Da Ferguson a Solskjaer, i colpevoli sono sempre gli stessi: Ed Woodward e i Glazer.
In Premier League siamo appena alla dodicesima giornata di campionato, ma sulla sponda rossa di Manchester già si piangono lacrime amare. Il Manchester United è una squadra semplicemente allo sbando, che ieri sera ha perso contro il Watford di Claudio Ranieri (4-1) e che si trova attualmente al settimo posto in classifica (a meno 12 dal Chelsea, primo della classe).
Due a zero la sconfitta contro il Manchester City nel tanto atteso derby mancuniano, addirittura 0 a 5 il 24 ottobre nell’altra partita sentita dall’ambiente, quella contro il Liverpool. Mai lo United aveva perso contro i Reds ad Old Trafford con un punteggio così altisonante. Come ha fatto lucidamente notare l’ex capitano della squadra, e ora opinionista per Sky Sport, Gary Neville “questa squadra è scioccante”, sottolineando una distanza che mai era stata così netta tra i due club.
Ieri, come detto, il 4-1 subito dal Watford di Claudio Ranieri ha chiuso un ciclo di risultati terrificanti per lo United di Solskjaer, ormai ad un passo dall’esonero. Sul banco degli imputati, chiamati a rispondere all’accusa di aver ormai già compromesso la stagione, ci sono praticamente tutti: dal tecnicoai giocatori in campo, ma anche la dirigenza e la presidenza della famiglia Glazer, ormai sempre più contestata ed odiata dai tifosi. Allo scoccare dell’ottava stagione deludente, è giusto chiedersi quali radici abbia, da dove inizia e come si è sviluppata la lunga crisi del Manchester United. Abbiamo provato a suddividerla in tre momenti.
EREDI (IMPOSSIBILI) DI SIR ALEX
Partiamo dall’addio di Sir Alex Ferguson. Dal 2013 ad oggi lo United, esclusa la breve parentesi vincente della prima annata di Josè Mourinho (stagione 2016/2017, con Coppa di Lega, Community Shield ed Europa League portate a casa, oltre ad una FA Cup vinta con Van Gaal l’anno precedente), il Manchester United non è mai stato davvero competitivo per il titolo, mentre la sua dimensione internazionale si è appiattita sull’Europa League (una vittoria e una finale persa lo scorso anno contro il Villarreal).
Sarebbe sin troppo facile, oltre che riduttivo e banale, addossare le principali colpe del lungo e quasi decennale periodo negativo di casa United alla scelta di allenatori non all’altezza: aggrappati al mito del nuovo Ferguson (l’eredità lasciata in panchina dallo scozzese, sia nei trofei che nel legame di sangue col club nei suoi 26 anni di servizio, è impossibile da colmare), tutti gli allenatori che si sono alternati sulla panchina dello United hanno lasciato Manchester in rottura con tifosi e opinione pubblica.
A partire da David Moyes, proveniente dall’Everton e scozzese come il grande Sir Alex, il primo a raccogliere il pesante fardello e rivelatosi non adatto al difficile compito – durante la sua gestione lo United ha concluso il campionato al settimo posto (peggior risultato da quando esiste la Premier). Malgrado le ingenti campagne acquisti nel quadriennio Van Gaal/Mourinho (circa 500 milioni di euro spesi…) per acquistare top player o presunti tali ed accontentare le richieste dei due manager, i risultati sono comunque deludenti (eccezion fatta come già detto per la prima annata col portoghese), con lo United ancora fuori dall’Europa che conta e praticamente mai competitivo per la corsa alla Premier (per capirsi, nel 2017/2018 arriverà secondo sì, ma a -19 dai cugini del City…).
Arriviamo così al norvegese nonché ex leggenda dello United Ole Gunnar Solskjaer, scelto dalla proprietà (e da un uccellino di nome Ferguson) nel dicembre 2018, dopo l’esonero dello Special One, ormai ai ferri corti sia con la proprietà che con alcuni giocatori della rosa (su tutti Paul Pogba) e in caduta libera a livello di risultati. I Glazer lo scelgono come traghettatore fino a fine stagione, ma i risultati sorprendentemente positivi nel girone di ritorno (che comunque non bastano a salvare l’annata, conclusa al sesto posto) inducono i proprietari americani a confermare l’ex “Baby-faced Assassin” anche per le stagioni successive, convinti di aver trovato un nuovo Guardiola/Zidane con cui aprire un ciclo vincente. Dopo tre anni, lo United probabilmente è peggiorato. Ma davvero il problema è unicamente Solskjaer (come fatto notare da Bruno Fernandes in tono polemico ai suoi tifosi ieri sera)?
Come sottolineato anche dal “New York Times” in un articolo pubblicato all’indomani della disfatta contro il Liverpool, la differenza principale tra i Rossi di Manchester e quelli di Liverpool “non è legata (solo) alle qualità dei loro tecnici (…), ma alle fondamenta delle loro strutture”.
ROSA SOPRAVVALUTATA
Veniamo così al secondo problema, quello relativo alla rosa. Che si tratti di giovani promettenti o di presunti top player, la stragrande maggioranza dei calciatori acquistati dallo United negli ultimi anni di presidenza Glazer ha deluso le aspettative (eccessivamente gonfiate da prezzi folli di mercato). Prendete solo la stagione corrente. Dallo svedese Lindelof all’ivoriano Bailly, dall’ormai “bandiera” Phil Jones (ma com’è possibile che sia ancora a Manchester dopo un decennio?) allo lo strapagato Harry Maguire (80 milioni per prelevarlo dal Leicester…), è seriamente difficile dire chi abbia il rendimento peggiore (non che i 55 milioni spesi per Wan-Bissaka siano roba da poco). E stiamo appena parlando della difesa. Se dietro si piange, in mezzo al campo di certo non si ride. Da Donny van de Beek, prelevato dall’Ajax per quasi 40 milioni a Jesse Lingard e al brasiliano Fred, il più mediocre di tutti, quasi 60 milioni (!) allo Shakhtar per un presunto “box-to-box” (mai rivelatosi tale).
In attacco Jadon Sancho, stella del Borussia Dortmund pagata 85 milioni, si sta rivelando un autentico flop. Martial è ormai un ex giocatore, e le qualità di Cavani sono spesso messe in secondo piano per sovrabbondanza di top in quel ruolo (come si mette Ronaldo in panchina?). Ma il discorso non è puramente tecnico. Secondo Gary Neville, i calciatori dello United “sono troppo pigri (…), lasciano spazi ovunque, non pressano bene, camminano attorno al campo (…) quando subiscono gol si comportano come bambini”. La mentalità vincente, la voglia di vincere, il senso di appartenenza e di rispetto per la maglia; gli undici in maglia Red Devils non sanno cosa significhi tutto ciò. Un discorso a parte meritano il centrocampista francese Paul Pogba (l’acquisto più costoso della storia della società mancuniana, ben 105 milioni di euro per riportarlo a casa dalla Juventus) e il grande ritorno della leggenda Cristiano Ronaldo (anch’esso riportato a casa dalla Torino bianconera per “appena” 15 milioni).
Il primo è ormai un vero e proprio caso sia per le prestazioni in campo, decisamente più discontinue rispetto al suo passato bianconero, sia per le vicende extra-campo che lo coinvolgono, con un ruolo decisivo svolto dal suo storico agente Mino Raiola: oggetto della contesa è la querelle sulla permanenza del centrocampista a Manchester, che a volte viene ribadita come certa (dai media ma anche da Raiola e Pogba stessi) e altre volte viene messa in dubbio (anche qui sempre dagli stessi media e dai due diretti interessati), con Pogba che pare sempre vicino ad andarsene ma poi non se ne va mai (quante volte avrete letto/visto/sentito delle news su un suo possibile/probabile ritorno alla Juve in questi anni?).
Passando al fuoriclasse portoghese, è indubbio il suo apporto in fase realizzativa. Ma se CR7 va bene quando ti risolve la partita, quando va male mette a nudo i limiti di una manovra troppo incentrata sul suo individualismo. Come ha detto Gary Neville in un’intervista per il programma televisivo The Overlap, “Ronaldo non può fare questo tipo di lavoro (il pressing) nei big match, perché è uno che non lavora abbastanza per la squadra. Quindi gioca da centravanti, e così facendo lo United non presserà mai troppo. Dunque l’idea che lo United possa fare questo tipo di gioco con lui lì davanti non è plausibile, non pressava neanche 10-15 anni fa”.
Oltre alle problematiche tattiche, Ronaldo ha portato allo United anche i suoi atteggiamenti da “superstar”, che già alla Juve crearono parecchi grattacapi agli allenatori, basti ricordare la sua sceneggiata in uno Juventus-Milan con Maurizio Sarri allenatore dei bianconeri, quando dopo essere stato sostituito andò direttamente negli spogliatoi (scappando addirittura via dallo stadio), senza degnare l’allenatore di uno sguardo, letteralmente infuriato per il cambio. Allo United invece è arrivato persino a “sostituire” l’allenatore durante la partita di Champions contro lo Young Boys persa per 2 a 1, andando a dare indicazioni e suggerimenti ai compagni in maniera sin troppo aggressiva, provocando le ire del suo ex compagno Rio Ferdinand, che ai microfoni di BT Sport non le ha mandate a dire: “Fossi stato il suo allenatore gli avrei detto di smetterla e di mettersi seduto. Cristiano è fatto cosi, vuole vincere sempre e se deve mettersi accanto all’allenatore a gridare istruzioni per ottenere la vittoria, lo fa e basta sfruttando il suo carisma.”
Gli allenatori e i calciatori però, malgrado le criticità evidenziate in precedenza, non sono altro che la punta dell’iceberg dei problemi che il club mancuniano sta avendo da quasi un decennio a questa parte: i principali responsabili sono da ricercare ai piani alti dirigenziali, dall’ormai ex-direttore esecutivo Ed Woodward (che lascerà il club a fine anno, per la gioia di tutti i supporters del club) e la famiglia statunitense dei Glazer, proprietari dello United dal lontano 2005 che, purtroppo per i tifosi, sono ancora saldamente al comando dei Red Devils.
I NEMICI DEI TIFOSI:
ED WOODWARD E MALCOLM GLAZER
Partiamo da Woodward. Ed è diventato amministratore delegato del club nel 2013, dopo che precedentemente aveva ricoperto la carica di direttore marketing (dal 2007 sino al 2012) con ottimi risultati in termini di accordi pubblicitari con vari sponsor internazionali, che hanno aumentato le entrate commerciali della società (passate dai 57 milioni di euro nel 2005 ai 138 milioni nel 2012). Ma essere un ottimo direttore marketing non significa diventare all’improvviso un buon amministratore delegato per la scelta dei calciatori. E i risultati sono lì a testimoniarlo.
Sin dal primo acquisto, il centrocampista belga Marouane Fellaini, prelevato dall’Everton per più di 30 milioni, e rivelatosi il primo di una lunga serie di flop acquistati dal 2013 ad oggi, qualcuno ha storto il naso sulle effettive capacità di Woodward nel suo nuovo ruolo, e non solo per le scelte di mercato ma anche per l’incapacità di chiudere la maggior parte delle trattative di mercato aperte, cosa di cui già si lamentava il Daily Telegraph in un articolo sempre del 2013 in cui definiva la prima campagna acquisti della gestione Woodward “disastrosa”.
Negli anni le cose sono peggiorate ulteriormente e oltre alla tensione coi tifosi, che ha protestato a più riprese sul ruolo di Woodward in società, lo stesso è accaduto con gli allenatori, in particolare con Josè Mourinho che ha criticato pesantemente la campagna acquisti operata da Woodward nell’estate 2018, accusandolo di non essere minimamente riuscito a migliorare la squadra con i nuovi giocatori presi (in quella sessione furono acquistati i soli Fred e Diogo Dalot, pagati nel complesso più di 80 milioni). Infine, va tenuta presente la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ovvero la famigerata questione “Superlega”, progetto di cui il Manchester United era inizialmente parte integrante e di cui Woodward era accanito sostenitore sin dal principio.
Poi però sono arrivate, giusto il giorno successivo all’annuncio della creazione del torneo, le pesanti contestazioni dei tifosi. La famiglia americana rappresenta il vero obiettivo da abbattere per i vecchi e storici supporter dello United, il mostro da sconfiggere che nel 2005 si era impossessato del loro club. Malcolm Glazer, ricco tycoon di origine lituane, fondatore della holding finanziaria “First Allied Corporation” e già presidente della squadra di football “Tampa Bay Buccaneers”, era entrato gradualmente nel Manchester United dal 2003 acquistandone diverse azioni, per poi arrivare ad impossessarsi del 98% del capitale societario, costringendo de facto i rimanenti piccoli azionisti che detenevano il restante 2% delle quote a venderle alla famiglia americana – in grado di spendere 800 milioni di sterline per accaparrarsi lo storico club inglese.
Colpito da un ictus nel 2006, Glazer, deceduto nel 2014, ha lasciato il club in eredità ai figli (sei). Ma qual è l’esatta ragione per cui la famiglia Glazer è così odiata dalla parti di Manchester dal loro arrivo sino ad oggi? La risposta è semplicissima, al di là dei risultati, e ha a che fare con il pauroso indebitamento del club. Il Manchester United era una società completamente libera dai debiti fino all’arrivo di Malcolm Glazer e la sua famiglia, che sono ricorsi a prestiti bancari corrispondenti ad un valore di più di 500 milioni di sterline (praticamente più della metà di quanto è costato nel totale il club) per completare l’acquisto societario, scaricando tutto il debito accumulato sulle casse del club e provocando come ovvia conseguenza l’ira dei tifosi (già stanchi per il trattamento loro riservato dalla società a livello di coinvolgimento e potere decisionale,).
Già nel 2005, subito dopo l’arrivo degli americani, un gruppo di tifosi United si era ribellato pesantemente contro i nuovi proprietari, separandosi dal loro stesso club per arrivare a fondare una nuova squadra che potesse raccoglierne l’eredità “spirituale” andata perduta, ovvero lo United of Manchester, attualmente militante nella Northern Premier League, tra gli ultimi livelli della piramide calcistica inglese. Qualcosa di meno clamoroso, ma comunque significativo, hanno fatto i Red Knights, un’associazione di tifosi dello United nata nel 1998 giusto cinque anni dopo, nel gennaio 2010, scrivendo agli odiati proprietari una serie di richieste da prendere in considerazione, tra le quali quella di far entrare gli stessi tifosi nel consiglio di amministrazione, per consentire loro di acquisire un minimo ma autentico potere decisionale sul club e per tentare di supervisionare al meglio le finanze societarie: inutile dire che i Glazer hanno ignorato tutte queste richieste, mentre i debiti accumulati si sono fatti sempre più elevati.
Alla fine del 2020, alla pubblicazione del bilancio annuale, il debito del Machester United ammontava a 455 milioni di sterline, aggravato ovviamente dalla pandemia ma già messo malissimo negli anni precedenti. Di fatto una situazione quasi insostenibile ed è forse evidente il motivo per cui gli americani, spinti dal già menzionato Ed Woodward, si sono uniti in fretta e furia al progetto Superlega, credendo di aver trovato nella creatura voluta da Florentino Perez e Andrea Agnelli l’autentica soluzione al problema debiti.
Come non ricordare le proteste risalenti ormai a 6 mesi fa (all’inizio di maggio) in cui alla vigilia del match contro il Liverpool dello scorso campionato, i tifosi dello United sono entrati dentro Old Trafford, costringendo la polizia ad intervenire e soprattutto a sospendere e posticipare il match, che era poi esattamente quello che volevano: era una questione che andava oltre gli strascichi della Superlega (il progetto era stato annullato una settimana prima), ma era più precisamente un segnale che i sostenitori United volevano mandare forte e chiaro non soltanto ai Glazer, ma più in generale a chi detiene il “potere” nel calcio: con la passione dei tifosi non si gioca. La resa dei conti è vicina. Purtroppo per i mancuniani, solo a livello sportivo.