Se anche l'elogio del mito diventa motivo di dibattito (social).
Non è vero che il mondo si distingue in buoni e cattivi. Chi tifa Argentina non è migliore di chi tifa Brasile o Portogallo, anche se è bello e giusto che il tifoso argentino, brasiliano o portoghese di turno si convinca del contrario. È sano che il tifo per il proprio club e la propria nazionale/nazione valichi i limiti del buonsenso e sfugga alle normali leggi del vivere quotidiano, sfociando spesso e volentieri in dogmatiche e arbitrarie prese di posizione – tutte volte chiaramente all’esaltazione del proprio feudo. Meno sano è che il tifo, per noia, frustrazione o egocentrismo, sfoci sul versante del generico dibattito calcistico.
Prendete la dicotomia Ronaldo/Messi, che è la riproposizione in epoca social – si salvi chi può! – di quella targata Pelé/Maradona. Certo, se ne può e se ne deve discutere: magari però con serenità e allegria, senza quell’esasperazione che poi si riverbera sulle telecronache teoricamente istituzionali di fu mamma Rai. La nostra domanda, destinata come altre a cadere nel vuoto, è se sia possibile godersi Lionel Messi a prescindere dai paragoni, dalle elezioni messianiche e da una narrazione incapace di creare miti ma sempre pronta ad aprire la scatola del mistero con numeri e percentuali, eventualmente rompendola.
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Nei confronti del mito, per principio, non bisognerebbe mai imbastire tabelle di comparazione – specialmente di natura statistica, vade retro! Lionel Messi è un mito vivente, e noi viviamo nella stessa epoca di questo mito. Tanto ci basta per essere felici, persino estasiati. Come quando ieri contro l’Australia il 10 è partito dalla propria metà campo, ne ha saltati un paio e poi ha rischiato di farci piangere per la troppa emozione. Subito Adani ha citato Diego Armando Maradona, che dal cielo scruterebbe ogni singola mossa della Pulce. Non c’è bisogno di paragoni, i paragoni sono come i toscani per il nostro paese: hanno rovinato questo sport. E infatti Luigi Garlando su Gazzetta stamattina come volete che abbia parlato dello scintillio goduto iersera? «Naturalmente è Maradona che Leo vuole agganciare: regalare il mondo al suo popolo, come fece lui nell’86. Per rendersi degno di Diego, nel secondo tempo, è partito in dribbling e ha dribblato mezza Australia, come fossero inglesi» (corsivo nostro).
Davvero, siamo stanchi di questo giornalismo social, sempre teso non al di-battito ma al click-bait, non alla discussione da bar, sana e purificante, ma alla chiacchiera da Bobo-TV, presuntuosa, egocentrica ed elettorale. Sì, c’è questa puzza da clima elettorale quando si parla di Messi (e Maradona): ma non ce la fate a godervi l’atto? Perché per una volta non provate a dimenticare l’azione? Pure da morti, direbbe CB, dovete fare i cittadini! «Perché anche se non ha segnato il gol del secolo, vuole essere lui quello che conduce per mano una squadra ‘normale’ sul tetto del mondo», scrive Arianna Ravelli sul CorSera. È questo, padre Nietzsche, l’eterno ritorno dell’uguale?
Per fortuna c’è chi, uscendo dallo Stivale, ha esaltato la poesia in movimento del 10 albiceleste senza cadere in facili e grigi paragoni: «Forse non è stato il Messi più brillante visto in Nazionale, […] ma è stata la sua partita più intelligente di sempre. Meglio: la più saggia», ha scritto Juan Manuel Trenado su La Nacion. Ecco, ieri Messi ha aggiunto questo al suo infinito repertorio futbolistico: la saggezza. Forse galvanizzato dal suo primo gol di sempre nella fase finale di un mondiale, ha compreso con enorme lucidità cosa servisse ai suoi compagni di squadra. Ieri Messi in campo sembrava un re saggio, eroico ed epico, più Aragorn che Elrond, più Solone che Agamennone. In una parola: ieri Messi è davvero diventato leader. Per ora, a noi basta sapere che scalando di una ventina di metri sulla linea di metà campo la sua carriera potrebbe allungarsi per altri quattro o cinque anni. In fondo, come i bimbi in cortile durante la ricreazione, il nostro sogno è che la campanella non suoni mai.