Accanto al comodino di Roberto De Zerbi giace L’idiota di Dostoevskij, aperto sulla pagina e la citazione che ne sono il manifesto: «La bellezza salverà il mondo». A pronunciarla è il principe Myškin. Probabilmente però De Zerbi, come gran parte delle persone che ha letto il romanzo, ne ha frainteso l’autentico significato. La bellezza di cui parla Myškin non è quella relativa all’estetica, ma all’etica (del cristianesimo).
Dietro questo aneddoto, tanto evocativo quanto inventato, si può spostare l’attenzione del lettore sul gioco del Sassuolo. A proposito del fraseggio corto e del possesso palla della squadra di De Zerbi sono stati spesi fiumi d’inchiostro, ma una critica generale alle idee tecnico-tattiche dell’allenatore bresciano manca ancora. La nostra, netta e pretenziosa quanto si vuole, non si cura degli orpelli e della “ricerca” dezerbiani, preferendo anzi constatare, semplicemente, che il gioco del Sassuolo è uno dei più noiosi d’Italia.
Qui non ci interessa entrare nella dibattuta – e fuorviante – discussione tra giochisti e risultatisti, perché il problema risiede altrove.
La quaestio si può riassumere nel gol di Leao (13a giornata) dopo pochi secondi di gioco. Nessun calciatore del Sassuolo va a contrasto con Çalhanoğlu, che accelera indisturbato nella trequarti neroverde e serve con discreta facilità l’attaccante rossonero, che controlla – anche qui senza alcuna pressione – e spiazza Consigli. Di qui in avanti l’inevitabile copione della partita: contro una difesa attenta e concentrata come quella rossonera, il Sassuolo mostra tutti i limiti del proprio gioco, perdendo infine la partita per 2-1.
Il piccolo genio – questo il nome che De Zerbi si porta dietro da quando era calciatore – non è stato in grado di cambiare piano alla partita, cosa che era già accaduta in altre circostanze (con Udinese, Roma, Inter e Fiorentina). Pur avendo uno dei possessi palla più alti del nostro campionato – o forse proprio in virtù di ciò – il Sassuolo non tira verso la porta quanto ci si potrebbe aspettare.
Certamente la prolungata assenza di Caputo ha avuto un ruolo in questo trend, ma da non sottovalutare è anche l’idea di gioco di De Zerbi, che gioca un calcio quasi opposto rispetto a quello di Atalanta, Lazio, Roma, Milan e Verona, per non citare che alcune squadre di vertice nella Serie A. A stupire, soprattutto, è il trattamento che De Zerbi, in assenza di alternative valide, ha riservato a Jeremy Boga.
L’ivoriano, l’anno scorso, è stato per il Sassuolo un giocatore determinante (e non solo a livello statistico). Le sue improvvise accelerazioni, i suoi dribbling letali (è il migliore in Serie A con 4.9 ogni 90’), le sue giocate imprevedibili spezzavano la ripetitività del gioco del Sassuolo, sempre uguale, lento, prevedibile, di una noia mortale.
Non a caso la partita più noiosa dell’anno è stata Sassuolo-Udinese 0-0, un pareggio che ci ha fatto strabuzzare gli occhi – abituati come siamo ad un calcio sempre più scriteriato e spettacolarizzato –, ma anche riflettere. L’Udinese di Gotti, infatti, squadra che abbiamo elogiato in passato, ha costretto il Sassuolo a cercare soluzioni alternative al solito possesso palla, ma i neroverdi non sono mai stati in grado di rispondere.
Detto altrimenti: chiusa la difesa avversaria, il Sassuolo non solo non sembra avere soluzioni alternative, ma non ha intenzione di cercarle (si è trattato della terza partita di fila, dopo le due sconfitte nello scorso campionato, per 3-0 all’andata e per 1-0 al ritorno, in cui il Sassuolo non ha trovato il gol contro l’Udinese). Qui si possono intravedere i limiti di un approcciodogmatico qual è quello di De Zerbi, decantato però senza soluzione di continuità.
Il piccolo genio ha preso il patentino Uefa B nel 2012, appena otto anni fa, e ha già allenato Darfo Boario (retrocedendo in Eccellenza), Foggia (proponendo un calcio offensivo e vincendo la Coppa Italia Lega Pro, ma fermandosi in finale contro il Pisa di Gattuso in Serie C), Palermo per poco più di un mese e Benevento, retrocedendo in Serie B (stagione 2017/2018). La sua avventura al Sassuolo, iniziata con una vittoria di tutto prestigio contro l’Inter, è proseguita con un 11° e un 8° posto in due anni. Un miglioramento costante, per la sua carriera e la sua squadra, da cui ora ci si aspetta un ulteriore salto.
I risultati, senza dubbio discreti, non devono essere sopravvalutati. Il Sassuolo infatti ha una rosa di tutto rispetto, con una panchina di qualità: da Raspadori a Traorè, da Muldur a Kyriakopoulos, da Marlon (se consideriamo Chiriches titolare) ad Haraslin. Giocatori come Locatelli, Lopez, Berardi, Boga, Djuricic (tutti titolari), non possono essere considerati (più) semplici talenti, ma calciatori affermati e con un mercato internazionale. Per alcuni, come Berardi e Locatelli, il lavoro di De Zerbi è stato un toccasana, per altri, come Lopez e Boga, l’opposto.
In una recente intervista rilasciata a Paolo Condò per Repubblica, De Zerbi ha affermato che «ora [Boga] gioca con la squadra, se ne sono accorti tutti». Certo che ce ne siamo accorti. Basta guardarlo in volto, il povero Boga, giocatore unico nel nostro campionato, entrare in campo triste e demotivato, costretto a seguire i dettami tattici di un allenatore che, da dieci mancato, traduce la propria esperienza sui calciatori che allena:
«Ero un 10 nel periodo del 4-4-2 imperante. Questo si è riflettuto anche sul mio modo di allenare: mi faccio in quattro per assecondare le richieste dei miei calciatori. Ma siccome metto tutti a loro agio, poi sono tre volte più esigente rispetto a chi non lo ha mai fatto per me. Sono un martello».
Una cosa è certa: di questo passo Boga andrà via dal Sassuolo, e di corsa. Discorso simile si potrebbe fare per Lopez. Le rotazioni su rimessa del portiere, l’uso del terzo uomo, il pressing offensivo: ecco le parole chiave del gioco di De Zerbi. Parole noiose per un gioco altrettanto noioso.
“Dietro alle azioni migliori della squadra di De Zerbi, anche quelle che non si concludono con una occasione, c’è uno sforzo intellettuale incredibile, una lettura del gioco simile a quella degli scacchisti, per cui anche i passaggi all’apparenza banali fanno parte di un piano più grande che si rivela solo nelle mosse successive”, scrive Federico Aquè de L’Ultimo Uomo.
Siamo d’accordo con lui; vedere giocare il Sassuolo è proprio come vedere una partita di scacchi, forse anche peggio visto che le pedine in quest’ultimo caso sono costrette a mosse matematicamente e logicamente previste dal giocatore, mentre la chiave del calcio è proprio la sua imprevedibilità.
Se il Sassuolo continuerà a fare punti, sarà per due fattori principalmente: o i) a causa del pubblico, assente da un po’ e chissà ancora per quanto, o ii) a causa degli avversari, che provando ad offendere si esporranno alle triangolazioni precise, tecnicamente infallibili e, appunto, martellanti, del Sassuolo di De Zerbi. Un martello, davvero. Soprattutto per i nostri occhi.