Signori cari, buona domenica. Avevate paura che mi fossi dato alla macchia eh, latitante dello spirito – e non solo – in questo squallido mondo di materia, e invece eccomi qui. Sono tornato, lvi è tornato, come un incubo, come l’Italia di Spalletti, come uno spettro in maglia azzurra che si aggira per l’Europa e i suoi campi di calcio ma questa volta magari fosse il comunismo, volete mettere con la nostra Nazionale per cui finalmente posso dire che una prima pagina di Libero ha esaurito una questione: ANDATE A ZAPPARE, e in sovraimpressione a completare: PIPPE AZZURRE (geniale).
L’Italia fa davvero pena e l’unico modo per uscirne vivi era sgranare i rosari, recitare qualche ave Maria e affidarsi ai nostri santi storici, San Culo e soprattutto Santo Catenaccio, cosa che Spallettone ha capito troppo tardi quando ormai il giochismo aveva pervaso le menti e infiacchito i corpi dei nostri. Con buona pace dei vari commentatori che l’avevano preso come l’oracolo di Certaldo e il profeta del progresso calcistico, Luciano ci ha mostrato quanto la diatriba giochisti vs risultatisti dal punto di vista sportivo non spieghi assolutamente nulla e sia destinata a naufragare, in campo, non appena scottano i palloni e servono le palle.
Il problema però è che questa Italia era stata pensata per “fare calcio”, cit. Lele Nazionale, ma come puoi sperare di farlo con una Nazionale insignificante del genere e poche settimane per allenarla, qui sta la perversione e il fanatismo dei giochisti, mica in campo o negli stili di gioco.
Perché risultatisti contro giochisti in campo non spiega nulla ma fuori spiega tutto, è in realtà il riflesso di una guerra più ampia, uno scontro di mondi, di visioni del mondo, di weltanschauung come avrebbero detto un tempo i nostri amici tedeschi – oggi probabilmente userebbero un termine turco. È la guerra dei custodi dell’essere contro i custodi dell’ente, dei guardiani della tradizione contro gli agenti della modernità, è un’opposizione politica, culturale, geografica. E oggi sono qui in veste Gaberiana a fare il destra-sinistra degli orientamenti non politici bensì calcistici, senza però dire basta perché ancora non siamo pronti per andare oltre, per ricomporre questa profondissima e fatale frattura.
Il giochismo è una visione del mondo totalitaria e assolutista, non presuppone alternativa né opposizione perché è Verità rivelata con la V maiuscola, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità nel football, la luce contro le tenebre, Progresso tradotto in un campo di calcio ed emancipazione sportiva. Il giochismo è l’illuminismo pallonaro portato alle estreme conseguenze, quello che uccide il vecchio Dio ma lo sostituisce con un nuovo Dio, e per questo assume gli stessi tratti oracolari e profetici della religione che indica come eretico chiunque non si adatti al dogma, gente che semplicemente non ha ancora aggiornato l’orologio della storia e non è progredita, non si è aggiornata, come l’ultimo modello di telefonetto, non ha acquisito ancora le necessarie consapevolezze, è rimasta indietro, avanti alla rivelazione del nuovo cristo.
Il giochismo è un messianismo secolarizzato, il Messia nel pallone è arrivato e ha i tratti della fluidità e della decostruzione del football tradizionale, della scomparsa dei ruoli, ha il volto della scienza applicata allo sport e il linguaggio di un tatticismo iperspecializzato, è una rivoluzione industriale o meglio antropologica, palingenetica che lascia tutto dietro di sé e lo liquida, umilia, delegittima senza dargli neppure l’onore delle armi e la dignità della rappresentanza.
Come fai a dialogare con chi già a priori ti pone a un livello precedente della storia e su un gradino più basso della consapevolezza umana, il tutto perché convinto di aver svelato la Verità oggettiva e sicuro di custodirla e detenerla? Non si può, e allora guai a rompere le sacre tavole della legge e a non obbedire ai comandamenti del nuovo calcio, guai a controbattere al fanatismo e all’integralismo di chi è assolutamente certo di interpretare il Verbo, è una fatica tanto inutile quanto sprecata.
I giochisti, sostanzialmente, sono i progressisti applicati al pallone: né più, ne meno. Mentre i risultatisti sono un’espressione del vecchio mondo, ancora una maggioranza silenziosa ma senz’altro meno organizzata, motivata e rappresentata dei loro rivali. Non hanno pretese di cambiare il mondo, si accontentano di starci. Sono gli ultimi romantici che ancora credono in un Dio che è morto e nel vecchio football che è sepolto, sono gli irrazionalisti e i fatalisti più che i malati di controllo, sono i mediterranei dell’anima, sono quelli che non si prendono troppo sul serio perché non c’è nulla di più pericoloso di chi è così convinto di ciò che dice o che fa, poi è inevitabile che finisci a buttare giù Palmira o le statue dei colonizzatori – credete davvero che tra i progressisti radicali e i miliziani dell’Isis ci sia differenza? L’unica differenza è che i secondi hanno molto più coraggio.
E allora tornando a Gaber, stavo pensando nei giorni scorsi in preda ai fumi dell’alcol – che ho reintrodotto – che questa opposizione ormai è ovunque, ovunque intorno a noi e nelle nostre vite.
In politica, laddove i giochisti sono le sinistre arcobaleno e green ma anche quelle ultra funzionali alla Calenda (non Renzi però, uomo da Prima Repubblica e quindi risultatista) mentre i vecchi comunisti, quelli veri, quelli rossi e non fucsia, quelli dell’operaismo e delle sezioni, porca miseria se erano risultatisti. Non a caso tempo fa non ricordo che giornale francese, lo riprendemmo qui, scrisse che il Catenaccio era un’arma di lotta di classe, strumento dei più deboli per ribaltare i rapporti di forza, e aveva dannatamente ragione – le più grandi sorprese degli ultimi anni, checché ne dicano, dal Leicester al Lille al Villarreal all’Atletico tutti clamorosamente risultatisti e catenacciari.
E quindi tutta la sinistra new age è disperatamente giochista ma a livelli radicali, con i suoi pipponi infiniti e le sue volontà didattiche, emancipanti e responsabilizzanti, mentre risultatisti oltre ai vecchi compagni fedeli alla linea sono in generale i proletari, se sono rimasti, che il giochismo perverso ha iniziato ad affermarsi con la nuova borghesia e i suoi falsi miti di progresso, per citare Battiato. Risultatisti poi sono i camerati ma anche qui quelli veri, in teoria lo è un po’ anche la destra attuale di governo ma è un risultatismo brutto, di reazione e retroguardia, un risultatismo di posizionamento e non di sincera adesione.
I giochisti sono i fuorisede, i più giochisti di tutti, ma anche gli universitari in senso lato, così come gli startupper e i consulenti convinti di star cambiando il mondo, i giochisti sono quelli che quando escono con le donne le coprono di complimenti, dicono loro quanto sono belle o speciali e palleggiano, palleggiano, tengono palla, vogliono mettere a punto le strategie perfette per andare in rete, ragnatele di passaggio e partite preparate al dettaglio, studio dei profili social dell’avversario, tattiche targettizzate, poi tiki-taka infinito e sfoggio di presunte qualità tecniche mentre i risultatisti sono quelli che iniziano a lavorare presto nella vita e magari neanche si iscrivono all’università, oppure si iscrivono e la mollano, oppure la fanno e poi la odiano, sono i liceali della vita, sono tutti i lavoratori di fatica, risultatisti sono quelli che non sanno cosa stanno facendo magari al lavoro non ci capiscono un cazzo ma ci mettono la faccia, la simpatia, il sorriso, il rapporto umano e alla fine è questo che fa la differenza, mica le competenze, risultatisti sono quelli che quando escono con le donne vanno verticali, gioco fisico e contatto, corteggiamento ma dichiarato, sono quelli che non rischiano di perdersi in friendzone come invece capita ai giochisti, per cui anche questo può essere un passo necessario nella strategia di cirumnavigazione e infine penetrazione, giochisti che non tirano mai, che lo fanno solo quando arrivano sul fondo coi classici gol alla Guardiola palla bassa e tap-in vincente, gente che minimizza i rischi mentre i risultatisti li massimizzano, giocatori che scendono in campo con la camiseta blanca del Real i risultatisti e tirano da trenta metri, saltano di testa, giocano sulle seconde palle, si affidano alla giocata estemporanea e all’estro del singolo, mica alla pianificazione totale.
Ma giochismo-risultatismo è anche una contrapposizione geografica, i grandi centri e le metropoli chiaramente sono più giochiste, la provincia assolutamente risultatista – seppure la provincia poi per reazione produce i giochisti più fanatici e radicali, quelli che cresciuti in un ambiente conservatore radicalizzano all’estremo la propria sindrome da profeti, e così succede che dalla provincia vengano gli Adani o i De Zerbi tanto per intenderci, pericolosissimi. All’interno delle città poi i quartieri ricchi e centrali sono giochisti, le zone ZTL insomma quelle che votano PD assolutamente giochiste, le periferie decisamente risultatiste.
Per carità, poi ci sono città e città, tipo Milano è l’emblema in Italia del giochismo, Firenze pure ormai che ha perso la sua anima è diventata giochista, Bologna, giochista ma che esprime pur sempre un gioco godibile, c’è da dirlo, ogni tanto ti sorprende, è un giochismo ancora con anima. Napoli rimane risultatista, seppure con ventaure di giochismo che si sta facendo largo tra iper-turismo e instagrammabilità del tutto. Roma città eterna dunque come può non essere risultatista anche se fa un calcio davvero orrendo, paleolitico e ultra speculativo, difensivista senza neanche le ripartenze, è un risultatismo del secolo scorso alla Fascetti non so, un risultatismo di comodo e tradizione, di forma e necessità. Genoa assolutamente risultatista, Trieste risultatista, Torino giochista, Bari ormai sta cedendo al giochismo da quando ha tripadvisorizzato anche la parte vecchia, e peccato perché era una gran città risultatista con le Peroni a 1€ e le colazioni col pesce crudo al porto, Taranto risultatista.
Venezia per forza di cose giochista, e con lei ancor di più Padova, giochista come tutte le città universitarie, Verona ancora risultatista.
Giochismo vs risultatismo è lo scontro di chi vuole sempre dare lezioni, insegnare, catechizzare, convincere contro chi non si prende mai troppo sul serio e magari se ne frega pure, è la lotta tra quelli de “il mio calcio/il mio lavoro/la mia idea” e quelli a cui non interessa imporre la propria visione del mondo, è la lotta tra gli chef stellati e la cucina molecolare e le osterie/trattorie, tra i nuovi cocktail bar bi-trisillabici tutti social e narrazione catchy e i vecchi bar di provincia senza neanche il servizio, tra i digital developer e i lavoratori manuali, tra i nerd e gli anti-social, tra chi ha fiducia nel futuro e chi invece sta tanto bene nel passato.
Una divisione che ha travolto tutto, pure la Chiesa – bergogliana giochista, raztingeriana risultatista, non ve lo devo mica dire io. Ecco perché non possiamo dire basta, come Gaber, perché la cosa non riguarda solo il calcio: è il grande scontro della nostra epoca, altro che alto e basso, élite e popolo, destra e sinistra, declinazioni incidentali della guerra totale più ampia che ci sia in Occidente: giochisti vs risultatisti. Una guerra che stravinceranno i primi, ça va sans dire, ma quando mai ci è piaciuto stare coi vincitori?
Questo contenuto, uscito in esclusiva per gli abbonati il 30/06/2024, è uno degli ultimi episodi pubblicati de l’Angolo del Brasile: una rubrica talmente avanguardista da essere già deflagrata ma che a breve ripartirà, per gli abbonati, quando e come meno se lo aspetteranno. Per abbonarsi a Contrasti ULTRA e non perdersi nulla cliccate qui