Papelitos
26 Marzo 2024

In un Paese civile, Acerbi è sempre assolto

Anche se non siamo d'accordo, anche se lo detestiamo.

La realtà non è Twitter, Facebook e nemmeno Instagram. E i processi, grazie al cielo, non si fanno sui social network, bensì nelle aule dei tribunali. Non si basano peraltro sull’emotività, sulle opinioni e sugli opinionismi, sulle morali e sui moralismi, bensì sulle prove: sui gravi indizi di colpevolezza, non sulle presunzioni di colpevolezza. Che Acerbi sia stato assolto, allora, è una notizia necessaria per uno Stato civile, democratico, fondato ancora sul diritto e non sugli umori popolari – e populisti.

Questo non significa che Acerbi sia innocente, come una legione di ignoranti (nel senso etimologico del termine) sta cercando di far credere, ma non vuol dire neppure che abbiamo fatto un passo indietro nella lotta contro il razzismo, dato un pessimo segnale al Paese e al mondo, condonato e sdoganato una discriminazione, come un’ancor più corposa legione di ancor più ignoranti (per di più ignoranti moralisti) ha iniziato a strillare in giro per tutte le piattaforme sociali.

Il giudice sportivo non è Dio, non decreta ciò che è successo o ciò che non è successo. È però il garante dei regolamenti e del codice di giustizia sportiva, e a questo si deve attenere. In tal senso, il comunicato è insindacabile e inoppugnabile: «La condotta discriminatoria, per la sua intrinseca gravità e intollerabilità […] deve essere sanzionata con la massima severità […] ma occorre nondimeno, e a fortiori, che l’irrogazione di sanzioni così gravose sia corrispondentemente assistita da un benché minimo corredo probatorio o quantomeno da indizi gravi, precisi e concordanti in modo da raggiungere al riguardo una ragionevole certezza».



E ancora: «Rilevato che nella fattispecie la sequenza degli avvenimenti e il contesto dei comportamenti è teoricamente compatibile anche con una diversa ricostruzione dei fatti, essendo raggiunta sicuramente la prova dell’offesa ma rimanendo il contenuto gravemente discriminatorio confinato alle parole del soggetto offeso, senza alcun ulteriore supporto probatorio e indiziario esterno, diretto e indiretto, anche di tipo testimoniale» e «Ritenuto pertanto che non si raggiunge nella fattispecie il livello minimo di ragionevole certezza circa il contenuto sicuramente discriminatorio dell’offesa recata»,  

P.Q.M. (per questi motivi, ndr), [decide] di non applicare le sanzioni previste dall’art. 28 CGS nei confronti del calciatore Francesco Acerbi (Soc. Internazionale).

Insomma, il giudice sportivo “vista la documentazione pervenuta dalla Procura Federale” (i verbali, il video dello scontro di gioco, le registrazione dei colloqui Arbitro/Sala VAR), “sentito il Direttore di gara sullo svolgersi dei fatti in campo”, esaminate tutte le possibili prove (a partire dai testimoni, che non ci sono perché nessuno a parte Juan Jesus ha sentito le eventuali offese razziali), si è reso conto che non c’era alcuna evidenza di colpevolezza e non ha potuto far altro che assolvere il difensore dell’Inter. L’unica scelta possibile in un Paese civile, che ci/vi piaccia o meno, in quanto si trattava della parola di Juan Jesus contro quella di Acerbi.

Ciò non significa, a costo di essere ripetitivi, che Acerbi non abbia commesso il fatto, anzi: a parere di chi scrive, la ricostruzione secondo cui avrebbe detto all’avversario ‘ti faccio nero’ è tanto improbabile quanto ridicola. Ma questa è una mia opinione, un mio sospetto, e per lo sviluppo dell’indagine non vale un bel niente, proprio come la vostra. Se Acerbi fosse stato condannato senza prove ciò avrebbe segnato, a livello tecnico, un precedente pericolosissimo, potenzialmente esiziale. Quello per cui un domani sarebbe bastata la parola di uno a rovinare la carriera ad un altro.

Perciò sicuramente per giorni si andrà avanti con il solito stucchevole e insopportabile populismo, per giunta contro i corrotti palazzi del potere, e sul disco rotto (e stonato, soprattutto) dell’arretratezza italiana sul tema etc. etc.. Ma la verità è che, per quanto siamo ormai scivolati nell’ignoranza dei più basilari diritti costituzionali e dinamiche giudiziarie, nella dittatura dell’emotività, nel principio della morale superiore a quello della legge, l’assoluzione di Acerbi, in un contesto del genere, era l’unica conclusione possibile di questa vicenda.

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