Arteta ha riportato i Gunners in testa alla Premier League.
Nell’immaginario collettivo l’Arsenal sta al calcio come Garamond ai font o i film di Tarantino al cinema: non una fra le tante possibilità di espressione, ma una sua inconfondibile cifra stilistica. Dal logo dei cannoni – connesso ai cannonieri, Gunners appunto – al suo (vecchio) stadio, Highbury; dalla sua storia sul campo – con gli Invincibili a dominare il Pantheon della Premier League – a quella fuori dal campo – ne parlavamo qui insieme ai ragazzi di Poison Lasagna.
L’Arsenal non è una semplice squadra di calcio: è un’idea estetica.
Eppure, come è noto e giusto se parliamo di football, l’estetica è nulla senza l’etica; negli ultimi anni l’Arsenal aveva smarrito la propria essenza, perdendo tanto questa (l’etica del gioco, quindi dei risultati) quanto quella (l’estetica ormai legata al passato, non più in grado di porsi come avanguardia).
L’Arsenal è scivolato nell’oblio, è dovuto scendere negli inferi paludosi e pericolosi della medio-bassa Premier League. È stata tagliata fuori dall’Europa, capace di reintegrarla nel grande discorso calcistico solo tramite meme e pranks d’ogni sorta (l’apice è la pagina Twitter Out of context Arsenal). Il punto più basso è stato senza dubbio l’All or Nothing prodotto per Amazon, dove il nothing ha prevalso nettamente sull’all.
C’era dunque bisogno di una piccola rivoluzione: non però di quelle condotte a suon di milioni, né – come richiesto a furor di popolo – tramite il cambio societario. L’Arsenal ha preso Arteta – dopo averci provato con Unai Emery – e gli ha dato le chiavi dell’Emirates. D’altronde solo un vecchio cuore Gunners come lui avrebbe davvero compreso cosa e come sarebbe servito all’Arsenal per tornare nuovamente a splendere nel calcio che conta.
Oggi l’Arsenal è una delle favorite in Europa League e se la gioca testa-a-testa con il Manchester City – e forse il Tottenham – per il riconoscimento più grande e spaventoso (almeno dalle parti del Nord di Londra, dove al solo pensiero seguono gesti apotropaici) che ci sia: la vittoria della Premier League. Abbiamo atteso a lungo questo momento, e parliamo con la prima persona plurale perché sappiamo quanto l’Arsenal abbia influenzato e deliziato la generazione di ragazzi che oggi vive di calcio con una fatica in più sulle spalle.
È a voi che parliamo, trentenni privi (fino ad oggi) della gioia. L’Arsenal è tornato per davvero. È tornato esteticamente, con una delle divise più belle mai prodotte da Adidas, ed è tornato eticamente, coi risultati e un gioco scintillante, nuovo eppure essenzialmente gunners. Quello di Arteta è un gruppo giovane, uno dei più giovani della Premier, ma il suo segreto è un altro: il tecnico basco ha dato ai Gunners un’impostazione furente, un ardore che è nello spirito prima che nel – meraviglioso – giro palla che sta incantando l’Inghilterra.
Anche ieri, contro un Liverpool certo ombra di sé stesso ma pur sempre il Liverpool, l’Arsenal è stato in grado di reagire ben tre volte alla rimonta degli avversari. 1-0, 1-1, 2-1, 2-2, 3-2: una prova di forza mentale prima che tecnica di grande valore. Non ha mai smesso di essere coerente con sé stessa e la propria filosofia di gioco: ha abbassato la testa e ha letteralmente assediato il Liverpool, non solo incapace di opporre resistenza ma quasi inquietata dall’oracolo visivo che stava vivendo – e che recitava: noi siamo quello che voi siete stati per anni.
Nel fallo da rigore di Thiago Alcantara su Gabriel Jesus – giocatore sublime sotto Arteta – c’è una simbologia impossibile da eludere: il calcio, nel 2022, è di chi morde, non di chi attende. Non si tratta di giochismo o risultatismo, ma di voglia di vincere. Il 3-2 dal dischetto di Saka ha solo confermato quanto visto in questi primi due mesi di Premier League: l’Arsenal è tornato tra le grandi. Certo, qualcosa dietro a livello di solidità manca ancora (nonostante i Gunners siano la terza miglior difesa della Premier): ma l’entusiasmo – etimologicamente: stare con il dio – dell’11 di Arteta al momento, in Premier, non ha eguali. Lo sa anche Pep Guardiola, che ha ancora comunque la squadra più forte. Senza però avere l’estetica Gunners. Non è poco, per chi crede.