Era inevitabile: lo scontro tra Ungheria e Unione Sovietica non si sarebbe fermato con la repressione della rivolta magiara.
La Nazionale di Pallanuoto ungherese è da sempre una delle migliori nel panorama mondiale. Ai tempi della nostra storia ha già vinto i Giochi Olimpici a Helsinki nel 1952 e quattro anni dopo si presenta in Australia da campione in carica. I giocatori sono provati, anche loro erano presenti a Budapest il 23 ottobre 1956, quando scoppiarono i primi tafferugli della rivolta ungherese, e poi hanno dovuto affrontare tre settimane di viaggio, che non si smaltiscono tanto facilmente. Sono preoccupati, ma soprattutto infastiditi dal non poter lottare al fianco dei propri compatrioti. Dopo la debacle nella II° Guerra Mondiale dell’Asse, anche l’Ungheria – che aveva appoggiato Italia e Germania nel conflitto – subisce delle ripercussioni.
Viene infatti annessa all’URSS comunista, che impone un dittatore appoggiato da Stalin.
La filosofa francese Simone de Beauvoir diceva che ogni oppressione crea uno stato di guerra: in Ungheria di certo è successo. I primi ad iniziare la rivolta sono i giovani; a loro si aggregano operai, lavoratori e anche una parte dell’esercito russo, che ormai ha messo radici in quella terra. Giorni di trattative ed accordi non placano gli insorti. L’URSS nomina un nuovo primo ministro d’Ungheria, Imre Nagy, che ben presto però asseconda i sentimenti della rivolta. Nel frattempo scoppia anche la Guerra del Sinai per la conquista del Canale di Suez, una storia differente e parallela ma che influenza notevolmente le sorti della rivoluzione magiara.
La Russia infatti, per dimostrare la propria forza internazionale, decide di reprimere manu militari i moti a Budapest. Il 4 Novembre l’Armata Rossa arriva alle porte della Capitale. Lo scontro è impari: 200.000 uomini e 4.000 carri armati da una parte, studenti ed operai equipaggiati con fucili rubati alle industrie di armi dall’altra. Il 10 Novembre 1956 gli Ungheresi devono cedere.
Intanto gli atleti della rappresentativa magiara, giunti in Australia per iniziare il torneo olimpico, decidono di contribuire a modo loro: tolgono la bandiera ungherese con lo stemma dell’URSS comunista davanti al villaggio olimpico, e ne issano una senza la stella rossa e i riferimenti alla “madrepatria”, la stessa usata dai rivoluzionari. La vicenda non piace molto al Comitato Olimpico, dal momento che va contro il regolamento, ma si preferisce lasciar correre per non creare ulteriori disordini. Così il 22 novembre a Melbourne iniziano i XVI° Giochi Olimpici, e in piscina l’Ungheria è inarrestabile. Qui gli ungheresi sono i primi a utilizzare una nuova tecnica difensiva, la marcatura a zona, che consiste nell’invitare gli avversari al tiro dalla lunga distanza per permettere alla difesa una più rapida controfuga.
Le vittorie della squadra però non sono dovute solo alla tattica rivoluzionaria e all’ineguagliabile tecnica, ma sono anche spinte dall’orgoglio e dal desiderio di libertà. Il loro campo di battaglia non è la distesa pianura Pannonica, né la riva del fiume Danubio, ma la piscina. Sàndor Petőfi, un poeta romantico protagonista di un’altra rivoluzione, quella per l’indipendenza dall’Austria Asburgica nel 1848, un secolo prima aveva lasciato delle strofe commoventi che invitavano alla difesa della propria patria. E i giocatori, capitanati da Dezsò Gyarmati, sembrano nuotare al ritmo di quei versi, eredi di un’identità ribelle che si era dovuta riscoprire. Certo in mano non hanno una baionetta, ma non cambia niente. L’ardore si dimostra nella vita di tutti i giorni.
“Avanti, avanti, dunque, il popolo e il poeta: / avanti attraverso l’acqua, avanti / attraverso il fuoco. / Maledetto colui che lascia abbattere / la bandiera del popolo: / maledetto colui che resta indietro / per ozio o per viltà: / maledetto chi all’ombra si riposa / mentre il popolo tribola e s’affanna…”
Nel primo turno di qualificazione superano Gran Bretagna e USA, poi vincono contro Italia e Germania. Il 6 dicembre 1956, circa un mese dopo la repressione russa in terra magiara, si gioca Ungheria contro Unione Sovietica: incontro valido per la semifinale olimpica, ma francamente questo interessa a pochi. È la partita della rivincita, della rinascita e di quella libertà decantata da Petòfi. Lui amava e combatteva, loro amano e giocano.
“Io amo come l’uomo / forse non ha mai amato. / Io amo di un santo amore, / ma la mia cara non è fanciulla terrena. /
Io amo una dea, / una proscritta dea: / la libertà.”
Il giorno dopo sui giornali non compare né il nome dei marcatori né tantomeno una lode alla squadra, bensì una scritta a caratteri cubitali: “Blood in the pool match“. Si tratta di un’autentica battaglia. Si dice giustamente che la pallanuoto sia uno sport abbastanza violento, ma quel pomeriggio sembra di assistere più a un incontro di pugilato di strada. L’apice si raggiunge quando, sul finire della partita, il russo Valentin Prokopov sferra un pugno all’ungherese Ervin Zador, dopo che questi lo aveva provocato per tutto il match.
«Era una sfida mentale: loro combattono, noi giochiamo, questo era il piano. Non lottavamo per noi ma per tutti gli ungheresi: era l’unico modo in cui avremmo potuto rispondere», dirà anni dopo lo stesso Zador. Il pubblico, che sostiene l’Ungheria poiché in larga parte composto da emigrati ungheresi in Australia, assomiglia alla lava pronta ad erompere dal vulcano. Ribolle. Al gesto del sovietico i tifosi replica con una invasione prendendo di mira gli stessi giocatori russi, tanto che questi sono costretti ad uscire dalla vasca scortati dalle forze dell’ordine.
https://youtu.be/ORjIONFd8cU
Con gli ungheresi in calotta bianca, a 1’35 si può vedere Ervin Zador uscire sanguinante dalla vasca.
Lo zigomo del magiaro si apre. L’acqua della vasca si tinge di rosso. Il volto di Zador è irriconoscibile, e la sua immagine con il viso ricoperto di sangue viene successivamente inserita nei libri di storia. Rimane così sconvolto da quella giornata che preferisce spostarsi per il resto della sua vita sul bordovasca, come allenatore. Mark Spitz, vincitore di ben sette medaglie olimpiche in una sola rassegna, sarà tra i suoi allievi.
Alla fine della “partita” il tabellino segna 4 reti per la nazionale ungherese, 0 per quella sovietica. Una popolazione che per anni aveva dovuto subire soprusi e umiliazioni ora può finalmente gioire. Anche perché, dal momento che nel 1848 la rivolta di Petofi era fallita e nel 1956 l’insurrezione era stata repressa, quel giorno di dicembre resta l’unica volta, in duecento anni di lotte, in cui l’Ungheria riesce a sovrastare l’URSS. In una vasca di pallanuoto, ma voleva dire molto di più.