L'uscita al primo turno di Rafa Nadal chiude un'epoca. E un'epica.
Roland Garros è stato un pioniere dell’aviazione francese, ma dallo stadio centrale del complesso tennistico a lui dedicato non si vede il cielo. Piove su Parigi, gli dei del tennis piangono e cercano di posticipare l’inevitabile. Purtroppo, il progresso ha dotato anche gli Internazionali di Francia di una copertura e, nonostante questo alteri sensibilmente le condizioni naturali di gioco del torneo, il destino segue il suo corso. Quando si chiude il tetto sul Philippe Chatrier sopra le teste di Alexander Zverev e Rafael Nadal è sempre segno di presagio funesto.
I due si erano incontrati l’ultima volta qui nel 2022 in una semifinale, potenzialmente epica, durata solo due set seppur spalmati in oltre tre ore di gioco. In quell’edizione il tetto era la grande novità del torneo, ma Nadal e Zverev l’avevano visto chiudersi per la prima volta solo in quel pomeriggio di giugno. Si era conclusa con le lacrime di Sasha impastate alla polvere di mattone nel silenzio attonito del centrale parigino. I tre legamenti spezzati nella caviglia del tedesco avevano di fatto consegnato il ventiduesimo slam nelle mani di Rafa, ma da allora Eupallina (ci perdonerà Brera) ha riservato percorsi opposti ai due giocatori.
Ieri, sotto lo stesso tetto, il destino ha voluto riprendersi tutto con gli interessi, invertendo gli scenari in uno scherzo piuttosto beffardo.
La sconfitta di Rafael Nadal al primo turno del Roland Garros ci lascia sgomenti. Non certo per il risultato in sé, facilmente pronosticatile, quanto per la sensazione amara che una storia leggendaria abbia sempre diritto a un finale adeguato. Zverev ha forse raggiunto la maturità completa e mai come quest’anno si presenta a Parigi nel ristretto novero dei grandi favoriti. Rafa invece è incerottato e sembra messo insieme appositamente per l’occasione. Anni di lotte e sudore ne hanno dilaniato quei muscoli ipertrofici con cui aveva annichilito il circuito ormai venti anni fa.
Il volto è sempre più segnato e scavato, la fascetta, simbolo del suo stile sul campo, fatica a rimanere composta senza ormai più capelli da domare e rende il volto di Rafa, se possibile, ancora più sofferente di quanto realmente sia. Ogni espressione sembra una battaglia silenziosa contro il tempo, che nemmeno la sua leggendaria ostinazione può più vincere. I pugni caricati a salve dopo i punti vinti più belli alimentano l’animo ma non spaventano più l’avversario. Ieri a vederlo in campo mi è sembrato di sentire riecheggiare nella mente le parole che Tolkien mise in bocca a Bilbo Baggins parlando del suo stato di salute con lo stregone Gandalf, nella Compagnia dell’Anello:
«Io sono vecchio Gandalf. So che non lo sembro, ma comincio a sentirlo nel cuore. Mi sento sottile, quasi stiracchiato, come del burro spalmato su troppo pane. Ci vuole una vacanza, una lunghissima vacanza. E credo proprio che non tornerò».
E invece Rafa torna, non molla, ma quando mai l’ha fatto?! Non cede alle celebrazioni, pronte da settimane a Parigi, concede solo l’intervista post partita dopo le suppliche della Direttrice del torneo, l’ex campionessa francese Amelie Mouresmo. Chiarisce, rendendole ancora più sibilline, quali siano le sue intenzioni: «C’è una grande percentuale che non tornerò più a giocare il Roland Garros ma non posso dirlo al 100%». Poi argomenta in conferenza stampa: «Accetto il momento. Se è l’ultima volta che ho giocato qui, sono in pace con me stesso (sorridendo). Ho fatto tutto il possibile per essere pronto per questo torneo per quasi 20 anni. Ho un mese e mezzo per prepararmi al meglio per le Olimpiadi. Dopo vedremo cosa fare».
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Insomma di nuovo sul Philippe Chatrier ai Giochi, in doppio con Alcaraz e in singolare chissà. E poi? Ci fosse un manuale che insegnasse agli sportivi a ritirarsi avremmo visto finali molto più decorosi negli ultimi anni, ma anche meno sorprendenti. Per Rafa il tempo è qualcosa che scorre nel corpo e nella mente più che su una linea immaginaria, e solo lui ne è padrone: «Mi piace allenarmi, mi piace giocare a tennis. Sono in un momento diverso della mia vita personale, viaggiando con mio figlio, mia moglie», spiega.
E ancora: «Mi sto godendo questi momenti che non torneranno. Quindi se continuo a godere di quello che sto facendo e mi sento competitivo e abbastanza sano da godere, voglio continuare per un po’. Non so per quanto tempo, ma voglio continuare per un po’, perché loro si stanno divertendo, io mi sto divertendo, e devo vedere, devo darmi un po’ più di tempo per vedere se il mio livello sta crescendo e il mio corpo tiene, e poi prendiamo una decisione».
E a dire il vero, se uno volesse davvero analizzare la partita, in un giorno in cui le analisi sono abbastanza vuote, comprende che Nadal ha davvero il controllo di tutto quello che succede su un campo da tennis. Perché da quando è tornato, senza dubbio, abbiamo visto il Rafa migliore proprio ieri a Parigi, come sempre verrebbe da dire. Ha giocato bene, con ottimo ritmo, buon piglio e persino discreta condizione. Contro quasi ogni altro giocatore avrebbe portato a casa la centotredicesima vittoria su questi campi, ma contro questo Zverev l’impresa era improba.
Nei film di Hollywood i nemici sono sempre tedeschi o russi e Sasha, che è un po’ di entrambi, era il villain perfetto. Che poi anche il ragazzone di Amburgo è sembrato quasi dispiaciuto di essere proprio lui il carnefice di questa storia, quasi avesse preferito stare con gli altri, Nole, Carlitos, Iga, tutti allineati a vedere quella che sapevano già essere la fine della storia:
A salutare chi per un poco / Senza pretese, senza pretese / A salutare chi per un poco / Portò l’amore nel paese, avrebbe cantato Faber.
Su Parigi il cielo si rasserena, il tetto non si apre, ma il sole si insinua ugualmente nella struttura durante le interviste dei giocatori. Il tramonto sul Philippe Chatrier è sempre un momento speciale. La luce si tinge di una tonalità unica al mondo. Lo sa bene Julian Finney che nel 2021 sfruttò quei momenti per cogliere uno scatto di Stefanos Tsitsipas entrato tra le 100 foto più belle dell’anno. Così, mentre Nadal prende le borse e se le carica in spalla, come in un quadro di Caravaggio luci e ombre sembrano suggerire a Rafa la via degli spogliatoi, o del ritiro. In un pomeriggio di maggio anche gli dei alla fine si sono arresi, e hanno concesso all’eroe di questi campi l’atmosfera più bella per salutare il Philippe Chatrier.