Signori cari, buongiorno. Esco adesso da una maratona di oltre 100 ore tra programmi La7, rassegne stampa progressiste italiane ed estere, profili social di influencer alla Lorenzo Tosa e Saverio Tommasi. Una di quelle mangiate pantagrueliche e luculliane che però alla fine riempiono talmente tanto da farti venire il mal di testa e passare l’appetito per due giorni.
Per carità, come il direttorissimo Feltri penso anch’io che gli Stati Uniti siano un paese di ignoranti e imbecilli con manie di onnipotenza (senza offesa eh), oltre che dei colonizzatori piuttosto sgradevoli (questo con offesa), e il mio cuore batte ancora per il generale Soleimani e per l’asse della resistenza, per i miliziani totali in Medio Oriente, per gente che pensatela come volete ma porca miseria combatte davvero contro il mondo fino alla morte, fino a scagliare un bastone contro un drone. Come potrei stare dalla parte di junk foodDonald Trump e di chi vuole fare di Gaza un parcheggio gestito da Israele S.p.a., come può essere un riferimento ideologico Steve Bannon che qui in Italia se ti va bene lo becchi alla Snai di Centocelle a giocarsi i levrieri virtuali.
Eppure l’elezione di Donald o meglio i suoi effetti, beh cari amici mi stanno facendo godere come poco altro, per le cose con un prezzo ci sarà pure Mastercard ma per la Gruber costretta ad andare in onda il giorno dopo titolando TRUMP 2 LA VENDETTA (tra l’altro derubata a Villa Borghese, qua stiamo davvero facendo l’en-plein), per le filippiche di Alan Friedman e Rula Jebreal, per gli editoriali su Repubblica che descrivono quella di Trump come la vittoria del patriarcato, e ancora per gli appelli disperati degli “attivisti climatici” e le psicosi di quegli stronzi viziati delle università americane “devastati dai risultati elettorali” fino al punto di aver bisogno di un “supporto psicologico”, ebbene per tutte queste cose davvero non c’è prezzo.
Comunque non volevo parlarvi di ciò, già troppe se ne sono dette, ma a proposito di squinternati woke che poi fanno ridiscendere nel mondo reale anche noi aristocratici apolitici, costretti malvolentieri ad essere conservatori quantomeno del buon gusto, a rimpiangere le cose e le persone normali, ebbene c’è una notizia che mi ha affascinato particolarmente, di cui volevo mettervi a conoscenza e che ci introdurrà al tema di oggi. Non so se lo sapete ma è ufficialmente arrivata la prima collezione di moda al mondo realizzata con lana di montoni gay. «Si chiama Rainbow Wool – come scritto su Vanity Fair – e contribuirà a finanziare le attività della Lsdv+, la Federazione Queer Diversity in Germania». Per chi volesse approfondire ecco la spiegazione, giustamente uno potrebbe rimanere un po’ disorientato sennò:
«Che cosa sono i montoni gay? Si tratta di ovini che non vogliono riprodursi: per questo sono considerati privi di valore nell’allevamento industriale e finiscono al macello. Il filato di Rainbow Wool proviene da una fattoria di Löhne, in Nord Reno-Westfalia, di cui si occupa il pastore Michael Stücke, membro dell’Associazione Gayfarmer. Questo filato (…) è prodotto conla lana di oltre 20 pecore gay che, al posto di essere macellate, nella fattoria arcobaleno possono godere di una lunga vita e fornire lana di alta qualità per look di tendenza». E ancora: «Rainbow Wool è una collezione di moda finora unica al mondo», chissa perché nessuno ci aveva pensato prima. Addirittura «ad avere già adottato due di queste pecore è il cantante dei Tokio Hotel, Bill Kaulitz, influencer nel campo della moda e del lifestyle: i suoi montoni si chiamano Karl e Wolli».
Quindi l’appello: “Rainbow Wool invita tutti i marchi a lavorare insieme per un nuovo standard di inclusività nel mondo della moda”.
Che dire. Intanto devo ammettere che il binomio tra un gregge di pecore e le bandiere arcobaleno non so perché funziona, così di impatto quantomeno. Poi non ho afferrato bene il legame tra non volersi riprodurre ed essere gay, secondo questo discorso dovrei essere il nuovo Malgioglio, fatto sta che pure ai montoni, tradizionalmente deputati alla monta, gli animali più virili che ci siano, non gli va più di trombare, era diventato un lavoro. Nella nuova fattoria pure loro si sono ribellati al patriarcato e vedendo un po’ l’aria che tira (la trasmissione soprattutto) si sono riciclati come montoni ricchioni, o comunque come montoni arcobaleno: coccolati dallo star system, trattati con i guanti di lana dal loro pastore gay, con la prospettiva di una vita lunga e confortevole. Chiamateli scemi.
Hanno capito tutto della vita, ve lo dico io, mentre gli altri ancora montano e montonano, sudano e faticano, e viene chiesto loro di prestazionare da queste pecore insaziabili che poi appena cali un attimo ti sostituiscono con un altro montone più prestante, sempre la stessa storia, sempre che ti chiedono di essere più sensibile più aperto meno basico e più in connessione coi tuoi sentimenti e poi non fai in tempo a scoprirti un attimo e prestare il fianco che zac!, ti accoltellano e il giorno dopo sono già al pascolo con un altro. È la teoria della liana, come insegna un caro amico, per cui una pecora non ti lascerà mai se non ha già pronto un altro montone a cui aggrapparsi. Dannate pecore.
Per questo, signori, io stimo e invidio Francesco Totti. Potrà sembrarvi un po’ ardito il collegamento ma . . .
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