I casi Atal e Weissman ne sono la plastica dimostrazione.
Il 3 gennaio 2024 Youcef Atal, calciatore di nazionalità algerina dell’OGC Nizza, è stato condannato a otto mesi di carcere (con sospensione della pena) per incitamento all’odio religioso. Nel tumulto delle polemiche seguite agli attacchi del 7 ottobre, infatti, il giocatore si era schierato sui suoi canali social inequivocabilmente dalla parte palestinese: intanto con un post emblematico, nel quale si mostrava con la bandiera palestinese e la frase “Palestina libera”; parallelamente, nelle storie di Instagram, condividendo un video del predicatore islamico Mahmoud Al Hasanat, il quale si augurava che Dio riservasse “una giornata nera” per Israele.
Malgrado le pubbliche scusa del calciatore la reazione del Nizza è stata drastica, con la sospensione “fino a nuovo ordine”. Così Atal, nel giro di pochi giorni, si è ritrovato accerchiato: prima dalla commissione disciplinare del campionato francese, che ha deciso di sospenderlo per sette giornate con decorrenza dal 31 ottobre. Poi dalla Procura di Nizza, che ha avviato un’indagine per “apologia di terrorismo” e “incitamento all’odio religioso”, mutata successivamente in “provocazione all’odio religioso”. L’unica a non averlo perseguito è stata la nazionale algerina, la quale non si è espressa sul tema e lo ha convocato per l’imminente Coppa d’Africa.
Nel frattempo però c’è un altra storia, parallela, che ha avuto meno visibilità internazionale. Stiamo parlando del calciatore israeliano del Granada Shon Weissman, che è balzato agli onori delle cronache dopo il duro comunicato de La Hinchada del Arlanzón, gruppo ultrasdel Burgos CF, club di seconda divisione spagnola e nel quale si vociferava che lo stesso Weissman si potesse trasferire. Un’indignazione riconducibile ad alcuni tweet, like e retweet da parte del calciatore poche ore dopo l’attacco di Hamas.
“Distruggere. Stringere. Schiacciare. Alla vendetta di Dio”, “Qual è la ragione logica per cui 200 tonnellate di bombe non sono già state lanciate su Gaza?”.
E ancora “Perché Ezael non gli spara in testa?!?”, a corredo di un’immagine in cui si vede un soldato israeliano puntare il fucile verso due presunti terroristi palestinesi nudi. Questo ha scritto e condiviso Weissman, oltre i mi piace messi a tweet a dir poco inquietanti come “Tutta Gaza sostiene il terrorismo. Tutta Gaza è morta”. Il tutto è poi stato prontamente cancellato – dopo aver fatto il giro del web – con il calciatore che ha tenuto a precisare che tali messaggi non fossero opera sua ma del suo social media manager. Il più classico degli scarica barile.
Weissman, dopo la denuncia di alcuni cittadini palestinesi residenti a Granada, è finito sotto indagine, seppure al momento non si hanno novità. E però non è stato mai sospeso dal club, non venendo convocato per la gara successiva contro l’Osasuna ma solo per motivi di sicurezza. Come riportato dall’ANSA e precisato da fonti del club andaluso, infatti, la decisione di lasciarlo a casa è stata presa su consiglio delle autorità spagnole: non un’idea così peregrina, considerato che nei primi minuti del match sono comparse sugli spalti bandiere palestinesi, mentre i tifosi di casa hanno intonato pesanti cori nei confronti dello stesso Weissmann.
Il comunicato dei tifosi del Burgos CF
Due metri di giudizio insomma, quelli seguiti da club e federazioni, profondamente differenti. Se infatti da una parte la federazione francese ha squalificato Atal per 7 giornate e il suo club lo ha sospeso, e ciò per aver condiviso il video di un predicatore che auspicava l’intervento di Dio affinché causasse un giorno nero ad Israele in seguito all’invasione di Gaza, dall’altra la federazione spagnola e il Granada non hanno mosso un dito (se non per prevenzione, come nel match contro l’Osasuna) per un calciatore che si è augurato la cancellazione di Gaza.
Anzi, addirittura sono comparsi articoli che denunciavano l’antisemitismo crescente in Spagna per il comunicato degli ultras del Burgos e per i cori di quelli dell’Osasuna, come se questi non fossero la conseguenza di un calciatore che ha espresso e condiviso dei concetti scioccanti, facendo di tutta la popolazione di Gaza un fascio di terroristi e augurandosi che questa venisse trattata come tale, devastata e bombardata.
Due pesi, due misure. È vero che si tratta di due federazioni differenti, con i club che possono decidere liberamente come muoversi nel punire i propri tesserati, ma la gravità delle azioni compiute da entrambi è la stessa. Una delle tante rappresentazioni, questa volta a sfondo calcistico, di come il doppiopesismo dell’Occidente stia toccando nuove vette, e di quanto la fosca previsione di Martin Luther King si stia, piano piano, trasformando in amara realtà: «Se non state attenti, i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori». E le istituzioni (calcistiche), anche.