Héctor Raúl Cúper capisce presto di non essere un predestinato alla vittoria. Nato a Chabàs, in Argentina, visse una carriera da buon giocatore – ma nulla di più – militando quasi esclusivamente nelle fila del Ferro Carril Oeste, la squadra di Caballito, uno dei tanti barrios di Buenos Aires. Qui vinse addirittura due titoli nazionali, cosa non scontata nella sua carriera, e si conquistò per poche partite anche la convocazione nella Selección di César Menotti. L’esperienza in panchina inizia invece nell’ Huracàn – altra società di Buenos Aires – dove arriva anche la prima batosta.
Era di scena l’ultima giornata del torneo di Clausura argentino del 1994, e all’Huracàn di Cuper bastava un pari per laurearsi campione: niente da fare, la squadra cede rovinosamente in casa contro l’Independiente dando l’addio al titolo. È invece la successiva esperienza sulla panchina del Lanús – nella quale vince il suo primo trofeo da allenatore, la Coppa CONMEBOL, l’equivalente della nostra Coppa Uefa – che vale a Cúper la chiamata nel vecchio continente: l’avventura inizia nel 1997 a Maiorca. Nella prima annata il tecnico santafesino porta i baleari alla finale di Coppa del Re, che perde contro il Barcellona ma che vale comunque una qualificazione alla successiva Coppa delle Coppe, l’ultima della storia prima che la competizione venga spedita in soffitta dalla Uefa.
Nella stagione 1998-99 invece, aperta con la magra consolazione della conquista della Supercoppa di Spagna contro i blaugrana, il Maiorca viaggia ai ritmi più alti della sua storia. Terzo posto nella Liga e una cavalcata in Coppa delle Coppe fino alla semifinale, vinta ai danni dei campioni in carica del Chelsea. Sarà tuttavia il suolo inglese, con sede Birmingham e la Lazio come carnefice, a negare il trionfo al tecnico argentino che saluterà l’isola a fine stagione.
Due splendidi gol della Lazio stendono Hector Cúper e il suo Maiorca
Nell’estate del 1999 l’Hombre vertical sbarca a Valencia per guidare la squadra attesa dall’avventura in Champions League, competizione transitata nella comunità valenciana solo una volta, nei lontani anni settanta. Il cammino europeo parte dal preliminare di agosto, e il Valencia di Cúper miete vittime illustri come la Lazio nei quarti e il Barcellona in semifinale. Nel panorama del fùtbol continentale salgono alla ribalta nomi come Mendieta, Gerard, Farinós, Kily Gonzalez e Claudio López, simboli di una squadra che rappresenta la cenerentola al ballo delle grandi. Così come non passa inosservato anche il condottiero della squadra rivelazione dell’anno, che prima di ogni gara batte la mano sul petto dei suoi giocatori che stanno per entrare in campo.
Il sogno si frantuma però con un brusco risveglio nel momento più importante, quando nella finale di Parigi il Real Madrid, trascinato da un implacabile Raúl, sommerge il malcapitato Valencia con un inappellabile 3-0. Nel 2000-2001 stessa storia: il Valencia passa agevolmente i due turni a gironi, ai quarti elimina un favorito Arsenal e in semifinale a farne le spese è la sorpresa Leeds United. Un’altra finale di Champions raggiunta, e questa volta c’è il Bayern Monaco. L’appuntamento è per il 23 maggio 2001 a San Siro, la successiva casa di Cúper. Già in quel momento, infatti, manca solo la firma per accasarsi all’Inter, ma prima c’è una coppa da vincere.
La partita verrà ricordata come una delle finali più brutte nella storia della Coppa dei Campioni: prevale la paura da entrambe le parti e i gol arrivano solo su rigore. Al termine dei novanta minuti si rimane sull’1-1, così come dopo i supplementari. Il finale sembra scritto da Hitchcock e ai rigori si va a oltranza. Al settimo penalty il Bayern realizza e Il Valencia sbaglia con Pellegrino, ipnotizzato da Oliver Kahn, che diventa l’eroe della serata. Cala il sipario anche sull’esperienza valenciana per Cúper, che ora è atteso da un nuovo lido, ancor più prestigioso, in cui approdare.
Quale campionato se non l’allora più bello del mondo, e chi meglio di una squadra dall’orgoglio ferito come quella nerazzurra, possono offrire al tecnico l’opportunità di un agognato riscatto? Massimo Moratti rivede nell’Hombre Vertical quello che papà Angelo vedeva in un altro argentino tutto d’un pezzo, il mago Helenio Herrera. La stagione 2001-2002 si apre con un’Inter che, nonostante non esalti i palati fini in quanto a gioco, dimostra una solidità inedita in epoca recente.
Ronaldo, atteso come un messia dal popolo nerazzurro dopo due anni di calvario, è ancora fermo ai box. Il biscione là davanti si aggrappa a Vieri, affiancato all’occorrenza da Kallon o Ventola, entrambi rientrati a casa dopo le esperienze in prestito per la provincia. Nel frattempo ci sono anche alcuni diamanti di Recoba. El Chino, quando non è relegato come esterno sinistro nel 4-4-2 cuperiano, sale in cattedra e tiene l’Inter al vertice della classifica insieme ai gol di Bobo Vieri. A venire in soccorso della beneamata nelle ultime drammatiche giornate, finalmente, c’è anche Ronaldo. Rimasto in panchina nella sconfitta interna con l’Atalanta, è contro il Brescia che il brasiliano sfoga tutta la sua rabbia repressa, con una doppietta che ribalta una partita quasi persa e vale soprattutto il primato in classifica.
Il Fenomeno, inoltre, mette la firma anche contro Chievo e Piacenza. Tutto inutile. Il 5 maggio, in uno stadio Olimpico vestito di nerazzurro, l’Inter e il suo allenatore vengono sommersi dai fantasmi che iniziano a materializzarsi con il pareggio biancoceleste, siglato poco prima dell’intervallo. Nella ripresa scende in campo solo la Lazio. Poi le lacrime di Ronaldo, sostituito a partita compromessa. Un rapporto mai nato quello tra il brasiliano e l’allenatore argentino. Quella che doveva essere una giornata trionfale e di redenzione per presidente, allenatore, giocatori e tifosi diventa tragedia. La festa non è qui. Lo Scudetto prende la strada di Torino, tingendosi di bianconero.
Quel celebre (e maledetto per i nerazzurri) 5 Maggio 2002
Nel mese di Agosto si consuma il divorzio tra l’Inter e Ronaldo. Il fresco Campione del Mondo è riluttante all’ipotesi di essere ancora allenato da un Cúper appena confermato da Moratti. Nella nuova stagione l’Inter è competitiva, ma ancora perdente. Al secondo posto in campionato si aggiunge l’eliminazione nella semifinale di Champions League, che in termini di delusione e frustrazione vale quanto un 5 maggio. Nello storico doppio Derby della Madonnina europeo del maggio 2003, terminato con due pareggi, è il Milan ad avere la meglio per il gol segnato in trasferta.
Nel crepuscolo dell’avventura interista dell’Hombre vertical spicca infine la storica vittoria ad Highbury – vecchia casa dell’Arsenal – per 3-0 nel settembre 2003. Il tecnico non ha perso la sua vocazione di comandante nella grande competizione europea, e in Champions sono sei punti in due partite. Sarà il cammino balbettante in campionato però, a compromettere un rapporto già logoro con Moratti, che coglierà il pareggio di Brescia come occasione per esonerare l’argentino. Fine dei sogni di gloria per il tecnico santafesino, reduce da un lustro vissuto al massimo della tensione.
Un lustro in corsa per tutto, da cui uscire con nulla in mano. Seguirà un decennio di oblio, che lo vedrà impegnato in un triste elenco di esperienze come il ritorno a Maiorca, Betis, Parma, nazionale georgiana, Aris Salonicco – con tanto di finale di Coppa di Grecia persa -, Racing Santander e ulteriori soggiorni non felici in Turchia ed Emirati Arabi. Nel marzo 2015 però arriva la chiamata dell’Egitto, e il romanzo sembra riprendere il filo interrotto, arricchendosi di un nuovo capitolo.
Cúper non ha perso il vizio e guida i nordafricani alla finale di Coppa d’Africa 2017, persa per 1-2 allo scadere. Il traguardo più ambito dagli egiziani resta comunque la qualificazione ai mondiali, che mancano dal 1990. È in questo scenario che ha luogo la storica serata dell’8 ottobre, nella quale la doppietta di Salah contro il Congo manda i faraoni alla prossima Coppa del Mondo: un traguardo che porta la firma del commissario tecnico argentino.
Forse non basta la gioia di un popolo esultante per un obiettivo storico a ripagare l’Hombre vertical di tutte le battaglie perse, e dell’etichetta di eterno secondo. Intanto però nella notte del Cairo, mentre in lontananza si sentono i clacson delle automobili che intasano le strade, Héctor Cúper guarda oltre il fumo della sua sigaretta verso l’orizzonte di un’altra estate, con in tasca – e non è poco – un biglietto per la Russia.
Bar Sport, Episodio II. Manifestazioni di giubilo ed entusiasmo della grande narrazione sportiva! Sotto l'albero di Natale potremmo avere ancora un campionato aperto!