Calcio
17 Settembre 2023

L'Inter è sempre la più forte

I nerazzurri sono di un altro livello, ma il Milan è vivo.

Il duecentotrentottesimo derby della Madonnina sarà difficilmente dimenticato, e va in archivio con un passivo roboante che spacca in due gli umori della città. La Milano rossonera si è risvegliata traumatizzata sotto la pioggia torrenziale abbattutasi su San Siro. Dopo le prime giornate convincenti ed esaltanti, l’entusiasmo dei ragazzi di Pioli si è schiantato di fronte a quello che Paolo Condò ha definito negli studi di Sky Sport il “crash test rossonero”. Una partita psicologicamente e tatticamente diventata stregata per il Milan, arrivata forse troppo presto perché si potessero consolidare i buoni presupposti di questo avvio.

Il Biscione invece si è avvinghiato intorno a San Siro e sembra ormai volerlo stritolare tra le sue spire. Non si era mai visto un filotto di cinque derby vinti in un solo anno solare, con un passivo totale di 12 reti a 1 che lascia ben poco spazio a molti commenti. Una squadra matura e sorniona, consolidata nella certezza della propria forza e in quelle accumulate durante la campagna europea della scorsa stagione. Istanbul è stata una tappa dolorosa, ma ha lasciato ‘consapevolezze’ importanti e quella fame di affermazione nazionale che negli ultimi anni all’Inter è sfuggita per distrazione e superficialità, non certo per qualità.

«Rispetto a dodici mesi fa abbiamo cambiato dodici giocatori, tutti giocatori importanti. La stagione dello scorso anno ci ha dato tanta consapevolezza vincendo due trofei e disputando una finale di Champions League».

Simone Inzaghi

Non subire l’influenza del tabellino, tuttavia, è certamente la sfida più complessa nell’analisi di una partita terminata 5 a 1. Se poi la partita è la stracittadina milanese, prodotto d’élite del nostro calcio, la tentazione di farsi conquistare da aggettivi superlativi e giudizi perentori è senz’altro ghiotta. Eppure, nel Mondrian esposto a San Siro, i singoli blocchi colorati sono degni di osservazione propria, sebbene la loro visione d’insieme restituisca il netto risultato maturato. E allora ecco finalmente evidenziare un approccio differente mostrato dai rossoneri, in particolare rispetto alla doppia sfida europea.

Se nelle semifinali di Champions League il dominio nerazzurro era stato totale, e tutto sommato i parziali risicati, questa volta il Milan ha per lunghi tratti mantenuto il pallino del gioco. L’encomiabile voglia di prendere in mano la partita e inibire le iniziative interiste, però, si sono scontrate con un dominio territoriale decisamente sterile e una svagatezza difensiva imperdonabile. Pioli ha cambiato tanto rispetto alla scorsa stagione, modulo e interpreti, così come aveva fatto spesso in occasione dei derby dell’anno passato. Le scelte del tecnico emiliano sembrano però essere condannate alla maledizione de Il Gattopardo: tutto deve cambiare perché tutto resti come prima.

E infatti non solo l’effetto dei cambi non incide sul risultato finale, ma l’Inter riesce pure nel facile gioco di colpire sempre, ancora, inesorabilmente nello stesso modo contro i rivali cittadini. Sono le ripartenze a decidere e spaccare il derby, determinando ben quattro dei gol nerazzurri, anche se la prima dopo solo tre minuti richiederebbe almeno maggiore accortezza. L’inter sulle ali di Marcus Thuram, definito da Garlando “un centauro, come Chirone, il maestro di Achille: metà Lukaku e metà Dzeko“, spezza con facilità i raddoppi e lancia le offensive. Il francese ha piedi educati, velocità esplosiva e intelligenza calcistica superiore. Galleggia intorno a Lautaro e fiuta gli spazi, prima per suggerire i compagni, poi per rifinire e marcare il 2 a 0 con un capolavoro, nel migliore momento rossonero del primo tempo.



Allo stesso modo, anche il migliore in campo è lo stesso dei derby di Champions. Il Milan non trova ancora soluzione agli inserimenti di Henrikh Mkhitaryan, che colpisce due volte e rischia di portarsi a casa il pallone sbagliando un colpo di testa non impossibile. Se l’armeno è stato l’uomo copertina di questo derby, comunque, gran merito va dato all’altro grande protagonista di serata: stavolta Simone Inzaghi non sbaglia niente. Nella settimana dell’exploit di Davide Frattesi con la maglia azzurra, difende le sue scelte nonostante la stampa invocasse a gran voce la titolarità del centrocampista romano, proprio ai danni di Mkhitaryan.

Inzaghi tuttavia ha chiare le idee sull’integrazione del numero 16, arriverà il suo momento anche dal primo minuto: così quando lo inserisce al posto di un Barella in riserva, trova anche la via della rete ispirato proprio dall’armeno, manco a dirlo con inserimento perfetto. Ma Inzaghi indovina anche la novità in difesa. Si prende i suoi rischi riproponendo Acerbi, al rientro dopo l’infortunio subito al soleo in precampionato e che non giocava da Istanbul, al posto di un De Vrij tornato a livelli ottimi in questo inizio di stagione.

Il difensore lombardo è perfetto, non sbaglia nulla, sembra non aver mai smesso di annullare i suoi avversari. A partita in corso, il tecnico piacentino indovina anche i cambi e argina il ritorno del Milan. Al contrario, il collega rossonero sbilancia la squadra sul 3 a 1 e oltre alla sconfitta favorisce una debacle che sarebbe stato opportuno evitare per non avere contraccolpi emotivi la settimana dell’esordio europeo.

Il risultato finale è un passivo fin troppo severo per il Milan, che però rimarca la differenza di qualità della rosa che intercorre tra le due squadre. La profondità della panchina nerazzurra è impressionante, senza considerare che l’Inter non ha ancora fatto esordire Pavard, Klaassen e Sanchez, giocatori che una volta integrati rappresenteranno ulteriori eccellenti carte nel mazzo di Inzaghi. Si rafforza, seppur con nuovi interpreti, una consapevolezza che conserviamo ed esponiamo ormai da anni, da Conte e dal post-Conte: la rosa dell’Inter è la migliore, per mix di qualità individuali e di costruzione generale, che ci sia in Italia. E quella in grado di toccare i picchi più alti.

«È importantissimo avere questa profondità di rosa, tra poco giocheremo ogni tre giorni. Ho fatto i complimenti a tutti».

Simone Inzaghi

Eppure, se in qualche modo le disparità tra le rose erano note, così come la necessità di concedere tempo per un ottimale inserimento dei nuovi acquisti rossoneri, l’indicazione più amara è arrivata invece dai trascinatori della squadra. Rafael Leao è la stella attorno a cui girano le sorti del Milan, ma non è la prima volta che in questi incontri si spegne, si isola fuori dal gioco nella sua amata corsia mancina e da lì si mette in moto solo a singhiozzo. Troppo poco per il leader tecnico di una squadra con legittime ambizioni come il Milan.

Theo ancora una volta esce frastornato dalle pressioni del derby, conclude male nel primo tempo una diagonale che avrebbe potuto cambiare la storia della partita e poi gradualmente segue l’andamento generale; l’intervento inutile e scomposto su Lautaro, che manda sul dischetto il grande ex Calhanoglu, è la frittata di una serata pessima. Ancora peggio di loro i centrali difensivi Thiaw e Kjaer, mai in partita, completamente portati a spasso da Lautaro e Thuram.

Dopo sole quattro giornate non è tempo verdetti, ma sicuramente una partita di questo livello lascia intravedere alcune prospettive. Il Milan esce con le ossa rotte eppure, crediamo, con la consapevolezza di una grande botta ma non di un male interno e strisciante, anzi. Certo un derby perso in questo modo pesa, e anche tanto, però la fiducia accumulata nelle prime giornate, l’ottimo inserimento di alcuni nuovi interpreti (che mancavano nettamente alla lacunosa rosa casciavìt), e il gioco mostrato dai rossoneri per larghe fasi di questo inizio stagione lasciano sperare in un’annata confortante, potenzialmente in crescendo e tutta da scrivere.

La solidità dell’Inter d’altro canto è impressionante: Inzaghi finalmente sembra padrone di un gruppo che ha fatto pace con i suoi demoni e, lo confessiamo, ci stupiremmo se peccasse ancora di quell’ingenuità che ha compromesso gli ultimi due campionati interisti. La barra sembra ben salda, la rotta tracciata, l’entusiasmo nuovo. Ora ci saranno le intemperie nella tempesta europea e, solo fuori dalla tormenta, sapremo se l’Inter è veramente guarita. In tal caso, vedremo se riuscirà ad aggredire quell’ossessione che da un paio di anni, come un fantasma, si aggira più o meno silenziosamente alla Pinetina: la seconda stella.


Foto copertina via FC Inter


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