La stagione 2017 entrerà di diritto, nel bene e nel male, negli annali di ciclismo.
Con la vittoria di Matteo Trentin (Quick-Step Floors) alla Parigi-Tours di oggi (e due corse minori in Turchia e Cina) si chiude una delle stagioni ciclistiche più combattute degli ultimi anni, con episodi che entreranno nella Storia del ciclismo moderno.
Un’annata intensa, fin da subito segnata dalla seconda vittoria alla Strade Bianche del Campione del Mondo 2014 Michal Kwiatkovski (Team Sky), seguita a stretto giro dal successo di Sergio Henao (sempre Team Sky) alla Parigi-Nizza, con soli due secondi di vantaggio su Alberto Contador – uno dei veri protagonisti dell’anno – che aveva tentato il tutto e per tutto nell’ultima tappa, diventando maglia gialla virtuale più di qualche volta. Marzo è anche il mese della Tirreno-Adriatico, che ha visto vittorioso in maglia blu Nairo Quintana (Movistar): il successo del colombiano preconizzava una stagione migliore di quella che poi il corridore di Còmbita raccoglierà. Una forma non costante (e la mancanza di squadra sempre all’altezza) non gli ha permesso di farsi trovare pronto se non in momenti sporadici, come nella tappa del Blockhaus al Giro d’Italia, vinta surclassando gli avversari ma rivelandosi poi un fuoco di paglia. Invece, si è assistito all’ennesimo duello Sagan-Kwiatkowski alla Milano-Sanremo, spuntato dal polacco in volata sull’altro protagonista indiscusso, l’eroe di Slovacchia che avrà modo di farsi ricordare più volte da quel momento, arrivando poi terzo a una Gand-Wevelgem vinta con spessore da Greg Van Avermaet (BMC), già secondo alla Strade Bianche.
Philippe Gilbert (Quick-Step Floors) ha messo il suo ennesimo sigillo su una classica del nord aggiudicandosi il Giro delle Fiandre con una fuga da 50km, mentre Van Avermaet ha potuto ripetersi sul primo gradino del podio all’arrivo dell’ultima delle classiche del pavé, a Rubaix, traguardo dove l’italiano Gianni Moscon (Sky) giungerà quinto nella volata dietro il belga.
Alla prima delle Ardenne, l’Amstel Gold Race, è invece ancora Gilbert a imporsi su Kwiatkovski, mentre della Fléche ne è divenuto roi Alejandro Valverde, segnando il record di vittorie della competizione con cinque successi totali. Tuttavia il muro di Huy non è l’unica côte che El Imbatido supera da campione, poiché sarà il primo anche al traguardo di Liegi, portando qui a quattro i suoi successi.
L’edizione 2017 della Liegi-Bastogne-Liegi, tenutasi il 23 aprile, è la prima corsa dell’anno a corrersi dopo l’evento che ha sconvolto non solo il ciclismo, ma lo sport intero. Il 22 aprile, in un’uscita di allenamentoMichele Scarponi(Astana) perde la vita dopo essere stato investito da un furgone, lungo le strade della sua città, Filottrano. L’Aquila, questo il suo soprannome, si spegne all’improvviso, nel modo peggiore. Il gruppo intero si stringe attorno alla sua famiglia, perché non ha solo perso un campione ma un’anima viva, un sorriso e un’esperienza che manca fin da subito.
IlGiro d’Italia, lungo il cui percorso era sempre presente una scritta o uno striscione in ricordo di Scarponi, è vinto da Tom Dumoulin (Sunweb), in gran forma da inizio stagione (5° alla Strade Bianche, 6° alla Tirreno-Adriatico) su Quintana, secondo, e Nibali (Bahrain Merida), terzo. Nonostante il poco distacco tra i primi, il Giro non ha mai avuto un suo padrone, ed è rimasto combattuto fino alla fine. È da segnalare la prestazione del Fernando Gaviria, velocista colombiano di ventidue anni che ha conquistato quattro vittorie di tappa e ha portato la maglia ciclamino della classifica a punti fino a Milano, e con lui la sua squadra Quick Step Floors, che ha fatto incetta di successi tra tappe e giorni in maglia con Bob Jungels. Chicca della corsa rosa il ritorno alla vittoria di Pierre Rolland (Cannondale Drapac) dopo due anni di digiuno, mentre è già negli annali la “pausa fisiologica” della maglia rosa Dumoulin occorsagli nella sedicesima tappa, la Rovetta-Bormio vinta dallo Squalo di Messina chiudendo in volata su Landa (Sky).
La seconda metà di stagione è invece all’insegna di Chris Froome (Sky): è lui a imporsi su tutti. Anche grazie a una squadra dalla forza inesorabile, ha annullato ogni tentativo dei suoi avversari: il Tour de France consiste in tre settimane (spesso noiose da un lato per lo stile di corsa del britannico e del suo Team Sky, dall’altro per il disegno del percorso, fatto su misura per il francese Bardet, AJ2R, poi terzo a Parigi dietro a Rigoberto Uràn della Cannondale) in cui gli sprazzi di vita ciclistica non hanno mai impensierito la maglia gialla. Maillot jaune che è stata anche sulle spalle di Fabio Aru, dopo la vittoria di tappa alla Planche des Belles Filles, ma è poi tornata saldamente sulle spalle del suo padrone, al quarto Tour in carriera. Il sardo riuscirà comunque ad arrivare quinto, nonostante una bronchite contratta durante la gara. A latere della corsa per il titolo, l’agone velocistico che vedeva contrapporsi una fitta schiera di esperti della volata è stato segnato dalla squalifica di Peter Sagan alla quarta tappa. Nell’ultimo chilometro avrebbe causato due cadute: se quella di Cavendish è quantomeno dubbia, certa la responsabilità è per quella precedente di due corridori, tra cui gallese Geraint Thomas, nell’ultimo chilometro.
La scorpacciata froomiana non si ferma a Parigi ma continua a Madrid, dove si è imposto nella Vuelta a Espana, stavolta con un podio più italiano: Vincenzo Nibali secondo, terzo Ilnur Zakarin. Se la doppietta di Froome è certamente un risultato incredibile, altrettanto nella Storia è il ritiro dal ciclismo pedalato di Alberto Contador. A differenza di come accade in altri sport, il campione di Pinto ha annunciato che si sarebbe ritirato poco prima dell’ultima Vuelta, e all’annuncio ha fatto seguito una delle migliori e più spettacolari prestazioni del pistolero. Tutta la sua annata in realtà è stata costellata di risultati di riguardo, arrivando più volte – quattro, tra Andalusia, Parigi-Nizza, Catalogna e Paesi Baschi – secondo, ma l’unica vittoria, sull’Alto de l’Angliru, ha un sapore speciale. La tappa più dura, vinta in solitaria staccando tutti sulla montagna più dura della corsa, lascerà un segno indelebile nel cuore degli di questo sport: qualcuno disse che quando si vede(va) Contador era possibile vedere la Poesia.
Lasciate le grandi corse a tappe, è il momento dei Campionati del Mondo a Bergen, Norvegia. Certamente significative sono le prestazioni del ciclismo giovanile italiano, maschile con Puppio, Rastelli e Gazzoli, ma soprattutto femminile con i risultati di Pirrone (oro junior a crono e individuale), Vigilia (bronzo a crono), e Paternoster (bronzo individuale). Se tra le élite donne ha spadroneggiato l’Olanda di Van Vleuten, tra gli uomini la Nazionale Azzurra ha schierato una squadra capace di gestire ogni frazione di gara, anche se forse un leggero attendismo ha fatto perdere il momento giusto. A pochi chilometri dall’arrivo, davanti a tutti c’erano solo il nostro Moscon e il francese Alaphilippe, entrambi molto in forma tutto l’anno. Quest’ultimo sprovvedutamente decide di attaccare in un breve tratto di pavé in salita staccando Moscon, rompendo così un’alleanza che avrebbe fatto di certo arrivare i due al traguardo per potersi giocare lì la maglia iridata. Poi accade l’impensabile: un blackout tecnico oscura le telecamere, e nessuno sa cosa accada negli ultimi tre chilometri. Il pubblico intero è appeso alle telecamere fisse da cui a fatica si vede il triangolo rosso, e si aspetta di vedere i colori del francese o dell’italiano. Invece sono tutti i colori del mondo ad apparire, il gruppo è compatto e nella volata finale un uomo solo è il più forte di tutti. Un uomo solo è in grado di vincere per tre volte consecutive su tre percorsi completamente diversi la maglia dell’iride: è Peter Sagan, lo slovacco istrionico inafferrabile irragiungibile Campione del Mondo in carica, davanti a Kristoff (Norvegia) e Mattews (Australia). Quarto arriva Matteo Trentin, che proprio oggi chiude una stagione incredibile, con 7 successi di cui 4 tappe alla Vuelta.
“Mi sono rotto le pa**e per 270 chilometri per vincere questa maglia a righette” dirà all’arrivo, dopo aver dedicato la vittoria (la 101esima in carriera) a Michele Scarponi in mondovisione.
Ultimo grande evento dell’anno è stato sabato 7 ottobre il Lombardia, con la doppietta di Vincenzo Nibali. Lo Squalo attacca Pinot sull’ultima salita e allunga in discesa: nel suo stile perfetto disegna traiettorie impossibili per gli altri, tanto da avere il tempo di spronare il pubblico sul rettilineo finale. Nibali è senza dubbio un campione dallo stile inconfondibile, e questa parola va ripetuta perché nel ciclismo moderno pare latitare la capacità – che gli atleti come lui hanno – di rendere viva una gara dal nulla. Attaccare senza remore, vincere o saltare, è quello che chiedono le grida delle ali di folla lungo i percorsi. Un movimento che ha il potere di portare sulle strade così tante persone ha una sua responsabilità, quella di dare ai tifosi quegli eroi della fatica che invece uno sport fatto spettacolo a fatica riesce a generare. Artisti della bicicletta come Sagan e Nibali hanno nell’anima questa dote, che è prettamente la dote del Genio: inventare il momento, correre per lo spunto. Con una stagione così si prospetta un 2018 altrettanto entusiasmante, forse con un Froome al Giro d’Italia. È duplice il momento: degli arrivederci e degli addii: infatti, si sono ritirati tra gli altri anche Tiralongo e Quinziato, membri finora fondamentali del gruppo. Il commiato è ormai d’obbligo e, come diceva uno striscione dedicato al pistolero, gracias por tantas tardes de gloria!
Di fronte a un'ingiustizia che sa di sconfitta, Nibali ci insegna a perseverare nella pazienza. Invece della burrasca, il mare calmo, prima che il sole sorga.
L'Androni-Sidermec è un team Professional italiano che anche quest'anno si è fatto notare per le ottime prestazioni in ogni gara, tra cui il Giro101. In ammiraglia c'è Alessandro Spezialetti: dopo una carriera da gregario, mette a disposizione della squadra tutta la sua esperienza.
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