Una partita divisa tra grandi meriti e demeriti.
È la solita vecchia e usurata storia: in certe partite, come quella andata in scena ieri sera a San Siro tra Milan e Roma, non si capisce mai fin dove arrivino i meriti di una e i demeriti dell’altra. La scappatoia facile, per liquidare ogni dubbio e uscirsene puliti, è dire che si è trattato di un mix di capacità e incapacità, vizi e virtù – con, nel suddetto caso, il peso di variabili arbitrali che hanno fatto pendere definitivamente la bilancia da una delle due parti.
Partiamo però da chi questa partita l’ha vinta, da sfavorita e in trasferta, dopo 7 anni nei quali non era riuscita a strappare un risultato pieno in casa del Diavolo.
Partiamo dalla Roma, che per larghi tratti della gara è riuscita nell’impresa di disinnescare, inibire, annichilire, avvolgere, di mandare in confusione e addirittura nel pallone il Milan. Lo ha fatto soffocando le corsie laterali rossonere, soprattutto quella sinistra laddove il cambio fascia di El Shaarawy, schierato a destra (e autore di una partita straordinaria), ha nello stesso tempo rappresentato un pensiero ma soprattutto garantito un costante raddoppio per tutta la partita.
Il tutto con le mezze ali sempre pronte a scivolare in raddoppio sugli esterni: Cristante da una parte su Leao, raddoppiato e spesso triplicato ancor prima di prendere palla, Pellegrini dall’altra su Pulisic. Intanto in mezzo al campo, in particolare nel primo tempo ma anche per 65-70 minuti, i tre della Roma bloccavano le linee di passaggio, risucchiavano Loftus-Cheek, facevano scomparire Bennacer – con il solo Reijnders, più intraprendente, a creare pericoli – mentre Paredes dettava i tempi e gli spazi della partita.
Quindi il gol del solito Mancini, un giocatore che dimostra quanto l’aspetto mentale sia importante in questo sport, e quanto con un salto caratteriale e psicologico si possano colmare delle mancanze (soprattutto in marcatura e posizionamento, se ripensiamo alla carriera del centrale toscano) fino al punto di diventare uno dei migliori difensori italiani. La Roma avrebbe potuto chiudere il primo tempo 2-0 e nessuno avrebbe gridato allo scandalo, essendo arrivata più volte nell’area avversaria e avendo creato pericoli con manovre ed azioni di gioco. A differenza del Milan.
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Già, il Milan. Perché dall’altra parte c’è stata una squadra molle già dall’ingresso in campo, nell’atteggiamento. Se De Rossi ieri ha azzeccato pressoché tutto, Pioli ha sbagliato praticamente tutto: l’approccio alla partita, la disposizione in campo, l’assenza di contromosse all’altezza, il conservativismo dell’intervallo in cui non ha stravolto – o comunque cambiato pesantemente – la squadra, sacrificando e consegnando agli avversari ulteriori 20 minuti prima di sfruttare un po’ di stanchezza della Roma, la spinta dello stadio di casa, l’urgenza del risultato per schiacciare gli ospiti nella propria metà campo e affidarsi al brio di Chukwueze.
Nel primo tempo il Milan è stato totalmente sorpreso, finito nella ragnatela e nel possesso della Roma, accumulando sfiducia mentre gli avversari prendevano fiducia e guadagnavano il controllo del match. Un Milan che non è mai riuscito a trovare le misure, a uscire coralmente in pressing, a crearsi spazi e isolare i propri uomini migliori: sembrava sempre che la Roma fosse un passo avanti, che quasi fossero di più in mezzo al campo, gli avversari. E a dimostrazione di quanto nel calcio le statistiche base contino poco, a fine primo tempo i dati evidenziavano tiri e possesso a favore dei rossoneri, quando evidentemente era stata la Roma a gestire il parziale.
«Tu sei aggressivo quando le distanze sono giuste. Io credo che la squadra sia stata molto generosa, ma non col coraggio e le distanze giuste che dovevamo avere».
Così ha parlato Stefano Pioli a fine partita, al quale non è bastata la pressione degli ultimi venti minuti di una squadra che comunque avrebbe potuto pareggiare con il tap-out di Giroud, imbeccato da solo a due metri dalla porta dopo la formidabile serpentina di Chukwueze, e anche nell’occasione del mancato rigore su Abraham. Veniamo al tema, e all’episodio, della discordia – perché poi il fuorigioco di Lukaku sull’azione del corner sembra essere questione di centimetri, difficile da stabilire in un senso o nell’altro. Chi scrive non è certo un fan dei rigorini da calcio moderno, da VAR e da Lega Serie A, tutto il contrario.
Eppure bisogna essere onesti: questo era rigore non solo in Serie A, ma in tutte le categorie e le competizioni del calcio. Era rigore per imprudenza, perché Abraham allontana la palla con la mano (e il braccio moderatamente largo) senza nemmeno sfiorarla con la testa; una palla che arriva lenta, da lontano. D’accordo gli occhi chiusi e l’involontarietà ma c’è troppa imperizia, incapacità a difendere. Sono i rigori (causati) da attaccanti e che però, pur nel mancato dolo, è difficile non fischiare.
Ma al di là delle valutazioni arbitrali, sulle quali lo stesso Pioli con signorilità (questo bisogna riconoscerglielo) ha piuttosto sorvolato, la partita sarebbe sì potuta terminare in pareggio ma nel complesso, per come le due squadre l’hanno interpretata, per i meriti degli ospiti e i demeriti dei padroni di casa, probabilmente il risultato è stato giusto. Bisogna in questo rendere onore a De Rossi, capace di revitalizzare una squadra che fino a un paio di mesi fa sembrava non averne più – era stata proprio una partita a San Siro con il Milan, nella quale si era vista una formazione a tratti alla deriva, a costare definitivamente la panchina a Mourinho. De Rossi che al termine della gara, tra i soliti complimenti e le analisi di rito, ha però espresso un concetto significativo e non scontato:
«A volte, paradossalmente, quando l’avversario è più forte è quasi più semplice tenere palla perché loro possono lasciarti spazi. Però bisogna avere il piede fermo e non tremare».
Ecco in questo approccio, in questo coraggio consapevole è racchiusa una buona parte della vittoria romanista di ieri. Un coraggio che ha sorpreso il Milan che invece, a parte il piano tattico, ha sbagliato clamorosamente già l’approccio alla gara (e non è la prima volta) e poi ha peccato da un lato di mollezza e mancanza di personalità (un nome su tutti: Leao), dall’altro di eccessiva sicurezza, quasi di tracotanza. La stessa che spingeva Pioli, qualche giorno fa, a dichiarare di non essere così distanti da City e Real Madrid, e in generale dal livello delle migliori d’Europa.
Due volti comunque di un’unica partita strana, inaspettata, che lascia tutto aperto per un ritorno impronosticabile. Difficile pensare che il Milan possa sbagliare così radicalmente due partite, eppure non sbagliarla potrebbe non bastare. All’Olimpico, una squadra in fiducia e 65mila cuori infuocati giallorossi attenderanno l’arrivo dei rivali, sognando un’altra semifinale europea in una competizione in cui la maggiore indiziata al trionfo finale è alle corde, ad un passo dall’eliminazione, strapazzata nel proprio tempio di Anfield Road dalla banda terribile di Gasp – possiamo solo immaginare cosa possa aver provato un tifoso orobico ieri sera a Liverpool. Il calcio in fondo, lo sappiamo, è un gioco davvero strano.
Foto copertina As Roma