Collanina d’argento puro al collo, lasciata appena visibile sotto la camicia bianca sbottonata – manco fosse all’aperitivo delle 18.30 all’EsKina, in quel di Fuerteventura –, sguardo tronfio e sicuro, dell’uomo che «non deve chiedere mai». Non è un film con Daniel Craig protagonista né una réclame sulla nuova fragranza di Armani Gio. Quella che abbiamo descritto è l’inquadratura su Gianluca Rocchi, designatore arbitrale per la Serie A e la Serie B, nel contesto – a dir poco inquietante – del nuovo programma esclusivo di DAZN andato ieri in onda per la prima volta nella storia (lo avranno ripetuto una cosa come centocinquanta volte): Open VAR – geniale, nevvero?
In un colpo, annunciato il giorno prima nel silenzio generale – e ti credo, magari la gente di sabato sera qualcosa da fare ancora ce l’ha –, DAZN si è garantita non solo l’esclusiva televisiva di alcuni audio (con filmati annessi) VAR messi a disposizione dallo stesso Rocchi, ma la possibilità di creare su di essi uno show ad hoc che farà schizzare alle stelle gli ascolti del canale streaming detentore dei diritti televisivi del massimo campionato italiano. Quest’ultimo, chi se lo guarda più? Già prima si faticava, ora con l’aumento dei prezzi e l’ufficializzazione del calcio spezzatino, vedersi un Lazio vs Monza di sabato sera è diventata una montagna da scalare – e ringraziassero i creatori del fantacalcio, quelli di DAZN, che altrimenti era recessione economica assicurata.
Tornando a Open VAR, vorremmo concentrarci sull’apertura del programma. Le prime parole di Marco Cattaneo (conduttore dello stesso) sono da studiare: “siamo qui per migliorare la cultura sportiva di chi ci ascolta”. Non ci crede neanche lui, mentre lo dice. E se ci credesse davvero, sarebbe persino più pericoloso: è un’ambizione, quella di associare la conoscenza (in questo caso del funzionamento e dell’utilizzo del VAR durante le partite) alla cultura, che avrebbe fatto impallidire chi ‘culturale’ lo è stato per davvero, da Pavese alla Fallaci, da Carmelo Bene a La Capria: «questa necessità di frantumare la conoscenza ha mandato in frantumi l’unità della coscienza», dice quell’ultimo nel geniale saggio La mosca nella bottiglia. È una frase bellissima, che vale anche per noi e vale anche per Cattaneo, Rocchi, DAZN e compagnia cantante – in questo senso il Club di Fabio Caressa, per fare un paragone, è tutta un’altra storia.
Neanche ha finito di dire quella bestialità, Cattaneo, che al suo fianco Stramaccioni – nei panni di quello che ha allenato in Serie A, mecojoni – inizia a sparare una serie di complimenti a destra (DAZN) e a manca (AIA) sull’iniziativa: una cosa del genere serviva proprio, per chi non si capisce però. È divertente questa cosa. Si parla di un servizio offerto “per fare chiarezza sugli episodi” (sai che ci frega, l’episodio ormai se ne è andato e va bene così), “per umanizzare la figura degli arbitri” (il concetto forse più triste venuto fuori dal programma stesso: l’arbitro è una figura angelica nel calcio, protetta da una sorta di strato soprannaturale che lo protegge dal mondo esterno, ed è affascinante per questo) e per “educare i tifosi” (grazie, ma no grazie).
“Non c’è giorno in cui aprendo il giornale e leggendo le dichiarazioni dei nostri leaders, dei nostri padri della patria, dei nostri più autorevoli giornalisti e direttori di giornali, dei nostri opinion makers e persuasori occulti, non si avverta dolorosamente l’offesa fatta al senso comune. Se piove, e tutti lo vedono, perché loro dicono che fa bel tempo? Insomma a destra e a sinistra le sparano grosse”.
Raffaele La Capria, La mosca nella bottiglia
Dopo la brillante apologia di Strama (dicasi leccata del democristiano), ecco Rocchi iniziare a impietosire tutti col “lavoro enorme” che in AIA si deve fare dopo la fine delle partite, per giudicare degli arbitri tramite il raffronto tra audio e circostanze di campo. Poverini, loro. Mica noi, che dalle tribune o dalle curve, poveri ignoranti zozzi e insensibili, ci chiediamo perché spendere tutti quei soldi per vedere uno spettacolo simile o, peggio ancora, strozziamo in gola l’urlo del gol – l’unico momento per cui valga ancora vedere una partita di calcio – mentre l’arbitro, danzatore della morte, disegna un quadrante nell’aria e “va a rivedere l’episodio”.
Il resto dello show – detto con una sfumatura sprezzante – lo lasciamo a voi. Non entreremo nella singolarità (e nella legittimità) di alcuni episodi rivisti durante il programma, perché francamente non ce ne può fregare di meno: non è questo il punto. Continua a spaventarci l’idea che sta dietro a certi programmi, a certe iniziative colte: quello di sapere, per filo e per segno, tutto quello che accade. Come se questo portasse a un progresso – per chi? per noi tifosi naturalmente, rimasti all’età della pietra.
Non chiamatela moviola, perché questa viveva dell’interpretazione e come tale diventava teatro (Il Processo di Biscardi). Qui siamo ad un livello successivo, insieme scaduto (perché la moviola è antichissima) e distopico (perché la revisione della revisione, il controllo del controllo, è pura distopia). Siamo certi che il programma avrà un grandioso successo, comunque. E non ci stupiremmo, anzi, se un giorno non avremo più bisogno di vedere le partite ma solo di studiarne la legittimità tecnica, matematica e arbitrale. Le vie della tecnocrazia sono infinite.