Le proteste contro il governo serbo stanno esplodendo nel tifo e nello sport nazionali.
Kada brod tone uvek prvi pale miševi, recita un vecchio detto serbo. Quando la nave affonda i topi sono sempre i primi a cadere. Il governo in Serbia, a guida SNS (Srpska Napredna Stranka, partito progressista serbo), è una nave alla deriva ormai da novembre, nel silenzio quasi generale dei media nostrani ed europei. Penne e voci hanno taciuto, e talvolta tacciono ancora, per due ragioni: mancanza di interessi e puro disinteresse. Partiamo dalla seconda. Il catalizzatore delle proteste studentesche, che attualmente bloccano il paese, è la morte di 15 persone innocenti causata dal crollo di una pensilina in ristrutturazione alla stazione ferroviaria di Novi Sad, avvenuta lo scorso 1° novembre.
Quando nei giorni successivi gli studenti della Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado scendono in piazza per chiedere giustizia, vengono aggrediti da persone, non del tutto identificate, vicine al governo. Scatta l’immediata reazione dei ragazzi, che occupano la facoltà e ottengono il sostegno dei loro colleghi e della società civile. La loro richiesta iniziale è rendere pubblica la documentazione riguardante i lavori di ristrutturazione della stazione, affinché vengano individuati i responsabili della tragedia. Si spiega così il disinteresse di chi dovrebbe fare informazione, verso una protesta che può essere facilmente derubricata a mera questione di politica interna.
Puro disinteresse che si fonde con una mancanza di interessi nel coprire giornalisticamente la vicenda nel momento in cui si allarga col passare dei mesi; d’altronde in Serbia, con buona pace di chi proverà a strumentalizzarla, non sta andando in scena una “rivoluzione colorata”. Le posizioni politiche di chi è sceso in piazza al fianco degli studenti spaziano dal pacifismo al nazionalismo, non c’è alcuna bandiera dell’Unione Europea, tutti chiedono maggiore trasparenza dietro la bandiera nazionale, senza abiurare i valori della tradizione cristiano-ortodossa.
Ma abbandoniamo questa (in)necessaria digressione di natura politica, tornando a temi che si confanno a una rivista sportiva e culturale. Ammesso che in Serbia sia possibile scindere la dimensione sportiva da quella politica, almeno fino a quando ci saranno campetti da basket improvvisati in mezzo alla strada per giocare 2 contro 2, durante le proteste più massicce mai registrate dal 1996 ad oggi.
E allora ecco che molti, in giro per il mondo, si accorgono di quanto sta accadendo solo quando le telecamere dell’Eurolega, durante il derbi di Belgrado andato in scena lo scorso venerdì 31 gennaio, inquadrano Novak Djokovic che indossa la felpa con la scritta “Students are Champions”.
Presa di posizione che è sintomo di un qualcosa che sta cambiando, considerando la sua fede; Nole è tifoso della Stella Rossa. Se lo slogan delle manifestazioni studentesche recita Beograd je opet svet (Belgrado è di nuovo il mondo), all’interno di quel mondo ci sono altri due universi.
Jedno brdo dva univerzuma, per citare un altro detto; ovvero Una collina, una delle tante su cui è sorta la città bianca, e due universi, Partizan e Crvena Zvezda. Il derbi è eterno per una ragione, la rivalità di certo non esula da questioni politiche, anzi semmai le amplifica e le nutre. Due venerdì fa, durante la stracittadina, nella Južna Tribina (Curva Sud) dell’arena . . .
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