Altri Sport
13 Febbraio 2021

McGregor vs Khabib, la guerra dei mondi

Una rivalità che ha segnato le MMA del decennio scorso.

Lo sport sa essere spietato, alle volte. Spietato e smemorato: basta qualche prestazione negativa per oscurare lunghi anni di carriera ad alto livello. Saper gestire la propria legacy è importante, specialmente in uno sport individuale, dove la condizione di singolo può diventare un macigno nei momenti più bui. In uno sport di squadra è possibile nascondersi nelle ombre dei compagni e talvolta anche degli avversari, ma quando si compete da soli è tutto amplificato.

 

 

Arriva un momento in cui chiedersi:devo mollare la presa ora o sarebbe codardo? Devo reagire? Se sì, come? Chissà se tutte queste domande hanno fatto capolino nella testa di Conor McGregor prima, durante e dopo il match con Dustin Poirier disputato il mese scorso, in cui il fighter irlandese ha subito una netta sconfitta per TKO a metà del secondo round.

 

Una vera e propria umiliazione per McGregor, che tornava sul ring un anno dopo l’effimera vittoria contro Donald Cerrone: primo KO della carriera (tutte le sconfitte precedenti dell’irlandese sono arrivate per sottomissione) e terza sconfitta negli ultimi sei match (adesso il suo record è 22-5).

 

A vederlo dall’esterno i segnali non sembravano particolarmente positivi: la sua rituale gestualità in fase di annuncio dello speaker è apparsa decisamente meccanica, spavalderia col pilota automatico inserito. Il linguaggio del corpo durante la contesa poi trasmetteva l’idea di qualcuno che in quel momento volesse trovarsi da tutt’altra parte. McGregor sembra aver smarrito se stesso.

 

 

Chi non ha avuto bisogno di porsi certi quesiti è il suo avversario per eccellenza, l’uomo che l’ha portato allo stremo allontanandolo dall’alloro. Mentre Conor è nell’ottagono a subire la violenza di Poirier, Khabib Nurmagomedov è sul divano di casa, nel suo ritiro dorato. Attualmente l’ex campione UFC dei pesi leggeri si divide tra la sua dimora in Daghestan e Dubai, dove partecipa spesso ad eventi promozionali, senza rinunciare ad allenarsi in una palestra di fiducia.

 

McGregor mentre affronta Poirier nell’evento UFC 257 tenutosi all’Etihad Arena di Abu Dhabi lo scorso 23 gennaio (Ph Jeff Bottari/Zuffa LLC via Getty Images)

 

 

La sua vita è cambiata lo scorso anno, dopo la morte del padre causa Covid-19: un evento che lo ha segnato profondamente e lo ha portato a lasciare le MMA dopo l’ultimo incontro dello scorso ottobre contro Justin Gaethje. Sembra quasi che la vita abbia fatto le scelte al posto suo: abbandonare la competizione sul 29-0, senza l’ombra di una sconfitta né un no-contest, è il modo perfetto per cristallizzare la legacy a cui Khabib fa spesso cenno nelle sue dichiarazioni pubbliche e nei post sui social. Probabilmente è questa ossessione a motivare il tweet del daghestano successivo alla sconfitta di Conor a UFC 257:

 

“Questo succede quando cambi team e lasci andare gli sparring partner che ti hanno reso quello che sei e fai sparring con dei ragazzini, lontano dalla realtà”.

 

L’approccio rispetto all’ultima fase delle loro carriere è emblematico delle profonde differenze tra questi due atleti. Due atleti di grandissimo spessore che, come due rette incidenti, si sono incontrati ad un certo punto della loro vita sportiva per poi percorrere strade diverse, segnati profondamente dalla rivalità che li ha coinvolti.

 

 

 


Gli inizi


 

 

Il primo incrocio, quantomeno reso pubblico, tra Khabib e Conor risale addirittura al settembre 2014 dopo UFC 178, evento in cui l’irlandese aveva messo al tappeto proprio Dustin Poirier in una delle sue prime vittorie di prestigio in UFC (ricevendo anche l’onore della Performance of the Night). Il daghestano allega una foto con McGregor in un suo tweet, definendolo un tipo pericoloso. In quel momento i due sono ancora ben distanti dall’incrociarsi: Khabib combatte nei pesi leggeri, per altro faticando a trovare continuità a causa dei guai fisici che lo attanagliano, mentre McGregor è la next big thing dei pesi piuma, un fighter che rispecchia il suo stile di combattimento in quello del suo personaggio: spavaldo, coraggioso e aggressivo, ma con un fondo di equilibrio che lo tiene in piedi.

 

 

La prima grande differenza con Khabib è proprio tecnica: gran wrestler, il nativo di Crumlin, con pochissimi rivali quando la battaglia si svolge in piedi; grappler sublime il nativo di Sil’di, allevato col sambo, l’arte marziale di marca russa che istruisce sull’uso del fisico nelle più svariate situazioni di vita vissuta e fa largo uso delle leve. Per diverso tempo quella foto in amicizia tra le due promesse UFC rimane l’unico punto di contatto tra Nurmagomedov e McGregor, che proseguirono parallelamente i loro rispettivi percorsi: altre vittorie per Conor, altre rinunce per Khabib, che nell’attesa di fare capolino sul tappeto di lotta ha affinato la pazienza e rafforzato i nervi.

 

Khabib Nurmagomedov, from Daghestan with love (Ph Francois Nel/Getty Images)

 

 

Passano più di due anni, febbraio 2014 – aprile 2016, tra il match contro Rafael dos Anjos e quello successivo contro Darrell Horcher (debuttante e rimpiazzo dell’infortunato Tony Ferguson). Non passano inosservate le parole di Conor che, in una conferenza stampa tenutasi nel marzo 2015, nel rispondere ad una domanda di un giornalista che gli chiede chi avrebbe avuto il titolo dei pesi leggeri, fa chiaramente il nome di Khabib alimentando il clima di speculazioni sul suo passaggio di peso. Uno scambio di cortesie che prosegue con il daghestano. Interpellato pochi giorni dopo su un possibile cambio di peso di McGregor, si esprime così:

 

“Mi piace McGregor, se volesse passare dai pesi piuma ai leggeri è il benvenuto. Penso che possa distruggere Josè Aldo, anche se molti ritengono che verrà battuto. Il suo trash talking non è male, sa come fare soldi in UFC: non è uno con cui scherzare”.

 

La tensione tra i due cresce a distanza, montando sottotraccia durante tutto il 2016 tra dichiarazioni sibilline (“Rimani nel tuo giardino”) e dichiarazioni decisamente crude (“Arriverà il momento in cui vi metterò [a Conor e all’allora campione Eddie Alvarez, ndr] le mani addosso”) da parte di Khabib. Poi UFC 205: mentre McGregor sconfigge nel main event Eddie Alvarez, conquistando il Titolo al suo primo incontro nella categoria dei leggeri, Khabib sottomette perentoriamente Michael Johnson portandosi sul 24-0 e mandando un messaggio al presidente Dana White. Anzi, più di uno. Alla fine di ogni round si rivolge verso di lui mimando il gesto della cintura, e nel post-match non ci va giù leggero nei confronti di McGregor:

 

“Capisco quanto potere hanno i PR della UFC: a inizio anno il vostro pupillo cede come un pollo, e alla fine dell’anno combatte per il titolo. Folle! Questo non è trash-talking, ma è la verità. Ricordate: irlandesi, 6 milioni; russi, 150 milioni. Voglio combattere contro il vostro pollo”.

 

Per la prima volta in questo lungo confronto indiretto, l’Aquila estrae dal suo bagaglio la bandiera russa, come a rafforzare il confronto secolare tra Oriente e Occidente. Dal novembre 2016 fino al 2018 la rivalità si sviluppa come una vera e propria guerra fredda.

 

 

 


L’alpha e l’omega


 

“We share the same biology, regardless of ideology” cantava Sting nella sua “Russians”, un inno al disgelo tra le due super potenze del XX secolo. La stessa biologia, o meglio lo stesso retroterra socioculturale, lo condividono questi due uomini, che oggi sembrano agli antipodi. Entrambi figli della classe media (tassista Tony McGregor, judoka e poi allenatore Abdulmanap Nurmagomedov), entrambi incitati fin dalla giovanissima età dai rispettivi padri a farsi strada nella pratica del combattimento. Con una sottile differenza: mentre Khabib fu addestrato direttamente dal padre che lo aveva instradato su un percorso ben preciso nelle MMA, Conor scoprì il mondo della boxe autonomamente all’età di 12 anni, avvicinatosi quasi per caso per difendersi dai bulli.

 

“Al ritorno dalla palestra la prima sera ci chiese perché l’avessimo fatto giocare a calcio per così tanto tempo”, ha ammesso il padre in un’intervista, rivelando anche che non pensava che Conor potesse avere un futuro a livello professionistico nelle arti marziali.

 

“Provammo a farlo lavorare da idraulico, ma non era tagliato per quello. Nel frattempo, continuava ad allenarsi tenendomi all’oscuro di tutto, e il suo amore per la disciplina cresceva. Sapeva a cosa stava andando incontro”.

 

Un percorso diametralmente opposto rispetto a quello di Khabib, che sin dalla tenera età è stato un progetto di campione, meticolosamente costruito per dominare. Destino già scritto contro casualità, rito contro mondanità: nell’approccio alla lotta non si possono trovare due persone più diverse di questi due fighter. Khabib l’austero, che si presenta come un uomo in missione, che parla poco ma quando lo fa sa essere incisivo come l’artiglio di un’aquila.

 

 

Conor il profano, l’uomo che mette sempre al centro i soldi, che riesce a rendere tutto una questione materiale e non sa tenere a posto la sua lingua biforcuta, come quando, rimanendo nel campo della ritualità, si fa beffe delle superstizioni pre-incontro (“Le ritengo un’altra forma di paura” ha dichiarato in passato). I sussurri nella gabbia del russo contro le urla sguaiate del dublinese, segnate da un inconfondibile e marcato accento.

 

Le umili origini hanno segnato entrambi nella loro rincorsa all’oro e all’alloro, ma sembra che nel segmento finale delle loro vite, quello che li ha portati dalla fama al tempo presente, la differenza vera l’abbia fatta il legame con queste.

 

Conor ha messo davanti a tutti e tutto Mystic Mac, il suo alter ego fittizio, che nel guardare troppo avanti ha perso le proprie radici distaccandosi da sé stesso; dall’altro lato, Khabib è a sua volta un personaggio, ma aderente alla sua narrativa e al suo percorso: essenziale, concentrato sull’obiettivo e poco dispersivo. Da un certo punto di vista, sembra quasi che abbia trascinato il personaggio all’interno di sé, l’abbia interiorizzato senza lasciar andare nulla della sua vera natura.

 

Conor McGregor è stato risucchiato dal suo personaggio (Ph Matthew Lewis/Getty Images)

 

 


Passato, presente e futuro


 

Tutto o quasi, per il resto, è concentrato in quel 2018 in cui le vite di questi due uomini si sono fattivamente incrociate, con un incontro subito entrato nella storia di questa disciplina. Al ritorno nell’ottagono dopo quasi due anni, dopo il grande incontro-spettacolo contro Mayweather, l’irlandese tiene testa al campione dei pesi leggeri per tre round circa in quella che si può definire una partita a scacchi: mentre McGregor cercava di tenere la disputa al centro del terreno per far prevalere le sue abilità nello striking, Khabib cercava di portarlo ai lati per chiuderlo nelle sue grinfie, per stritolarlo e infine ingoiarlo.

 

 

Si sa, i russi negli scacchi hanno pochi rivali: dopo un primo round di studio, un secondo in cui il ground and pound di Khabib si fa sentire pesantemente sul fisico di McGregor e un terzo piuttosto equilibrato disputato soprattutto in piedi, è nel quarto round che si risolve la contesa. L’inizio energico di Conor si dimostra velleitario di fronte al dominio di Khabib, che lavora la sua preda passo dopo passo e la porta a gettare la spugna poco dopo metà round a causa di una neck crank che stava quasi per portare allo svenimento il combattente di Dublino. I numeri dicono 27-0 contro 21-4, il campione indiscusso e indiscutibile contro un uomo prosciugato da due anni che porterebbero alla pazzia chiunque, ma non McGregor.

 

Convinto dall’attrattiva economica, dall’orgoglio o forse semplicemente deciso a dimostrare di avere ancora qualcosa da dare in questo sport, l’irlandese si rimette in gioco poco più di un anno dopo, sconfiggendo Donald Cerrone, per poi arrivare alla recente sconfitta contro Poirier.

 

Khabib e McGregor possono essere visti come due tipi di giocatori d’azzardo: The Eagle è colui che sbanca tutto, prosciuga il casinò e se ne va contento; The Notorius è lo scommettitore esperto trascinato in un vortice negativo, che ha messo una cifra spropositata sul piatto e ha perso, ma è ormai troppo preso dal tavolo e continua a rilanciare per recuperare tutto quello che gli è sfuggito dalle tasche. Affacciandosi a quello che può riservare il futuro, si stagliano due figure che sembrano non condividere molto.

 

 

Khabib si dedica a curare la crescita del cugino Umar – che ha esordito da meno di un mese in UFC e ha ancora un record clean (13-0) – e nel frattempo vive una vita da sogno, in cui si permette il lusso di intraprendere la carriera calcistica e comincia a progettare il suo futuro (a inizio febbraio ha incontrato Kirill Alexandrovich, CEO del Fondo Sovrano Russo); Conor cerca di tenere il piede in due scarpe, tra la continua ostentazione e l’amore, seppur questo sincero, nei confronti della sua Dublino, con sullo sfondo una carriera che sembra quasi diventata un dettaglio, ma che probabilmente per lui conta ancora qualcosa nel profondo.

 

L’ultima atto di Khabib: il 25 ottobre del 2020 è uscito vincitore dalla contesa per il titolo dei pesi leggeri UFC con Justin Gaethje, chiudendo da imbattuto la propria carriera (Ph Josh Hedges/Zuffa LLC via Getty Images)

 

 

Così da un lato The Notorius alza la posta, incitando alla chiusura della trilogia con Poirier, mentre dall’altro la vita dell’ottagono sembra ormai alle spalle, almeno in prima persona. Si ribaltano così i ruoli: quello che era un destino naturale per Khabib oggi è una pratica personale che non ha nulla a che fare con l’obbligo, mentre l’hobby serale di Conor oggi è un peso che lo tiene incatenato all’ottagono, con l’obbligo di togliersi di dosso l’etichetta di supernova della disciplina ed effettuare un comeback che avrebbe del leggendario, specialmente per un fighter della sua stazza.

 

 

Quello che molti si chiedono è: riuscirà il banco, rappresentato in questo caso da Dana White, a riportare quel giocatore infallibile nei suoi lidi, o avrà la meglio lo stoicismo di chi sa di aver dato tutto e non vuole sporcare il suo record? Potrebbe esserci un altro grande confronto tra questi due? Se sì, sarà vera gloria o solo una minestra riscaldata? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 


Copertina: Ph Jeff Bottari/Zuffa LLC/Zuffa LLC via Getty Images


 

 

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