Storia del biathlon, uno sport nasce dalla pratica militare e si diffonde oggi come una delle più importanti passioni sportive dell'Europa e del mondo.
Sono trascorse poche settimane dalla conclusione delle Olimpiadi di PyeongChang e abbiamo ancora negli occhi le immagini dei successi degli atleti azzurri e le imprese dei più grandi campioni delle discipline invernali. Senza dimenticare la prima medaglia italiana arrivata per merito di Dominik Windisch nella gara Sprint di Biathlon. Già, il Biathlon. Questo sconosciuto nella terra del Belpaese. Eppure stiamo parlando, con tutta probabilità, dell’attività umana più antica mai praticata sulla neve.
Le radici del Biathlon
Dovessimo parlare di Biathlon a un neofita, potremmo certamente definirla come la disciplina sportiva che unisce due attività (tiro asegno e sci di fondo) e dove gli atleti devono percorrere un circuito nel più breve tempo possibile fermandosi a delle piazzole di tiro poste lungo il percorso per colpire dei bersagli posti a cinquanta metri di distanza. Come abbiamo già avuto modo di accennare, il Biathlon ha origini molto antiche e le sue radici affondano nel Nord Europa e precisamente nella Penisola Scandinava dove, in alcune grotte della Norvegia, sono state ritrovate incisioni rupestri risalenti a oltre 4000 anni fa.
Una raffigurazione tratta dalle compilazioni del vescovo Olao Magno di Svezia, con uomini e donne armati di arco e sci ai piedi.
In questi primitivi disegni era possibile osservare alcuni uomini con dei rudimentali sci ai piedi mentre si stavano appostando perdare la caccia ad alcuni animali. Venendo a tempi più recenti, le prime teorizzazioni illustrate del Biathlon sono presenti nei volumi del vescovo Olaus Magnus di Svezia, compilati nel 1539, mentre la tecnica combinata di sci e tiro si è sviluppata progressivamente sotto forma di difesa militare e non è un caso che le prime notizie riguardanti una competizione di Biathlon risalgono al 1767 quando alcuni reggimenti di frontiera si sfidarono in una gara al confine svedese-norvegese. Proprio nella terra del noto musicista Edvard Grieg venne fondato nel 1861 il più antico sci club del mondo, il Trysil Rifle and Ski Club, mentre alcune interessanti statistiche della prima metà del XX secolo ci rivelano che in Finlandia una media di 2000 uomini prendevano parte ogni inverno a manifestazioni di tiro e sci.
Lo sviluppo del Biathlon come attività agonistica
La prima vera competizione internazionale di Biathlon risale alle Olimpiadi invernali di Chamonix del 1924. In quest’occasione, la “pattuglia militare” venne prevista esclusivamente come evento dimostrativo così come nelle successive edizioni a cinque cerchi del 1928, 1936 e 1948. A farla da padroni, non deve destare alcuna sorpresa, furono proprio i Paesi scandinavi con norvegesi e finlandesi in testa. La conclusione del secondo conflitto mondiale ebbe pesanti ripercussioni su questa disciplina, vista in termini negativi da parte del montante antimilitarismo. Tuttavia, nel 1948, la neonata Unione Internazionale di Pentathlon Moderno (UIPM) prese in considerazione l’idea di inserire nel proprio programma una disciplina invernale e la scelta, sulla spinta dei membri svedesi e del generale Sven Thofelt, cadde proprio sul Biathlon venendo successivamente accettato come sport olimpico ufficiale nel 1955 (l’UIPM divenne UIPMB nel 1957 con l’aggiunta della B di Biathlon).
Pattuglia militare alle olimpiadi invernali di Saint Moritz 1948
Il primo campionato del mondo di Biathlon si tennea Saalfelden, in Austria, nel 1958 con sole sei Nazioni partecipanti mentre il reingresso a cinque cerchi avvenne alle Olimpiadi di Squaw Valley (Stati Uniti) nel 1960 e la prima medaglia d’oro nell’Individuale venne vinta dallo svedese Klas Lestander. Furono anni di grandi cambiamenti per il biathlon moderno. Nel 1972 l’UIPMB decise di cambiare il calibro dei fucili tenendo in considerazione l’alto costo delle munizioni, le dimensioni e la potenza della carabina, i problemi relativi alla sicurezza e la difficoltà nell’ottenere le licenze di armi. Nel 1976, al Congresso di Biathlon di Seefeld, in Austria, venne così approvata la mozione per introdurre ufficialmente il fucile calibro 22 e due anni dopo, ai Campionati del Mondo di Hochfilzen, in Austria, i fucili a canna piccola vennero utilizzati per la prima volta contribuendo a cambiare radicalmente il Biathlon vista anche la grande partecipazione di nazioni iscritte che, proprio in occasione di questa kermesse mondiale, raggiunse quota 28 Paesi.
Una suggestiva vista dell’Arena di Gelsenkirchen durante l’annuale kermesse natalizia di Biathlon: sold out con migliaia di persone a seguire la manifestazione ogni anno, strettamente popolare in quelle zone d’Europa.
Nel frattempo, nel 1974, venne introdotta la Sprint, un nuovo format di gara all’interno del programma dei Campionati del Mondo. Le dimensioni in termini di popolarità e di diffusione del Biathlon erano ormai talmente ampie che anche la vecchia UIPMB venne soppiantata nel 1993 dalla nuova organizzazione, l’IBU (International Biathlon Union), che, da allora, è diventata l’organo direttivo della disciplina. Fin dalla sua istituzione, l’IBU ha costantemente promosso l’appetibilità del Biathlon presso il grande pubblico favorendo, nel 1997, la nascita delle gare ad inseguimento (Pursuit) ai Campionati del Mondo e di partenza in linea (Mass Start) ai Giochi Olimpici invernali di Torino del 2006. Attualmente, l’International Biathlon Union conta 65 Paesi membri provenienti dai cinque continenti.
La popolarità del Biathlon nel mondo
Nel corso degli ultimi anni, il biathlon è diventato uno degli sport invernali più seguiti in Europa, con un pubblico televisivo di centinaia di milioni di spettatori e con eventi che attirano migliaia di persone di tutto il mondo. Nel Vecchio Continente, il Biathlon è al terzo posto in termini di popolarità dopo le Olimpiadi e la Coppa del Mondo di calcio. In Germania, in Norvegia o in Svezia, gli eventi di questa disciplina equivalgono a una vera e propria vacanza in famiglia in quanto le persone vanno a incitare gli atleti con bambini e animali domestici, bevendo e mangiando sotto i caratteristici tendoni. Non è quindi errato sostenere che il Biathlon rappresenta uno spaccato reale della cultura europea contemporanea.
Il norvegese Øle Einar Bjorndalen, uno dei più grandi biatleti della storia fino ad oggi, si è ritirato quest’anno. Foto: Berit Roald / NTB scanpix
In Germania, è lo sport invernale più seguito con un’audience molto ampia tanto che è l’unico paese a ospitare ogni anno due eventi della Coppa del Mondo (a Oberhof e a Ruhpolding) e a organizzare la caratteristica kermesse natalizia di Gelsenkirchen. Molti biathleti di tutto il mondo, poi, si allenano negli impianti sportivi tedeschi, e di conseguenza, imparano correttamente questa lingua e questo fa sì che il tedesco sia riconosciuto come l’idioma del Biathlon. Con gli anni, la disciplina del tiro e del fondo è diventata molto popolare anche in Norvegia e Russia e, recentemente, anche in Francia, in Austria e in Bielorussia. Senza dimenticare Finlandia e Svezia, nazioni di alcune grandi biathlete come Kaisa Mäkäräinen ed Helena Eckholm che hanno rappresentato, quasi da sole, dei veri e propri fenomeni di immagine del Biathlon nei loro paesi: “Cinque, sei, sette anni fa, sempre più persone guardavano lo sci alpino e il cross-country” afferma Johanna Reimers, del quotidiano scandinavo Expressen. “Ora – secondo la giornalista svedese – il biathlon è il più grande sport invernale della TV in Svezia e questo è tutto merito di Helena”.
Questi è, invece, il francese Martin Fourcade, il più grande biatleta di questa epoca e probabilmente di sempre. I suoi risultati, in termini di quantità e qualità, sono paragonabili solo a quelli di Roger Federer. Foto di Stanko Gruden/Agence Zoom/Getty Images
Per non parlare della Russia, diretta erede della tradizione sportiva dell’URSS. Qui la popolarità del biathlon è nata non solo grazie a un esteso bacino di cittadini ben addestrati sia nello sci che nel tiro ma anche perché il governo sovietico ha promosso attivamente lo sport come risposta alla devastazione della seconda guerra mondiale: “Se questa intensità sembra un po’ sorprendente […] è perché il Biathlon in Russia è più di uno sport: evoca una moltitudine di tendenze culturali, sociali e storiche che attraversano più di un millennio. Durante l’era sovietica, il biathlon divenne una metafora per esprimere valori nazionalidi velocità, autosufficienza e prontezza militare, costruita su decenni di rigoroso inculcamento da parte dello Stato …
[…] quindi, mentre gli americani vedono il biathlon come uno spettacolo bizzarro, i russi vedono in questa disciplina il loro orgoglio nazionale”.
E l’Italia?
Nel nostro Paese il Biathlon ha sempre avuto un’eco molto ridotta, sostanzialmente limitata all’Alto Adige e alla storica Valle del Biathlon italiano, Anterselva, alla Val d’Aosta e ad alcune zone della Lombardia e del Friuli Venezia Giulia. Non sono mancate le soddisfazioni per i nostri colori nel corso degli ultimi decenni se solo pensiamo a figure come Andreas Zingerle, Johann Passler, PierAlberto Carrara e René Cattarinussi tra gli uomini e Nathalie Santer, Katia Haller e Michela Ponza tra le donne.
Pieralberto Carrara (sinistra) festeggia l’argento nella 20km di Nagano 1988, dietro all’oro norvegese Hanevold (centro) e davanti al bronzo bielorusso Aidarow (destra). Foto di Mark Sandten/Bongarts/Getty Images
Solamente negli ultimi anni, tuttavia, c’è stata una certa attenzione dei media verso i nostri biathleti e, senza dubbio, questo è dovuto al merito e all’impegno dei vari Lukas Hofer, Dominik Windisch, Dorothea Wierer, Karin Oberhofer e – da quest’anno specialmente – Lisa Vittozzi. E che ci sia un crescente interesse presso il pubblico del Belpaese è testimoniato – oltre dal fatto che stanno nascendo nuovi poligoni come sull’Altopiano di Asiago – anche dal costante aumento di presenze di tifosi italiani durante i giorni della tappa di Anterselva che, non a caso, è stata scelta per ospitare i Mondiali di Biathlon del 2020.
In copertina foto di Sandra Behne/Bongarts/Getty Images
Marco Cecchinato compie l'impresa che nessuno avrebbe pronosticato, ma non si tratta di un miracolo. 40 anni dopo Barazzutti c'è un italiano in semifinale all'Open di Francia.
Il libro del filosofo francese Jean-Claude Michéa ripercorre le fasi del calcio: da sport delle élite a sport popolare, per diventare infine uno strumento nelle mani del capitalismo finanziario e globale.
Da Ledecka alle Coree unite, dal record di Fourcade alla Russia dimezzata e disobbediente; un lungo viaggio all'interno di ogni disciplina dell'Olimpiade appena terminata.