Le curva, lo sappiamo, non è solo il luogo di aggregazione per eccellenza ma anche un formidabile specchio della società. Così le turbolenze sociali, politiche ed economiche che la Jugoslavia stava attraversando a cavallo tra la fine degli anni ’80 e la fine degli ’90 sono perfettamente racchiuse in un documentario del 1991 girato dal giornalista Milan Mihajlovic. Il titolo, “Umesto Top Liste” (Al posto degli Highlights), chiarisce sin da subito l’intento del film, il cui proposito va ben oltre una semplice analisi di campo. Il cortometraggio in questione, girato dall’ormai scomparsa televisione jugoslava, è praticamente introvabile in lingua originale, ma va ai ragazzi di Offside community il merito di averlo presentato con i sottotitoli nella nostra lingua al loro ultimo festival.
Inizialmente il film può sembrare simile a qualsiasi altro servizio di “tv verità”, uno di quelli che miravano a ricostruire la situazione delle curve e del tifo, in Italia o in altri Paesi europei, verso la fine degli anni ’80. Probabilmente lo stesso Mihajlovic sviluppa il progetto in questa ottica, in chiave soprattutto critica, ma a distanza di trent’anni dalle guerre jugoslave ci fornisce una testimonianza diretta di ciò che erano i Balcani prima della disgregazione. Intervistare, coinvolgere e filmare i maggiori gruppi ultras dell’epoca, cioè Delije, Grobari, Bad Blue Boys e TorcidaSplit, significava, in quel momento, raffigurare la situazione politica del Paese.
Nella scena iniziale è subito presente il grande classico, la partita del Maksimir del 13 maggio 1990, considerata da molti come lo scoppio (o per meglio dire la miccia) della guerra.
Ciò che emerge dai minuti restanti però smentisce queste supposizioni poiché quanto accaduto a Zagabria sarebbe potuto avvenire al Marakana, al Poljud o a Grbavica. Il 13 maggio altro non fu che una grande trappola, in cui caddero sia i Delije sia i BBB. Nell’intervista prepartita al capo di quest’ultimi, soprannominato “Manjiac”, i ragazzi della Dinamo affermano chiaramente che in caso di sconfitta sarebbero entrati nella Nord. Tuttavia, il lavoro di Umesto Top Liste inizia circa due mesi prima della partita tra Stella Rossa e Dinamo Zagabria e termina con la finale di coppa di Jugoslavia tra Zvezda e Hajduk del 19 maggio 1990. In questo lasso di tempo, le riprese evidenziano la presenza, nelle tifoserie protagoniste, dei mali endemici della società jugoslava e la ricorrenza dei concetti chiave della storia balcanica, spesso stigmatizzati frettolosamente dagli occidentali ma raramente compresi.
Pensiamo al concetto di nazione. Christopher Cviic sosteneva che il comunismo non fosse riuscito a prevalere sul nazionalismo per un motivo ben preciso: la categoria politica principale della regione è sempre stata la nazione, non la classe, sin dai movimenti di liberazione nazionale del XIX secolo. Allora non sorprende la risposta dei Bad Blue Boys nel momento in cui il giornalista chiede loro quanto il gruppo sia immischiato con la politica. Siamo in tempo di elezioni, e i croati non possono che sostenere Franjo Tudjman, colui che ha costruito la propria campagna elettorale sull’immagine della Croazia intesa come Antemurale Christianitatis: un Paese omogeneo e cattolico tanto da unire, sotto la stessa bandiera, la Torcida Split e i BBB contro il nemico serbo.
Quest’ultimo però, nutre gli stessi sentimenti di odio.
La macchina propagandistica di Milosevic ha fatto il suo dovere, ma stavolta a destare curiosità non è tanto l’odio che i ragazzi dei Deljie, all’incirca diciottenni, nutrono per l’Hajduk e per i croati. Quello che merita attenzione è, invece, la risposta alla domanda sul perché provino tale risentimento nei loro confronti: “perché è così”. Tutto questo è confermato dai cori intonati dalle quattro tifoserie, il cui bersaglio principale è talvolta la madre degli avversari, talvolta gli oppositori politici, sino ad arrivare alla cantante croata Tajci. I BBB cantano per Tudjman e per una Croazia indipendente, i Delije rispondono sostenendo Draza Mihajlovic, capo dei Cetnici sconfitto da Tito nella guerra civile.
Sugli spalti, nelle immagini di repertorio del match del Makismir, è addirittura presente un Cetnico con indosso una canotta raffigurante la bandiera sudista, il quale afferma di essere lì anche per lo spot nazionalista, per difendere Draza e Vuk Karadzic, filologo e fondatore della lingua letteraria serba. Tuttavia, nonostante l’identità nazionale sia già ben strutturata, lo stesso non si può dire della composizione etnica dei gruppi organizzati, ancora lontani dall’omogeneità. Al contrario, alla domanda “I Grobari si sentono serbi o Jugoslavi?”, il tifoso del Partizan risponde dicendo che di fianco a lui vi sono un croato e un musulmano. Una cosa simile, al giorno d’oggi, sarebbe impensabile nella curva dei bianconeri.
È interessante notare come, anche tra le tifoserie dell’est Europa, siano già in voga alcuni capi Casual che spopoleranno sugli spalti del continente nello stesso periodo. Si intravedono i primi Bucket Hat, le prime “white shoes” ai piedi e si notano anche abbigliamenti ispirati ai “Paninari”, più vicini agli anni appena trascorsi. Tutto questo ovviamente era commisurato alla condizione socio economica in cui il Paese versava. Oltre alla spinte centrifughe delle correnti etno-confessionali infatti, la dissoluzione della Jugoslavia è arrivata anche per via di unaforte crisi economica che ha travolto il paese nei primi anni ’80.
La situazione in cui vivevano i cittadini appare evidente dalle interviste ai tifosi croati della Torcida Split, il cui lavoro principale era tifare l’Hajduk e che, per mantenersi, rubavano nei supermercati a Spalato.
Sempre secondo le parole di uno di questi ragazzi, questo era l’identikit dell’80% dei componenti del loro gruppo, accompagnato al vizio dell’eroina nel tempo libero. Emblematico in tal senso il caso di Keun, uno dei croati intervistati, il quale si vanta di avere il record di trasferte lontano da Spalato, oltre 200, pagate proprio grazie ai continui furti nei centri commerciali e nei supermercati. Le immagini però trasmettono anche il senso di isolamento e abbandono provato dai giovani jugoslavi, che nei gruppi organizzati trovavano il motivo della loro esistenza. Keun, ad esempio, afferma che seguire ovunque l’Hajduk ha sicuramente contribuito a fargli lasciare la scuola ma, nonostante sia ormai giunto ai suoi 30 anni, non si pente di ciò che ha fatto.
Nel documentario c’è spazio anche per il nostro Paese. Innanzitutto si notano una sciarpa delll’Hellas Verona e una della Lazio durante una sciarpata della Torcida Split, probabilmente come “bottino” di qualche trasferta, ma senza un preciso motivo dato che gli incontri tra queste squadre sono stati rari e non vi era alcuna amicizia tra di esse. L’Italia, però, è coinvolta soprattutto perché le interviste sono realizzate a pochi mesi dall’inizio del mondiale del ’90. Sia ai croati, sia ai serbi, viene chiesto come si comporteranno durante la competizione e il loro soggiorno nel belpaese. La voce dei Grobari afferma che sicuramente ci saranno scontri con gli Ultras italiani e con gli Hooligans inglesi, ma anche tra Grobari e Zvezdasi da un lato e croati dall’altro.
Manjiac, il leader dei BBB, crede al contrario che tiferanno la Jugoslavia in maniera compatta e quando gli viene fatto notare che i serbi non la pensano così, sorride e sostiene che anche loro, a parole, la pensano diversamente.
Persino il già citato Cetnico tra le fila della Stella Rossa andrà al mondiale, dicendo però che non tiferà mai assieme ai Bad Blue Boys. Ognuno di essi quindi aderiva allo Jugoslavismo senza rinunciare a quell’esigenza di riservare alla propria nazione il ruolo di “Piemonte” jugoslavo, proprio come accadeva nel XIX secolo. La realtà che il film ci restituisce, perciò, presenta alcuni elementi inquietanti se si pensa a quanto accadrà di li a poco, ma nel complesso descrive una situazione molto simile a quella presente contemporaneamente nel resto d’Europa.
Scontri e sfottò erano all’ordine del giorno, non solo in Jugoslavia, tuttavia la complessa condizione politica ed economica che il Paese stava affrontando richiedeva l’individuazione di un capro espiatorio. I tifosi incolpavano chiaramente giornalismo e istituzioni. E quest’ultime, a loro volta, come potevano rispondere? Incolpando gli Ultras, i tifosi in generale, come se essi non fossero parte della società civile ed espressione dei problemi di cui le istituzioni stesse erano responsabili. L’atteggiamento dei leader politici muterà solo qualche anno più tardi, quando i loro piani di pulizia etnica necessiteranno di quelle persone plasmate dalla propaganda e lasciate alla deriva.