Calcio
18 Febbraio 2025

Nantes, popolo libero

Una storia di calcio, di tifo e di passione popolare.

Il giallo in primo piano ed il verde a contornare, quasi a ricalcare. Due colori vivi, squillanti, che quasi stonano col cielo spesso cupo di Nantes, città dei Duchi di Bretagna dove le piogge ingrossano l’imminente estuario della Loira che lì vicino si getta tra le braccia dell’Oceano Atlantico.

Quei colori sono protagonisti di una gloriosa saga divenuta quasi 82enne, nata in piena Seconda Guerra Mondiale e portata avanti da un popolo che ancor oggi mantiene quello “spirito bellico e combattivo” nelle sue battaglie sportive, in nome di un solo credo: il Football Club de Nantes.


Nantes, storia del calcio di Francia


Con un palmarès che lo vede quarto per campionati nazionali vinti, un settore giovanile che ha prodotto tra i migliori talenti transalpini ed un pubblico tra i più riconoscibili e riconosciuti, Nantes è storia del calcio francese.

Eppure la sua fondazione, datata 21 aprile 1943, ci racconta di tante vicende personali che s’immergono nella storia di Francia, calcistica come detto ma anche politica. Più specificatamente il Nantes è il risultato dell’unione di sei club locali dalle identità molto varie, un mélange di parti laiche e religiose, collaborazioniste e liberazioniste, con due personalità tra i fondatori che spiccano sulle altre: sono quelle di Jean Le Guillou e Marcel Saupin.

Saupin Nantes
Marcel Saupin (foto FC Nantes)

Le Guillou, imprenditore, fece le sue fortune economiche in città durante il secondo conflitto mondiale anche grazie alla cooperazione con gli occupanti nazisti, e fu partecipante attivo del “Groupe Collaboration”, un’associazione promotrice di un’alleanza franco-tedesca. Principale mecenate del neonato club, gli diede uno stadio da lui costruito in precedenza per il rugby, il Malakoff, e gli attribuì i colori sociali giallo e verde, gli stessi della casacca del fantino che guidava “Ali Pascià”, punta di diamante della sua scuderia di cavalli da corsa.

Arrestato alla fine della guerra, fu costretto ad esiliare in Svizzera dal governo di De Gaulle, facendo rientro in patria solo nel ‘51 e succedendo al suo amico Saupin alla presidenza del club.

Quest’ultimo è invece da considerarsi il vero patron del Nantes, metallurgico e soprannominato “il leone” per la sua tenacia. Saupin fu anch’egli un petainista ma in una forma più passiva. Il fato volle che se ne andasse pochi mesi prima della tanto agognata promozione in Prima divisione, arrivata nel 1963 e rincorsa sin dalla fondazione, poi due anni dopo lo stadio Malakoff prese il suo nome.

Merita una menzione anche il primo presidente ufficiale, Marcel Braud, proprietario di un negozio di ferramenta e già padrone della Saint-Pierre, sino ad allora la squadra più importante della città, che nel 1916 prese parte alla più cruenta e drammatica battaglia della Prima Guerra Mondiale, combattuta a Verdun.

nantes stadio
La casa del Nantes, ieri

Nei loro primi vent’anni di vita, i “Canaris” (“Canarini”, soprannome ereditato dal Norwich, che ha gli stessi colori sociali) orbitano nel calcio francese a mo’ di comparse. La svolta avviene pochi anni dopo l’approdo dell’allenatore José Arribas, un uomo dalle vicende di vita degne di un romanzo d’avventura, il più famoso tra le personalità figlie di Nantes.

Nato a Bilbao e per questo detto “Bibi”, appena sedicenne fugge da solo dalla città basca per scappare dalla guerra civile spagnola e dal regime franchista.

Arriva sulla panchina del Nantes da semi-sconosciuto, dopo aver portato il club di Noyen-sur-Sarthe, paesino di 2 mila abitanti, ai più alti livelli del calcio amatoriale. Il suo stile di gioco innovativo e i suoi successi danno vita al primo grande Nantes, rendendolo tanto riconoscibile da essere considerato il pioniere del “gioco à la nantaise”. Ispirato dal joga bonito del Brasile del ‘58 e dal Liverpool di Bill Shankly, Arribas imposta un 4-2-4 con marcatura a zona, in un periodo in cui la marcatura a uomo di Helenio Herrera era sacra, sintetizzando il suo credo in tre parole: velocità, tecnica e intelligenza. Così arriva la promozione in Prima Divisione e appena un anno dopo, nel 1965, il primo titolo di campione di Francia, in pacchetto con la Coppa di Lega e la Supercoppa.



In questi anni nasce inoltre quella che rimane la rivalità più sentita per i tifosi gialloverdi, il “Derby dell’Atlantico” contro il Bordeaux. Un derby atipico se si pensa che sono quasi 300 i chilometri di distanza tra una città e l’altra, principali porti della Francia atlantica, che opponevano “i macellai” della città bordolese contro gli esteti del “bel gioco” di Nantes.

L’anno dopo la vittoria del campionato viene bissata ed è quella di una squadra dominante, col miglior attacco e la miglior difesa. Tra questi giocatori figurano Jacky Simon, primo nantais ad andare in Nazionale, Philippe Gondet, detto “l’avvoltoio”, che è ancor oggi il miglior marcatore della storia francese in una sola stagione (36 gol in 37 partite) e Robert Budzynski, difensore centrale figlio d’immigrati polacchi che diventerà direttore sportivo del club, in un’epoca in cui questa figura non esisteva in Francia, rimanendovi per ben 35 anni, dal 1970 al 2005. C’è la sua mano in tutti i titoli vinti dal Nantes nella sua storia eccetto l’ultimo, impressionante. Tutti e tre i giocatori citati parteciparono inoltre alla Guerra d’Algeria tra il ‘54 e il ‘62.

Robert Budzynski

Il 1973 è l’anno del terzo titolo di Francia e della terza finale persa di coppa, che rimane stregata. Il perno dentro il terreno di gioco è Henri Michel, leggenda del calcio francese e recordman di presenze in maglia gialloverde, mentre fuori il club è pionieristico in Europa nel concepire lo sviluppo del settore giovanile adattandolo al gioco della prima squadra guidata da Arribas.


Nantes, un fenomeno (anche) pop


Il ciclo di quest’ultimo termina dopo 16 anni e si dà inizio a quello più breve ma altrettanto vincente di Jean Vincent, che festeggia il 4° e il 5° campionato francese e la prima Coppa di Francia, tutto tra il 1977 e il 1980. I frutti maturano puntando sui ragazzi del vivaio che dal 1978 possono allenarsi alla Jonelière, un centro d’allenamento della prima squadra e delle giovanili davvero all’avanguardia per l’epoca, oggi intitolato al suo promotore Bibi Arribas.

Un’epopea d’oro quella a ridosso degli anni ‘80, famosa innanzitutto per la rivalità sportiva con il Saint-Étienne, club con il quale il Nantes si spartisce la maggior parte dei trofei. Sul terreno sportivo, dunque, nasce quel Derby della Loira oggi così caldo a livello di tifo, in cui “la Maison Jaune” mantiene una striscia d’imbattibilità casalinga di ben 92 partite (dal maggio ‘76 all’aprile ‘81, con 80 vittorie e 12 pareggi) e grazie al quale il Nantes diventa fenomeno pop. Il 2 luglio 1980 alla Jonelière, infatti, Bob Marley, arrivato in città per un concerto, insieme alla sua band disputa un leggendario 5 contro 5 con alcuni calciatori indossando la maglietta gialloverde.

Bob Marley, grande appassionato di calcio, in azione con la maglia del Nantes (foto FC Nantes)

Nel 1982 inizia la prima era di Coco Suaudeau alla guida tecnica che conquista il 6° titolo di Francia trascinato dai gol di bomber Halilhodžić, nell’ultima stagione che “i Canarini” disputano nello storico fortino di casa, il quale viene rimpiazzato dallo Stade de la Beaujoire, impianto più capiente costruito per Euro ‘84. Il primo fuoriclasse a mettervi piede è Jorge Burruchaga, arrivato a Nantes l’anno prima di diventare campione mondiale con l’Argentina in Messico.

La nostra intervista a Jorge Burruchaga, di qualche tempo fa


Gli anni ‘90 si aprono in maniera terrificante, con Suaudeau che riprende il timone del club nel 1991 dopo un breve addio, costretto a puntare sul vivaio data una grave situazione finanziaria che colpisce la società e che l’anno seguente porta ad una retrocessione d’ufficio. Questa è sventata solo grazie a un ripescaggio e a grandi sacrifici, tra cui il cambio del nome in FC Nantes-Atlantique e a cessioni di giovani talenti al Marsiglia: si inizia qualche anno prima vendendo Didier Deschamps, si prosegue con Marcel Desailly.

Ciononostante il club si rialza e nel 1995 il nuovo “jeu à la nantaise”, caratterizzato ora da tanto atletismo ed intensità per colmare le lacune tecniche porta in bacheca un insperata Ligue 1, con una striscia record d’imbattibilità di 32 match (e una sola sconfitta) e 10 partite in casa su 19 con tre gol segnati, facendo pagare agli avversari la cosiddetta “tarif-maison” (“prezzo di casa”). È il Nantes dei giovani Karembeu e Makélélé, i quali si allenano nella celebre “fossa” della Jonelière, un campetto da gioco dal terreno duro delimitato da tre muri di cemento dove coach Suaudeau stimolava la rapidità e il gioco di prima, che l’anno successivo porta i gialloverdi fino alla semifinale di Champions, persa su un totale di 3-4 contro la Juve futura campionessa.


La Brigade Loire e il tifo a Nantes


Secondo un articolo scritto da Thibault Guiguen nel maggio del 2024, il Nantes può vantare un totale di 13 associazioni di tifosi. Il terzo numero di Francia dopo Metz (14), Lille (20) e Lens (44).

Ciò che ci interessa in questa sede, tuttavia, è comprendere lo sviluppo del tifo dei Canarini nel corso dei decenni. Prima di arrivare alla Brigada Loire, il gruppo portante della tifoseria gialloverde, il Nantes ha assistito ad una lunga storia di tifo cittadino.

Il primo gruppo organizzato risale addirittura al 1946 ed è uno dei più antichi al mondo: Allez Nantes, il suo nome. Negli anni Settanta, il gruppo Les Canaris, strutturato in sezioni patrocinate dai giocatori, nei quartieri della città soprattutto, diventerà il comitato organizzativo principale della tifoseria gialloverde. Nel 1976, questo gruppo si fonderà con il primo dando vita all’Allez Nantes Canaris. Parliamo di un gruppo già più vicino ad una conformazione Ultras, ma ancora non identificabile come tale . . .

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