Il vittimismo napoletano ha raggiunto vette inesplorate.
Signori cari, buongiorno a tutti! Ahh mannaggia a me mannaggia, mai fino a qualche anno fa avrei pensato di poter scrivere simili righe. Righe antinapoletane! Vi dico, Napoli per me è sempre stata la città dell’anima. Mi piacevano i suoi scorci, i suoi mercati, la sua umanità, il suo spirito, il suo modo di stare al mondo; mi piacevano i suoi ‘senza casco’, i suoi caffè sospesi, i suoi caffé e basta, la sua vecchia cucina povera, l’idea del semaforo rosso che “non è un divieto bensì un consiglio”.
Mi facevano impazzire le sue leggende – impossibili e dunque certe – come quella che una mattina le Brigate Rosse chiamarono la segreteria del Mattino per leggere chissà quale proclama politico o rivendicazione e il tizio rispose ai terroristi: “vabuò richiamate nel pomeriggio però che ora non c’è nessuno”, o quella per cui si lasciavano le auto parcheggiate in doppia fila senza freno a mano, così se uno doveva uscire anziché mettersi a suonare e dannarsi l’anima prendeva l’altra macchina la spostava e sereno in questo caos ordinato se ne andava.
Amavo Napoli per la sua capacità di sdrammatizzare, di risolvere con un motto di spirito il guaio di una giornata, magari di un’esistenza, amavo Napoli per la sua arte dell’arrangiarsi, per il suo caos che però aveva un ordine, per il suo popolo più umile ma anche per i suoi grandi signori, amavo Napoli perché era “la città meno americanizzata d’Europa” (cit. Mastroianni), una città impermeabile a quell’idiozia del progresso e alle ideologie alla moda poiché dotata di incrollabile ironia, quell’ironia metafisica, fatalista, brillante che è il miglior antidoto a tutti i dogmatismi fanatismi produttivismi in generale agli ismi, antidoto a quell’abitudine così stupida noiosa e autoreferenziale di prendersi sul serio, di credere che la propria vita sia importante, fondamentale, decisiva! Ma mi faccia il piacere mi faccia!, per citare quell’uomo meraviglioso che era il principe De Curtis.
Una splendida scena da ‘I milanesi a Napoli’ con Ugo Tognazzi
Infine amavo Napoli perché anche quando provava a prendersi sul serio non ce la faceva mai del tutto, un po’ come raccontava De Crescenzo con la storia di quel portiere, ammaliato dal comunismo e dalla militanza, che voleva iscriversi a Lotta Continua: all’inizio tutto contento, entusiasta, ‘a rivoluziòn!, poi ci ragiona su si fa due conti e un po’ preoccupato domanda “dottò, ma deve essere per forza continua sta lotta?”. Lasciamole ai sovietici le rivoluzioni permanenti e le lotte continue, a Napoli si è sempre veleggiato e galleggiato sulla vita, anche nei bassifondi, con quel disimpegno poetico dai problemi che era un dribbling, ma col sorriso, alle tristezze quotidiane.
Ebbene Napoli, la città più situazionista e ironica del mondo, oggi, signori cari, è diventata di gran lunga la più scassacazzi!