La Juventus di Allegri rimaneva l'unica big da battere.
Con il 2-1 di ieri sera alla Juventus, la Lazio di Maurizio Sarri ha battuto almeno una volta tutte le ‘big’ del nostro campionato: il Napoli al San Paolo (0-1), la Roma nei due derby (vinti entrambi 1-0), le due milanesi (4-0 al Milan, 3-1 all’Inter), l’Atalanta (a Bergamo, 0-2) e ora anche la squadra di Max Allegri. I bianconeri, allenati dal Demone di Livorno, avevano rappresentato per la Lazio di Sarri un’autentica kryptonite finora: lo scorso anno 0-2 all’Olimpico e 2-2 (strappato all’ultimo grazie al gol di Milinkovic-Savic) alla penultima di campionato. Quest’anno 3-0 a Torino senza appello e 1-0 in Coppa Italia ai quarti (sempre a Torino). Lazio vs Juventus era insomma diventata un copione riadattato in più versioni: Lazio in apparente controllo, quasi mai pericolosa e anzi incartata nel proprio fraseggio infinito. Dall’altra parte la Juventus di Allegri, contentissima di scivolare nella ragnatela sarriana per poi infilarsi nei buchi da essa prodotti alla prima occasione utile.
Ieri però la sceneggiatura ha sorpreso anche i Dottori della Legge. E ci ha ricordato la grande lezione – e per così dire il grande segreto – del calcio: ogni partita è a sé, impronosticabile. Nel primo tempo la Lazio ha schiacciato la Juventus nella propria metà campo, ma con una qualità e una cattiveria – non a caso sottolineata da Rabiot nel post-partita – che ha spiazzato gli uomini di Allegri (ieri assente influenzato). Non era la solita Lazio palleggiona e sgonfiata, era una Lazio insieme avvolgente e verticale, rabbiosa e furente su ogni pallone. E infatti la riconquista avveniva alta, altissima, sempre nella metà campo bianconera.
I due centrali Casale-Romagnoli (tra i grandi segreti della Lazio, miglior difesa della Serie A) hanno coperto preventivamente un goffo Vlahovic (altra prestazione indecifrabile), e Di Maria – il migliore per distacco nella Juventus – quando aveva spazio non sempre riusciva a trovare nei tempi e nei modi corretti le uscite pulite sull’esterno e i filtranti arditi all’interno. Nel frattempo la Lazio iniziava a creare: prima Immobile con un destro al volo di pregevole qualità (attento Szczesny), poi Milinkovic con una serpentina in mezzo a tre maglie bianconere (decisivo Bremer sul più bello). Ma la Lazio cresceva, e finalmente sbloccava l’incontro grazie a un gol proprio di Milinkovic-Savic, furbo nel giocare con la manina destra sul leggerissimo Alex Sandro, forse ancora con la mente al carnevale di Rio.
Convinta di aver subito un torto, la Juventus si riversava con rabbia centuplicata nella metà campo biancoceleste, trovando il gol da corner al primo vero affondo della sua partita. A segnare, quel Cavallo Pazzo ad oggi miglior centrocampista della Serie A per temperamento e qualità. Finiva così un primo tempo anni Novanta. La Lazio sentiva di aver perso una grande occasione, la Juventus sapeva di dover scendere in campo diversamente nella ripresa per ammazzare l’incontro.
Ma quando la rabbia si condensa e i tacchetti affondano sul prato verde, la Poesia richiede il proprio spazio.
Allora Luis Alberto, al termine di un’azione travolgente della Lazio in pieno stile sarrista, anziché calciare tutto solo sul dischetto dell’area di rigore decideva di entrare nella storia regalando all’occorrente Zaccagni, invisibile dalla sua prospettiva girata di spalle, un pallone d’oro con un colpo di tacco dionisiaco. «Se non lo avesse segnato, lo avrei ammazzato», ha detto a Sky Sport lo spagnolo nel post-partita. Luis Alberto, che era già forte prima, con Sarri è diventato un giocatore straordinario: bravo in fase difensiva, determinato sui contrasti e decisivo sempre in fase offensiva – dove ha aggiunto, ad una leggerezza innata, una concretezza che forse neanche lui sapeva di possedere.
Da lì in poi, Eupalla avrebbe fatto qualunque cosa per impedire alla Juventus di segnare. Ma la Vecchia Signora avrebbe fatto poco, pochissimo, per contraddire il destino delle cose. Che oggi, come da un po’ di tempo a questa parte, ha detto ‘Lazio’. La squadra di Sarri ha sconfitto i propri demoni: ha vinto cioè per la prima volta, da quando l’allenatore toscano la allena, tre partite di fila in tutte le competizioni. Con questa, fanno sei vittorie (Salernitana, Sampdoria, Napoli, Roma e Juventus) nelle ultime sette (unico pareggio a Bologna, contro una delle squadre più in forma del campionato). Secondo posto, ottenuto con merito, a +5 dalla terza e a +7 dalla quinta (l’Inter dell’ex Simone Inzaghi). Qualcosa è scattato nella testa dei ragazzi di Sarri: il famoso germe di cui si parlava dopo la rovinosa sconfitta col Midtjylland, l’annoso problema della ‘cilindrata mentale’ è diventato uno stimolo per migliorarsi partita dopo partita. La riprova è sempre di là (Spezia) da venire: ma intanto il campo sta parlando con una chiarezza inequivocabile.