sante Ancherani è stato l’uomo che di fatto ha inventato il derby ed è anche il primo mattatore della stracittadina. Certe affermazioni bisogna anche potersele permettere.
Le discese ardite (e le risalite)
Nonostante la parlata dialettale, “schietta” come si diceva un tempo a Roma, Sante Ancherani è nato nel settembre del 1882, a Cotignola, piccolo paese in provincia di Ravenna. La famiglia si sposta nella Capitale quando lui ha quattro anni e Roma lo fa subito romano. Il primo derby ufficiale del calcio capitolino avviene l’8 dicembre 1929 ma la storia è cominciata parecchi anni prima. Il 15 maggio 1904 la Lazio gioca con la Virtus. Quella della stracittadina romana numero zero è una vicenda fatta di personaggi che sono diventati leggenda, di pionieri che giocavano con scarpe rimediate, in campi fatiscenti, con maglie cucite a mano da fidanzate e da parenti sarti.
Strano a dirsi ma nel 1900 i romani non conoscono il mare. La bonifica dell’Agro, la campagna che si estende a sud e che porta dritti al litorale, è solo un’idea. Dunque, anche in termini di spazi sportivi, gli abitanti della Capitale si godono ciò che hanno a disposizione, essenzialmente il Tevere. Sante Ancherani è conosciuto come uomo delle imprese ardite, soprattutto presso i “fiumaroli” romani, che raccontavano di sette salvataggi accertati di altrettanti aspiranti suicidi. Li strappa alla morte un ragazzo dallo stile natatorio non proprio ortodosso ma dotato di un coraggio fisico ineguagliabile. Al limite della temerarietà.
Una palla che rotola raccoglie adepti
Nel 1901 Sante Ciro Agide Ancherani (socio con tessera numero 6 della SS Lazio) decide di lasciare il nuoto per dedicarsi a un nuovo sport arrivato dall’Inghilterra. Si chiama football, viene tradotto come calcio e pare che non sia niente male. Intorno a sé il ragazzo riesce a radunare un gruppo di coetanei che si danno battaglia sui campi di piazza d’Armi, a due passi da piazza Mazzini, quartiere Prati. Il luogo è poco lontano da piazza della Libertà, dove è stata fondata un anno prima la Società Sportiva Lazio. Sono quasi tutti ragazzi della borghesia cittadina, quella che nei termini socio-economici di inizio secolo si distingue in “generone” e “generetto”, a seconda delle caratteristiche professionali e della robustezza del portafoglio.
Latifondisti, militari di carriera o commercianti che siano, gli adepti hanno capito la filosofia della Polisportiva cui appartengono: lo sport non dev’essere un fatto di élite, poco alla volta va divulgato a tutti i ceti sociali. Tutto a tutti? No, ma almeno la possibilità. Non sarà un progetto che per i canoni di allora può essere etichettabile a sinistra, ma risponde senz’altro a un certo liberalismo di ampie vedute. Accade tutto nella sede di Via Valadier 21: un giorno, un commerciante italo-francese, Bruto Seghettini, chiede se gli iscritti della Lazio per caso conoscono le regole del calcio. Ancherani è perplesso. No, proprio non le conosce, ma è sinceramente incuriosito dalla descrizione del gioco.
Guarda l’interlocutore e gli chiede di andare con lui a Piazza d’Armi, vuole almeno vedere come si gioca. Una dimostrazione visiva aiuta a capire meglio. Una palla presa a calci che rotola in fondo a una porta (ancora immaginaria) dà vita a tutto il resto. Nel 1901 quindi, Sante in persona fonda la sezione calcio di una società che sta acquisendo sempre più discipline. Ma mentre al Nord si giocano già i primi campionati, nella Capitale quelli della Lazio non hanno avversari ed è brutto giocare da soli. Serve un’avversaria? Tranquilli, ci pensa Seghettini: a fine anno nasce l’Audace, il calcio ancora non è previsto ma per assurdo il campo sì.
È il Velodromo Roma del quartiere Salario. Per trovare undici giocatori cui affidare la maglia biancorossa serve ancora tempo. La Lazio invece è già pronta. Nominato capitano dagli altri componenti della squadra, Ancherani si fa portare direttamente dall’Inghilterra un paio di scarpe bullonate, gli antenati degli scarpini. Quando il mega pacco arriva a destinazione lui lo gira direttamente al calzolaio di fiducia e si fa creare altre dieci paia su misura, che poi distribuisce ai compagni di squadra. A Roma il calcio è stato fatto e ora anche i calciatori. Merito del carisma ma anche della testardaggine di un ragazzo nemmeno ventenne, la cui leadership interna non viene mai messa in discussione.
Il gruppo cresce e si abitua a lottare, gli uni per gli altri, ma gli avversari che trovano sono sempre gruppi improvvisati di gente folgorata sulla via del pallone. Il capitano della Lazio è anche il motivatore del gruppo: prima di ogni partita porta tutti a correre lungo il quadrilatero (lungo quasi quattro chilometri) che oggi ospita il Lungotevere, Viale Carso, Viale Angelico, Viale delle Milizie. Siamo dalle parti dell’attuale Stadio Olimpico ma in quel momento nessuno può saperlo. C’è la squadra, ci sono le scarpe bullonate. C’è il campo da gioco, quello della Piazza d’Armi, hanno perfino stilato le regole. Non moltissime ma chiare. Il resto verrà. A distanza di anni, il capitano descriverà così i primi passi del calcio a Roma:
“Da principio, ce mettevamo tutti in circolo, ce spoiavamo e poi cominciavamo a fa’ le porte coi vestiti. Ne mettevamo un po’ da una parte e un po’ dall’altra, misurando circa sette passi e mezzo tra un mucchio de vestiti e l’altro. Io avevo fatto un po’ de sport fin da ragazzo e pe’ quer po’ de velocità che c’avevo riuscivo a fa’ qualcosa che, insomma, all’altri non riusciva. E così decidemmo de formà la squadra (che pe’ esse undici fummo costretti a mette dentro qualcuno che neanche pigliava mai la palla)”.
Cercasi avversaria disperatamente
Nel 1903 nasce la Virtus Roma. La Lazio ha così l’avversaria che sognava, altrimenti che senso ha giocare. Con il primo derby nasce la leggenda della stracittadina ma anche il mito di Sante Ancherani. Quel 15 maggio del 1904 il capitano segna tutti e tre i gol del primo derby, finito 3-0 per la Lazio. Partita amichevole, quattro tempi da venti minuti ciascuno. Pare bene che la Virtus nasca da un dissidio tra laziali: alcuni decidono di staccarsi dalla Società e creano una squadra di ”scissionisti”. Verità o leggenda, finalmente si può giocare con qualcuno. Così, nel maggio 1904 c’è il primo incontro vero. Per l’occasione, vengono inaugurate undici camicette di flanella, a scacchi bianchi e celesti. Sono i colori ufficiali della Società Sportiva Lazio.
“Quanno avevamo deciso de fondà la Lazio, avevamo scelto er bianco e er celeste, perché piaceva a tutti. Era delicato, signorile e simile alla bandiera della Grecia, la patria delle Olimpiadi. La Virtus invece era bianca e nera, a scacchi come noi e a volte a metà e metà. Pure loro giocavano a piazza d’Armi, ma un po’ lontano da noi. Tanto piazza d’Armi era grande. Questa è stata la prima partita vera de football che s’è giocata a Roma. Di quei tre gol a distanza de anni non sò più così certo, ma un paio l’ho segnati di sicuro, come è sicuro che vincemmo noi pe’ 3-0″.
Lui dice di averne forse segnati due, i documenti ufficiali riportano che i tre gol della stracittadina hanno tutti la stessa firma. Anche la formazione della Lazio non sembra la stessa da lui sciorinata ma poco importa. Carta canta.
Latium Vetus, nova Lazio
Sante Ancherani è un velocista prestato al calcio. Ma è anche un goleador con licenza di sprintare. Nasce podista, cresce centravanti. È alto poco più di un metro e sessanta ma chi lo prende in velocità è davvero bravo. Infatti non lo prende nessuno. Un giorno i compagni lo cronometrano a sua insaputa: i 100 metri li fa in 13” netti, un tempo pazzesco per i primi del 1900. Pochi anni e la Lazio diventa una realtà calcistica conosciuta anche fuori dai confini regionali. Nel 1900, come entità geografico-amministrativa il Lazio non esiste (verrà istituito solo nel 1948). L’omonima Società Sportiva deve in realtà il nome al riferimento del Latium Vetus, l’antica area sopra la quale sorge la Città Eterna. Non rappresenta altro che la Capitale e i valori sportivi incarnati dai giochi Olimpici dell’antica Grecia. Tutto il resto ben venga, ma è un di più.
Nel giugno 1908 il Comitato Toscano invita la Lazio a un torneo interregionale che si svolgerà a Pisa. È qui che va in scena un’impresa destinata alla leggenda. I giocatori biancocelesti si danno appuntamento alla Stazione Termini e partono con un accelerato verso Pisa. La squadra arriva di notte: molta stanchezza, poco riposo. L’indomani, nello spazio di otto ore, la Lazio di Ancherani batterà, in rapida successione, tre squadre toscane: Football Club Lucca, Spes e Virtus Livorno. L’ultima viene superata con un gol realizzato proprio dall’uomo simbolo della squadra biancoceleste. Per l’occasione il capitano si rende protagonista di uno smacco ai rivali della Virtus: le sue parole convincono i fratelli Corelli (che parteciperanno alla grande festa toscana) a cambiare casacca. In sostanza, quel giorno avviene il primo episodio di calciomercato sui generis. Ma niente soldi, basta la parola.
Quello del capitano è il talento poliedrico di una personalità debordante. Da un certo momento diventa allenatore-giocatore. Visto con occhi esterni può sembrare strano ma per chi gioca con lui è l’evoluzione naturale delle cose. Anche il calcio è cambiato e sta diventando pian piano uno sport popolare, di massa. Continua a segnare e a far segnare. Quando non gioca, dà istruzioni. Ma nel frattempo ha sviluppato un’altra abilità: se nella Lazio suona la carica, nella banda comunale di Roma Ancherani suona la tromba.
Una passione che non è solo un hobby. Quando l’attaccante smette di giocare nel 1912, all’età di 30 anni, la musica diverrà occupazione stabile. Ma non si vive di sola musica, anche se sei una leggenda del calcio e di fronte a te si aprono le acque quando passi. A Roma Sante Ancherani ha un nome che pesa e intende continuare a metterlo a frutto. Nel dopoguerra il calcio è cambiato e la rivalità capitolina si ammanta anche di altri colori. Via dei Prefetti, cuore di Roma. L’ex calciatore della Lazio, il primo ad aver giocato tutta una carriera (11 stagioni) con la stessa maglia, apre un negozio di articoli sportivi.
Non ce ne sono molti, a quei tempi. Nel corso delle generazioni sarà fornitore della SS Lazio ma anche della AS Roma, se uno paga non ci sono problemi. Il suo nome resta negli annali del calcio e la figura quasi perde i connotati del realismo. Diviene a tal punto leggenda che c’è chi, in tono scherzoso, oggi dubita che Sante Ancherani sia mai esistito. È sepolto al cimitero del Verano e ogni tanto qualche tifoso ancora consegna sulla tomba biglietti di ringraziamento. Aveva ragione: “A Roma il calcio sono io” è affermazione più che appropriata. Se non altro, in termini storici, la sua è un’ipotesi inoppugnabile.