Il ruolo dello stopper è tornato.
Pensavamo di averli persi per sempre. I Sergio Brio, Nazzareno Canuti, Maurizio Turone. Stopper (termine antico) deputati al disinnesco del centroavanti e quando serve con la licenza di spingere, senza perdere il criterio tattico, l’equilibrio di squadra. In un calcio condizionato dal Grande Fratello chiamato VAR, che porta il difensore a mettere la sciabola nell’armadietto e intervenire di fioretto, per paura inoltre delle sceneggiate, la costruzione dal basso col centrale non è più una scelta, bensì l’obbligo stilistico. Il centrale deve essere il primo regista. Il centrale deve salire per favorire il pressing, mettendo abilmente in fuorigioco gli attaccanti avversari. Il centrale deve segnare, sì segnare, quanto un centrocampista, e costruire, sempre, anche in preda alla peggiore pressione. Indicazioni che portano il ruolo a dimenticare la missione principale: marcare il bomber.
Catenaccio? Vade retro Satana, guai a utilizzare quella parola.
Il tempo nel calcio esiste in un’unica forma: presente. In pochi dirigenti hanno la capacità di azionare una macchina che possa farci tornare ai fasti di un passato già lontanissimo, nostalgico, perché ci determinava il Campionato migliore al mondo. Uno di questi è Pantaleo Corvino, responsabile dell’area tecnica dell’Unione Sportiva Lecce, che ha prelevato dall’Ascoli in estate Federico Baschirotto, terzino destro, adattato con successo a stopper. Proprio così, ‘stopper’: il ventiseienne della provincia veronese, nato a Isola della Scala, un metro e ottantaquattro chili di puri muscoli, si è ritrovato a giocare centrale all’inizio della Serie A 2022-23 per emergenza, data l’assenza dei titolari giallorossi nel ruolo. Una scoperta da Archimede: eureka! Avrà gridato Baroni dalla panchina.
L’avversario inaugurale da marcare è Romelu Lukaku, il 9 più potente del massimo campionato. Tremore alle ginocchia? Tutt’altro. Il 6 di Baschirotto scintilla sulla maglia: lo stopper porta l’Apollo Creed belga sul ring del Via del Mare, boxando con vigore e correttezza, come Rocky Balboa. Il Lecce perde all’ultimo respiro, ma la mole di respinte, chiusure, ostruzioni, diagonali, capocciate dell’esordiente cresciuto nella Cremonese è impressionante. «La mia natura è resistere», potrebbe cantare lo stopper prendendo in prestito i versi de La Rappresentante di Lista.
Nelle prime giornate Baschirotto sfrutta, escluse le mani, ogni parte del corpo per interdire il passaggio del pallone verso Falcone, estremo difensore giallorosso. Fronte, viso, spalle, schiena, petto, pancia, gambe, piedi, sudore, tanto sudore. Rimane sempre come ultimo uomo. A livello di tempra guida la squadra dalle retrovie. Non è un granatiere o come espresso da diversi giornali un ‘gladiatore’: lui è un corazziere, quella guardia strutturata come le Dolomiti, che presidia il fortino più importante, alle spalle, in silenzio, infondendo sicurezza ai compagni.
Dagli spalti, quando il Lecce subisce le sfuriate degli avversari più blasonati – come al Maradona contro un Napoli per il 70% del match col pallino del gioco e instancabile nell’assaltare la porta barocca –, i tifosi chiudono gli occhi stringendo un ideale santino – forse San Mazzone – mentre sussurrano, Baschirotto proteggici.
Contro Victor Osimhen lo stopper si esalta: annulla uno dei bomber più forti del torneo con pazienza, determinazione, cercando la pulizia nell’intervento e mai la provocazione. Anticipi sul passaggio in profondità, risoluzioni di testa dai traversoni, corpo a corpo nei calci piazzati o palle inattive con la malizia della lotta greco-romana. La fisicità del 6 leccese – che nei suoi capelli d’angelo evidenzia una fascia alla Rambo – lo porta a cercare il pallone come un martello sull’incudine e non per atto vandalico contro le gambe dell’attaccante, bensì con l’atteggiamento del fabbro che modella un pezzo di ferro bollente. Sempre con lealtà, mai con ignoranza. È la riproposizione nel ventunesimo secolo dei marcatori italiani anni Settanta e Ottanta: lo stile è pratico, non elegante, ma l’efficacia è assicurata.
Baschirotto spazza che è una bellezza, quando la confusione aleggia nei pressi della sua area. Partire dal basso non è il suo pane, ma allo stopper vero non importa: il suo compito è far passare una pessima giornata al bomber di turno: gli piace innescare un braccio di ferro da bar di periferia. Questo lo fa godere, profondamente, glielo leggi sulla faccia da vichingo.
Sfida sporca, da galantuomini, vissuta fin dai campetti polverosi di Nogara, passando dal Legnago e dal Seregno tra interregionale e Serie D. E poi la Cremonese, che sembrava credere in lui per il campionato di Serie C – categoria vissuta in prestito al Cuneo e al Forlì – e invece lo ha scaricato, costringendolo a ripartire dai dilettanti, al Vigor Carpaneto, mentre il sogno del professionismo sembrava svanire. Ma l’inferno calcistico Baschirotto lo ritrova quasi per caso alla Viterbese e con un campionato costellato da prestazioni granitiche si guadagna il purgatorio, all’Ascoli, dove colleziona 34 presenze e sigla 4 gol. L’exploit in cadetteria stuzzica la fantasia di Corvino che a luglio, nel suo mercato delle idee, lo porta ai piedi di Sant’Oronzo: davanti alle tre dita del Santo si posiziona la statua del 6 veneto, una sorta di Nettuno rubato da Piazza Maggiore a Bologna.
Gavetta marmorea, categorie complesse nel Nord, al Centro e a Sud dello Stivale. Adesso i bomber milionari da stanare e non solo per raccontarlo ai nipoti, ma per continuare a crescere, come ha sempre fatto nelle ultime dieci stagioni.
Baschirotto è un calciatore grunge: mentre si muove dalla terza linea con la grazia di un bisonte sulla spiaggia, marciando sodo come un soldato di ventura in passerella, si alternano le vibrazioni degli Stone Temple Pilots e dei Soundgarden. In particolare, parte a tutto volume Live to rise di quest’ultimi:
«Siamo folli, ma non siamo soli
tieni duro e lascia perdere
come il sole, vivremo per sorgere».
Al centro del Lecce di Marco Baroni, il corazziere potrebbe recitare la parte di Furio Giunta nella serie cult I Soprano: silenzioso dietro a Tony, il boss, e agli altri capimandamento; sai che se ti volti e hai bisogno c’è sempre e se parla, è solo per dare fiducia. Il 6 è lo stesso: pronto a fare gruppo e ad eseguire i compiti del mister in qualsiasi zona del campo, con l’obiettivo di proteggere il cuore del tifoso dalle pallonate di un’opulenta big alla romantica neopromossa. E allora proteggici Baschirotto e facci riscoprire il ruolo dello stopper. Per un calcio sporco, sanguigno, leale: come te.