Un miracolo del numero 20 regala all'Italia di Spalletti una seconda chance.
Persino Ciccio Graziani, grande giocatore ma confuso allenatore ai tempi del Cervia, aveva mosso dei dubbi rispetto alla formazione scelta da Luciano Spalletti in vista del terzo match della Nazionale ai gironi di Euro 2024 contro la Croazia. Questo, ripetiamolo, prima della partita. Prima quindi che anche nei fatti si rivedesse l’Italia brutta, confusa e confusionaria vista contro la Spagna (e in parte contro l’Albania). Gli azzurri, diciamocelo chiaramente, non si capisce bene che pelle abbiano, e il nervosismo mostrato dal nostro c.t. nel post-partita ne è testimonianza.
Intendiamoci: ci vogliono spalle larghe e nervi d’acciaio per sedere sulla panchina di una Nazionale, soprattutti di un Paese con tradizione calcistica e composto di “60 milioni di allenatori” quale è l’Italia; gestirla è questione di carattere, equilibrio, psicologia, convinzione, paradossalmente il calcio passa quasi in secondo piano. Spalletti è un grande allenatore e lo ha sempre dimostrato: è per questo che ci viene naturale chiedere di più dalla sua squadra.
Ieri sera è servito quello che Fabio Caressa, a rischio asfissia, ha definito «il miracolo di Zaccagni». Un gol straordinario, con buona pace di Mazzocchi («dopo l’assist di Calafiori, doveva solo spingerla dentro») e di chi, Spalletti compreso, non ha ancora capito come a questa Nazionale serva in maniera disperata chi punti l’uomo, chi provi a tirare, chi in una parola azzardi la giocata individuale. La Nazionale è questa roba qua, guai a dimenticarlo: non è un foglio bianco sul quale costruire il proprio calcio a tinte azzurre, ma una Storia secolare fatta di sofferenza, dedizione, propensione al sacrificio, difesa della porta – menomale che Gigio c’è – e poi contropiede, estro del singolo, lampo di genio.
«Però ci sono i Sapientoni e gli Acrobati che attribuiscono a Spalletti – il quale non ne ha bisogno – virtù taumaturgiche purtroppo intercettate dal Demonio. Dicono che egli abbia un Gioco Speciale per questa Nazionale e che non lo tradirà neppure in caso di altre diavolerie spagnole perché – se ben capisco – trattasi della Verità Rivelata. (…) Dico a Spalletti di stare attento ai laudatores d’attualità che en cas de malheur lo abbandonerebbero al suo destino. Fermo restando ch’è meglio esser soli che male accompagnati».
Italo Cucci, Corriere dello Sport
Sposiamo il Cucci-pensiero e ci aggiungiamo quanto ha scritto Stefano Agresti sulla Gazzetta: «possono bastare poche idee ma chiare e concrete, perché il tempo per lavorare su certi concetti è ridottissimo e ogni partita è decisiva. Anche un maestro come Sacchi alla guida della Nazionale si è dovuto confrontare con queste difficoltà, trent’anni fa». Aggiungendo poi, e arriviamo al secondo aspetto davvero preoccupante di questa Nazionale, che «è anche giusto sottolineare i limiti dei nostri calciatori. Non abbiamo un grande centravanti, non abbiamo un grande fantasista».
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Premesso che questa tesi non giustifica, anzi implica, l’utilizzo di giocatori di strappo come Frattesi (non Pellegrini), Zaccagni appunto (non Raspadori, né Dimarco), Chiesa (bisogna davvero specificarlo?), rimane il triste dato di fondo: questa Nazionale non ha talento e ha pochissima personalità. È una Nazionale di gestione, del tocco a due metri di Jorginho, lento da far spavento, soprattutto se non ha una squadra a girargli attorno (e a sua volta da far girare), e di timore, che attacca l’area di rigore (Calafiori) solo quando la situazione si è fatta tanto nera da non distinguere più il coraggio dalla paura.
Ecco perché il nostro c.t., Lucianone da Certaldo, deve tirare fuori il carattere. Non quindi condurre la sua battaglia santa (un pericolo prospettato da Massimiliano Gallo giorni fa), ma neanche farsi trascinare dall’umore dei propri giocatori – se, come sembra, è vera (per quanto implicita) l’ammissione che il 3-5-2 sia nato dalla volontà del gruppo squadra. Per non parlare delle scelte dei singoli a cui abbiamo accennato, quando persino Di Lorenzo è arrivato a dire che se non fosse per il rapporto con Spalletti, l’allenatore dello Scudetto con Di Lorenzo capitano un anno fa, lui in questo momento non giocherebbe.
Insomma, in vista degli ottavi di finale – per fortuna contro la Svizzera, ma occhio a ritenerci superiori agli elvetici: non lo siamo –, rimane l’ottimismo di aver ripreso una partita persa con un gol miracoloso che, in pieno stile italiano, può regalarci un proseguo di Europeo che vale la pena di essere vissuto. Magari all’italiana, con buona pace delle rivoluzioni esterofile e delle crociate politico-ideologiche attraverso il pallone.