Quale uomo si cela dietro l'ottimo allenatore del Toro.
Occhiali da vista con lenti circolari stile retrò, chioma castana medio-lunga e fisico impeccabile da sportivo che fa sembrare la polo “Piombo”, in collaborazione tra OVS e Torino FC, un elegante abito sartoriale italiano. Paolo Vanoli ricorda la figura del rampante allenatore che con i suoi ragazzi sta andando alla grande nel campionato regionale di qualche categoria giovanile, tipo Juniores o Allievi.
Vanoli ha catturato l’attenzione della platea calcistica nostrana nella passata stagione, culminata con una meravigliosa promozione in Serie A con il Venezia; si è poi preso la scena di questo primo segmento di Serie A prima della sosta grazie ai risultati del suo Torino ma anche grazie ai concetti espressi fuori dal campo. Se di Paolo Vanoli mister non si conosceva abbastanza, dell’uomo ancor meno. Chi è, allora, Paolo Vanoli?
Il Vanoli calciatore
Fare un excursus sulla carriera da giocatore di Vanoli è doveroso per attribuirgli i giusti meriti, magari passati in sordina nonostante un curriculum più che buono, ma anche per intravedere qualche tratto caratteriale. Il classe 1972 nasce a Varese e cresce poco distante, a Solbiate Comasco, dove si affaccia al pallone giocando nella squadra dell’oratorio comunale, per poi passare nel settore giovanile varesino. Dopo le esperienze dilettantistiche in Bellinzago e Corsico, fa un salto di tre categorie e firma il primo contratto pro nel ‘93 con il Venezia in serie cadetta; due anni in laguna e poi il triennio fondamentale all’Hellas Verona, dove conosce la promozione dalla B alla A ma anche il percorso inverso A-B.
La buona continuità e le prestazioni portano l’esterno difensivo alla chiamata da parte del Grande Parma di fine anni ‘90, capitando nella stagione più gloriosa nella storia della società. Arrivato nel 3412 di Malesani come sostituto mancino di Benarrivo, si prende la titolarità dopo l’infortunio di quest’ultimo nei mesi più affascinanti della stagione, quelli in cui il Parma arriva in finale di Coppa Italia e di Coppa UEFA, dove, tra le altre, vengono travolte Rangers, Bordeaux e Atletico Madrid, sino alla finale contro l’Olympique de Marseille. In poco meno d’un mese, tra metà aprile e metà maggio, Vanoli vive il mese più (av)vincente della carriera da protagonista: nella finale d’andata di Coppa Italia contro la Fiorentina finita 1-1 sfiora il gol, poi il 5 maggio si fa eroe segnando nel ritorno a Firenze il 2-2 decisivo per alzare il trofeo, grazie ad un grande stacco di testa.
Da notare l’areoplanino di Gigi Buffon dopo il gol di Vanoli per il decisivo 2-2
Sette giorni dopo, a Mosca, i ducali annichiliscono l’OM con un 3-0 in cui l’esterno firma il raddoppio, sempre di testa. Conosciuta la vittoria, si porterà sempre dietro questa fame. Il secondo anno disputa 38 partite, tra cui quella del debutto nei preliminari di Champions, da cui il Parma uscirà sconfitto per mano del Rangers e quella della vittoriosa finale di Supercoppa Italiana contro il Milan. In aggiunta, il 1999 è anche l’anno del suo esordio amichevole in Nazionale contro il Belgio, condito da una splendida rete di mancino.
Il nuovo millennio lo porta alla corte della Fiorentina di Terim dove (scherzo del destino) vince una Coppa Italia proprio contro la sua ex squadra, segnando addirittura lo 0-1 nell’andata al Tardini. L’anno dopo va decisamente peggio, con la retrocessione della Viola in B e il successivo fallimento che portano Vanoli a disputare una stagione dall’altra sponda dell’Appennino, in un Bologna finalista della fugace Coppa Intertoto. Nel 2003 si trasferisce nella metà protestante di Glasgow dove fa la sua prima ed importante esperienza estera (seppur breve) con i Rangers, disputando i gironi di Champions al primo anno, mentre il secondo lo divide tra Scozia e Vicenza. Conclude la carriera trascorrendo una stagione in Grecia all’Akratitos e l’ultima in Eccellenza, la categoria da dove il suo viaggio era partito.
Vanoli, l’allenatore
La sua avventura da mister inizia qualche mese dopo nel veronese e parte subito col botto, poiché subentra e porta il Domegliara dall’Eccellenza alla Serie D per la prima volta nella sua storia. Tre stagioni ad alti livelli che gli valgono la chiamata nelle giovanili azzurre, con Arrigo Sacchi suo coordinatore tecnico che forgerà e plasmerà almeno in parte il Vanoli allenatore. A Coverciano lavora prima da assistente e poi da mister con i ragazzi della Nazionale, dall’Under 16 all’Under 19, categoria con cui raggiunge la finale europea dove si inchina alla Francia di Mbappé.
Dopo otto anni in FIGC è chiamato ad essere collaboratore tecnico di Antonio Conte nel Chelsea che vince l’FA Cup e nel biennio interista in cui viene raggiunta la finale dell’Europa League e la vittoria dello Scudetto. L’esperienza a fianco di Conte lo fa crescere nel suo percorso tecnico e di gestione di uno spogliatoio importante, lasciandogli un imprinting decisivo nella sua visione del calcio.
A fine 2021 Vanoli accetta l’offerta da allenatore dello Spartak Mosca; sarà un’esperienza tanto breve quanto intensa, sei mesi in cui alza la Coppa di Russia e vive una vicenda umana molto impattante con lo scoppio della guerra russo-ucraina a marzo, determinante nella scelta di lasciare la squadra a fine stagione. Qualche mese dopo torna nella laguna veneziana a quasi trent’anni di distanza, raccogliendo una squadra ultima in Serie B a cui dice subito: “peggio di così, non possiamo fare”. È il preambolo di 20 mesi eccezionali, dove fa risalire l’Unione dagli inferi ai playoff già al primo anno per poi vincerli l’anno successivo contro la Cremonese.
Lo scorso giugno, dopo un tira e molla premonitore sulla clausola che Cairo doveva pagare per liberarlo dal club veneziano, giunge al Toro, in una piazza dalle solite turbolenze mai sopite tra tifoseria e presidenza ed un ciclo Juric terminato non nel migliore dei modi.
Al termine del primo allenamento stagionale, gli ultras della Maratona hanno avuto una conversazione breve e diretta con Vanoli, dove al mister venivano avanzate tre richieste: aprire più spesso al pubblico le porte del Filadelfia (oggi semplice campo d’allenamento della prima squadra ma dal significato simbolico evocativo, “tempio granata” delle gesta del Grande Toro e vecchio centro d’allenamento di uno degli storici settori giovanili d’Italia), ridare dignità morale a una squadra che aveva perso la faccia dopo gli sbeffeggiamenti (per dirla gentilmente) rivolti ai tifosi lo scorso 4 maggio a Superga, infine uscire dalla mediocrità delle ambizioni societarie, con sostenitori stanchi di attaccare la boa a metà classifica e galleggiare. Lui ha risposto con estrema sicurezza che era lì per quello, mediante un processo graduale che passa dalla costruzione di una mentalità vincente, auspicando infine una coesione di tutto l’ambiente (tifosi-società-gruppo).
In poco più d’un mese si è potuto accorgere della difficoltà di questa coesione, anzi è arrivato nell’estate di rotta di collisione forse maggiore, culminata con la protesta di circa 15 mila tifosi prima di Torino-Atalanta. Ed è proprio nella settimana del match che il Paolo Vanoli uomo ha sfoderato tutta la sua autenticità, in una conferenza stampa pre partita che è già storia: centro dei discorsi l’affaire Bellanova, con il giocatore ceduto ai bergamaschi all’improvviso a due settimane dalla chiusura del mercato. Un fulmine a ciel sereno che Cairo ha tentato di giustificare parlando di presunti mal di pancia del giocatore che da qualche settimana voleva andarsene.
Per Vanoli sarebbe stato forse meglio prendere una posizione democristiana nei confronti della vicenda, ingraziandosi così il presidente. Ha invece sbugiardato con tutta la sua schiettezza la versione cairota, affermando di non essere stato messo al corrente della cessione, negando capricci del giocatore ed esprimendo la sua contrarietà a quest’operazione aggiungendo
“quello che dovevo dire al presidente gliel’ho riferito in faccia e telefonicamente […], detto ciò volto pagina e vado avanti senza che tutto questo diventi un alibi. Ciò che mi infastidisce quando lavoro è la mediocrità, la Società deve aver più coraggio”.
Tratti comunicativi che ricordano Antonio Conte (che a Napoli hanno già imparato a conoscere), dettati dalla sincerità di un uomo vero che usando toni e modi anche più eleganti del suo mentore è riuscito ad unire lui, il gruppo e la piazza. Quest’ultima ha visto nelle sue parole e nei suoi valori un capo-popolo esemplare e portatore della sua voce. Vanoli ha anche aggiunto che “come lui (Cairo) si è informato su chi fossi, io mi sono informato su di lui”.
Tutti sono rimasti sorpresi dalla sincerità e dalla tenacia di Vanoli, che pure ne aveva dato dimostrazione già alcuni mesi prima, vivendo una situazione analoga a Venezia, con la vendita di Dennis Johnsen a pochi giorni dalla chiusura del calciomercato invernale a una diretta concorrente come la Cremonese; in quell’occasione Vanoli aveva espresso il disaccordo verso la società senza piangersi addosso, chiosando con una frase che, se detta da un allenatore più in vista, forse ricorderemmo ancora: “è stato ferito un leone, questo leone diventerà ancor più cattivo”.
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Mettere agli atti (di fronte a tutti) i fatti di cui prendere coscienza senza rimuginarci troppo, guardare avanti accrescendo la propria determinazione nelle situazioni di difficoltà, sono tutte componenti importanti dell’ambizione di Vanoli, la cui asticella si è dimostrata differente anche nel post partita di Venezia-Toro dove, con 7 punti nelle prime tre partite e un momentaneo primo posto in solitaria (che sarà durato sì e no 20 minuti, sino all’1-0 dell’Inter sull’Atalanta), è riuscito ad esprimere la sua insoddisfazione per la prestazione. Ha poi sedato gli entusiasmi, tranciando i giornalisti che parlavano di “vanolismo”, esplicitando il fatto di avere sempre i piedi per terra.
Si è detto subito orgoglioso di poter allenare il Torino, ne sente la responsabilità e gli viene la pelle d’oca quando ne parla. La prima richiesta fatta alla società non è stata sul mercato bensì sulla prospettiva e il carattere umani, invocando la volontà di essere guidato a Superga per comprenderne appieno il significato. Ai giocatori neo arrivati, prima delle disposizioni tecnico-tattiche, chiede se sanno cos’è il Toro e cosa rappresenta.
Sul campo di gioco poi sono già andate virali le sfuriate in ritiro per la leggerezza di alcune giocate dei suoi e la ripetizione nauseante di alcuni esercizi sino al raggiungimento di un obiettivo. Dell’uso di espressioni forti per spronare i calciatori se ne vergogna un po’, ma gli serve “per farli appassionare a ciò che stanno eseguendo”. Paolo Vanoli si percepisce come il maestro di un’orchestra da far suonare tutta insieme attraverso la costruzione di un’identità di gioco basata sul gruppo, dove l’abnegazione di un giocatore si vede anche nella volontà di imparare la lingua del Paese in cui gioca perché, come dice Vanoli “quando sono andato in Inghilterra ho dovuto parlare l’inglese”. Al contempo, nel suo staff vi sono portoghesi, spagnoli ed italiani con esperienze estere, perché si rende conto di quanto il poliglottismo sia importante nel processo d’inserimento di un giocatore.
A chi gli chiede se si senta emozionato ad allenare in Serie A, risponde convinto che, al netto della gratitudine, l’opportunità se l’è meritata ed è giunta dopo una gavetta di cui va estremamente fiero. Presunzione mai, sicurezza nei propri mezzi ed ambizione sempre, condita da una comunicazione diretta e pragmatica. Paolo Vanoli stupirà tutti.