Italia
14 Gennaio 2023

Togliamoci la maschera

Di fronte a un Napoli così, la Juventus passa in secondo piano.

Il Napoli di Spalletti gioca un calcio eroico. I suoi interpreti sembrano più antichi cavalieri alla riconquista di un regno perduto che bravi (ottimi) calciatori. Ecco, la bravura in partite come quella di ieri è un elemento laterale della faccenda. Non è bravo Spalletti, è fenomenale. A partire dalle dichiarazioni che hanno smorzato – e in parte avvertito – Allegri e la sua Juventus alla vigilia e nelle quali troviamo tutto l’orgoglio di un allenatore che è cresciuto anche sotto il profilo caratteriale. È da inizio stagione che lo diciamo, ma comprendiamo lo scetticismo scaramantico dei tifosi del Napoli: questa squadra è a tal punto superiore rispetto alle altre in Italia che il suo palcoscenico più idoneo e probante potrebbe essere la Champions League.

Non è un’iperbole, e la caduta contro l’Inter di due settimane fa è a questo punto l’eccezione che conferma la regola. Se poi sono addirittura i suoi tifosi a cantare “la capolista se ne va”, allora capite bene che il sogno è già stato tradotto sul piano della realtà. La scaramanzia, detto altrimenti, val bene un girone d’andata. Il Napoli è la squadra scudetto, ma non è semplicemente questo: è un piccolo miracolo, soprattutto se pensiamo ai discorsi agostani della stampa generalista e locale, già pronta a cantare il requiem per Luciano Spalletti da Certaldo e il suo povero Napoli.



Le quote a inizio stagione vedevano il Napoli in quinta posizione in Serie A dietro a Roma, Milan, Inter e proprio Juventus. La squadra di Allegri, a nostro avviso, non ha neanche giocato la sua peggior partita stagionale ieri, anzi. Ha tenuto botta sul 2-0, rientrando in partita con un giocatore (Di Maria) che rischia di deludere i cuori bianconeri quanto più mostra a piccole dosi la smisurata poetica del proprio talento. Ma pure in un momento così delicato, con un’ottima Juventus in campo, la sorte dei bianconeri è parsa segnata. Quando?

Precisamente a un minuto dalla fine del primo tempo, quando su deviazione di Rrahmani Meret ha inciso il proprio guantone sul destino di questo campionato.

Una coltre di incomprensibile grazia mista a ira si è posata sul Napoli al rientro in campo dagli spogliatoi. La passività della Juventus – e il pic-nic di Bremer – hanno fatto il resto. Osimhen (10 gol dal 16 ottobre ad oggi) ha preso la Juventus e l’ha portata a spasso: allungandola, strappandola, dilaniandola, persino ferendola, se è vero che Locatelli è dovuto uscire (in lacrime) per una botta ricevuta dal nigeriano a inizio ripresa. Un episodio chiave, contemporaneo al gol di Rrahmani, un destro di controbalzo che capita una volta o due nella vita per uno che di mestiere fa il difensore. Era il 3-1, dopo le reti nel primo tempo di Osimhen (due gol e un assist alla fine, straripante) e Kvaratskhelia (un gol e due assist complessivamente, uno e mezzo a Osimhen e uno a Elmas).

Il georgiano, laddove Osimhen giganteggiava, danzava. La sua non era, però, una danza fine a se stessa: era come il «vento leggero» del Signore di cui parla Elia in 1Re 19,12. Non semplicemente grazia, quindi: ma terrore e scotimento. Senza sosta, fino all’assist del 5-1 di Elmas dopo un fraseggio collettivo da squadra totale. Mai Allegri, in sette stagioni alla Juventus, aveva preso quattro gol in una singola partita (in Serie A). La sua Juventus, che aveva subìto appena 7 gol in 17 partite, ne ha presi 5 tutti in una volta. Questo dato, se da un lato racconta la «serata no» della Vecchia Signora – ricordiamolo, seconda in classifica fino a ieri – dall’altro non può oscurare la teologia del Napoli.

Una squadra teologica, appunto, perché gioca un calcio insieme geometrico e poetico, umano e divino, terribile e grazioso. Qualche tempo fa sul Napolista, Vittorio Zambardino aveva scritto un saggio geniale sul rapporto antitetico eppure gemellare tra il tifoso napoletano e quello juventino. Rivolgendosi alla sua controparte juventina, egli scriveva: «la tua è l’ombra lunga del mio malessere, del mio spaesamento esistenziale. […]

io me ne sono andato da Napoli perché cercavo di più nel lavoro, come tanti, come migliaia, ma portandomi Napoli come una scheggia di vetro nel cuore.

Tu hai pensato di risparmiare sui viaggi e ti sei fatto bianconero. Tu, certo, adesso sei un signore. Anzi, tifare per il calcio vincente ti ha sottratto all’attaccaticcio della provincia. Tu sei il nuovo globalista, tifi per il meglio ovunque si trovi. Così te la racconti». In quest’ultima frase si celava una profezia. Quello della Juventus oggi è solamente un racconto, una memoria senza memoriale. Il Napoli al contrario è una rivelazione dell’ultima ora.

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