Ritratti
07 Agosto 2024

Stella Walsh, alle radici dell'intersesso

La storia di una grande sportiva dal finale irrisolto.

Ogni storia su Stella Walsh – oro olimpico nei cento metri alle Olimpiadi di Los Angeles 1932 – inizia dalla fine. Dal 4 dicembre 1980, quando è stata uccisa con un colpo di pistola in una strada di Cleveland. Un omicidio che ha rivelato un segreto nascosto sin dalla sua nascita.

Stella è nata nella Polonia zarista il 3 aprile 1911 come Stanisława Walasiewicz. Il suo paesello è lontano dal Baltico, da Varsavia, da Amburgo ed è poco più di un agglomerato di case che fa dell’agricoltura la sua ragione d’esistere. È quasi scontato che in un mondo dove tutto ha preso a muoversi a velocità supersonica – con le fabbriche, i treni e i transatlantici che pompano fumo nero dalle loro ciminiere e corrono rapidi, moltro più rapidi che i vecchi carretti trainati da cavalli che attraversano la Polonia rurale – i più ambiziosi si sentano attirati dalla fetta di pianeta in cui sembra accadere di tutto. Dove i soldi girano e anche un figlio di contadini può ritrovarsi a sedere al tavolo dei notabili.

Così, a diciotto mesi, Stanisława e la sua famiglia si ritrovano a Cleveland, Ohio, in un quartiere chiamato “Slavic village” abitato da moltissimi connazionali, come loro sradicati ma ottimisti. Almeno all’inizio.

La vita da emigrante, come sa chiunque abbia sperimentato l’esperienza, non è mai troppo facile. Bisogna mettere da parte l’orgoglio e lavorare a testa bassa, senza farsi troppe domande. Ci sono le difficoltà linguistiche, innanzitutto. Primo grande scoglio di ogni nuova avventura all’estero. Il senso di spaesamento, compensato solo in parte dall’entusiasmo che si fa via via sempre più rarefatto se le cose cominciano ad andare nel verso sbagliato.

Poi il rapporto continuo e costante con il pregiudizio. Che tende a incasellare ogni nazione e ogni individuo proveniente da essa in base a idee preconcette: dei polacchi, tanto per dire, si racconta che si lamentano sempre, che tendono ad abusare della vodka e che non si spicciano mai a imparare le lingue straniere.

Uno dei modi più semplici per integrarsi è provare ad adottare le usanze del nuovo Paese. Un altro è cambiare il proprio nome e fingere di non avere il passato che si ha, così Julian e Weronika Walasiewiczowna cambiano il nome della piccola Stanisława in Stella e quello di famiglia in Walsh. Così, almeno a una prima occhiata, sembreranno dei veri americani.

Papà Walsh lavora duro in un’acciaieria e la sua famiglia comincia a radicarsi nella nuova realtà, aiutandosi a vicenda con la comunità della diaspora polacca: presto nasceranno altre due bambine.

Stella, tuttavia, non è una bambina come tutte le altre e la sua nazionalità non c’entra. Non è la sola ad accorgersi che la sua mascella cresce più squadrata di quella delle sue compagne, i peli sulle gambe sono più ispidi e duri mentre il seno rimane quello di una bambina piccola. Vero che l’adolescenza arriva per tutti in modi differenti, ma quelle stranezze – negli anni Venti – sono qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Diventa un po’ chiusa e reticente con gli altri, spesso seriosa, ma scopre presto di avere un talento che la rende speciale e gli imbarazzi adolescenziali finiscono presto in soffitta.

È alta, muscolosa e negli sport riesce a competere con i maschi, trovando spazio nella squadra di baseball della scuola, ma nonostante i trofei, le medaglie e le coccarde che riesce a collezionare, la chiamano “Bull Montana”, un nerboruto wrestler diventato celebre interpretando film in ruoli tipo l’uomo scimmia. Un immigrato come lei, ma dall’Italia. Uno che se n’era fregato di chi lo sfotteva per il suo aspetto fisico ed è riuscito comunque a diventare ricco e famoso nel Paese delle grandi opportunità.

Lei non è Bull Montana, è Stella, e quegli insulti le fanno male, ma va comunque avanti per la sua strada e a un certo punto i suoi successi mettono tutti a tacere.

Se non può essere accettata per quello che è, se deve essere sempre e comunque presa in giro, allora tanto vale fingere che quelle voci di scherno, quegli insulti non esistano. Meglio correre, allenarsi, dare il meglio di sé nello sport e battere tutti. Batterli ancora e ancora e farli stare zitti. O almeno coprire con gli applausi le risate di scherno.

A quattordici anni entra a far parte dei Sokół Polski, i “Falconi polacchi”, un’organizzazione sportiva giovanile che tiene alto l’orgoglio nazionale tra gli emigrati. A sedici partecipa alle “Olimpiadi giovanili” organizzate dal Cleveland Press, un giornale cittadino, vincendo facilmente ogni gara. Così l’anno seguente gareggia ai Trials olimpici in vista dei Giochi di Amsterdam del 1928 – i primi a cui parteciperanno anche le donne –, ma c’è un problema: finché non riceve la cittadinanza statunitense non può entrare in Nazionale. È nata in Polonia e fino a ventuno anni nessuno può farci nulla, non può ottenere la Green card nemmeno per meriti sportivi.

Nel 1929, anche grazie al supporto finanziario della comunità polacca, partecipa ai Giochi internazionali pan-slavi che si tengono a Poznan. Nella ricca cittadina mercantile, dalle casette color pastello e dalla grande cattedrale – simbolo della Grande Polonia – Stella vince cinque medaglie d’oro nei 60, 100, 200, 400 metri e nel salto in lungo. Il governo del suo Paese natale la invita a gareggiare sotto le sue insegne, in una sfida internazionale all’Austria, e Stella accetta ottenendo il record del mondo nei sessanta metri piani.



Ormai è così popolare che la New York Railroad di Cleveland la sceglie come testimonial per promuovere i suoi treni, assumendola nominalmente come impiegata ma di fatto concedendole uno stipendiuccio per fare da portacolori dell’azienda. Correrà sotto le insegne della Twentieth Century Limited, il treno che unisce New York e Chicago.

Gli sportivi olimpici, all’epoca, non potevano lucrare delle proprie abilità e Stella vuole dannatamente partecipare ai Giochi per provare a imitare una sportiva polacca che la affascina molto, la discobola Halina Konopacka. Lei è carina, sorridente e piace a tutti, un po’ il suo contraltare, ma in comune hanno la facilità nella vittoria: un’unicità che rende bendisposte le persone nei tuoi confronti anche se le guardi storto aggrottando le sopracciglia e non sei proprio la più graziosa nella stanza.

Cleveland, nel frattempo, è piegata dalla Grande depressione. La gente, senza lavoro, senza casa e senza speranze si affastella nella zona paludosa che circonda la città costruendo baracche di legno e provando a tirare avanti. Sono le cosiddette Hoovervilles, dal nome del presidente Herbert Hoover che nell’immaginario popolare ha mandato in malora gli Stati Uniti. Il contrasto tra i grattacieli moderni, il dinamismo della “città che sale”, lo ha raccontato anche John Steinbeck nel suo capolavoro, Furore.

La Migrant Mother di Dorothea Lange con al centro Florence Leona Christie Thompson, 32 anni, madre di sette figli. Nipomo, California, marzo 1936

Tra quel mondo di mezzo, brulicante di umanità in disarmo e cattive compagnie, si muove il Macellaio di Kingsbury Run, un serial killer inafferrabile che terrorizza la città. Sceglie le sue vittime tra i bordelli, i giocatori d’azzardo e i vagabondi, le fa a pezzi e rende impossibile il loro riconoscimento.

Se Stella non avesse avuto una fede incrollabile nello sport e la fortuna di possedere doti atletiche straordinarie, forse anche lei con i suoi documenti da immigrata e quel viso spigoloso che non piaceva a nessuno, avrebbe potuto tranquillamente finire in quei giri, ritrovandosi tra la schiuma della terra. Emergere era molto difficile negli Stati Uniti degli anni Trenta, se mollavi un centimetro potevi sprofondare nel baratro senza che nessuno ti venisse più a cercare.

Ma Stella ha un dono. Un’abilità che apre tante porte e che fa sognare: la velocità. Durante i Millrose Games del 1930, un meeting indoor che si tiene ancora oggi, da più di centotrent’anni, al Madison Square Garden di New York, batte tre record del mondo in una settimana e il pubblico gli tributa cinque minuti di ovazioni.

Per superare Mildred Ella “Babe” Didrikson nel salto in lungo deve battere per sei volte i record del mondo, visto che la sua avversaria le risponde per le rime ogni volta che è il suo turno, e la folla impazzisce. In estate, diventa anche la prima donna nella storia a infrangere il muro degli undici secondi, con un sorprendente 10.8.

Il New York Times la definisce “la più grande speranza Olimpica degli Stati Uniti nelle gare femminili” e in un’intervista lei prova a darsi un tono raccontando di non essere soggetta “alle tempeste emotive” che all’epoca si suppone abbiano tutte le donne. Uno dei suoi segreti è riuscire a rimanere calma, concentrata e rilassata sino a pochi minuti prima della gara. Un vantaggio non da poco, secondo i giornali, in un mondo di donne a cui viene diagnosticata l’isteria per un nonnulla.

Nella terza edizione dei Giochi mondiali femminili di Praga del 1930, organizzati in risposta alle poche donne in gara ad Amsterdam, Stella gareggia per la Polonia e conquista tre ori, nei 60, 100 e 200 metri e un bronzo nella 4X100. Poi, quando le competizioni sono finite, si lancia in un affascinante tour dell’Europa. Come mai prima di quel momento, è diventata glamour.



Ospite di nobili, notabili, stampa e autorità varie, si muove con la naturalezza di una diva da Berlino a Parigi, da Londra alla campagna polacca, dove è ospite di un ex ministro degli affari esteri, il conte Maurice Zamoyski, quasi si fa convincere a entrare nella nazionale biancorossa. Tentenna, ma nel suo cuore non ha dubbi: vuole gareggiare per gli Stati Uniti.

Torna a casa con una cabina di prima classe sulla RMS Majestic, il transatlantico più grande e lussuoso del mondo: la sua vita sta cambiando a un ritmo forsennato, solo le sue gambe poderose riescono a stargli dietro. Il Brooklyn Daily Eagle è sicuro: “Su una pista, quella ragazza potrebbe fare tutto ciò che fa un uomo”. In quell’epoca di patriarcato nella sua espressione più limpida – in cui i fascismi teorizzano acclamati dalle folle un mondo in cui le donne figliano e gli uomini combattono – non ci potrebbe essere complimento più alto.

Nell’antica Grecia, alle donne era addirittura vietato assistere alle Olimpiadi e se si azzardavano a farlo e venivano scoperte, erano gettate dalla cima del Monte Typaeum nel fiume che vi scorreva alle pendici. Anche nelle prime Olimpiadi moderne, quelle di Atene 1896, le donne sono state bandite, mentre negli anni Trenta sono ancora in tanti quelli a cui non piacciono le atlete donne, con quei volti contratti dalla fatica che erano tutto il contrario dell’immagine di femminilità a cui si ispirava il maschio bianco della classe media. Solo a Parigi 2024 la parità tra donne e uomini in gara dovrebbe essere finalmente raggiunta.

Compiuti ventuno anni, alla vigilia dei Giochi di Los Angeles 1932, Stella è finalmente in grado di portare avanti la sua candidatura per la cittadinanza americana, ma in quegli stessi mesi la New York Central Railroad è stata costretta dalla crisi economica a lasciarla a casa, privandola della sua fonte principale di sostentamento. Come se non bastasse, nello stesso periodo anche suo padre ha perso il lavoro all’acciaieria. Gli atleti olimpici sono puri amatori e per Stella, senza uno sponsor in grado di finanziare le sue gare, le cose rischiano di mettersi male.

Il 12 luglio, il consolato polacco di New York le offre un lavoro e una borsa di studio per andare avanti con le scuole e così Stella, che era a un passo dal consegnare le carte per la naturalizzazione, torna a essere Stanisława Walasiewicz e decide a sorpresa di gareggiare per la sua patria di nascita.

Le Olimpiadi della prima e unica mascotte vivente, il cagnolino Smoky, un meticcio che si racconta sia nato nel cantiere dello stadio, il Memorial Coliseum, prevedono nell’atletica femminile i 100 metri piani, i 110 ostacoli, la 4X100, il salto in alto, il lancio del disco e del giavellotto. Stanisława può aspirare alla gara di sprint e tentare con il lancio del disco, dove tuttavia non è tra le migliori al mondo. Anche la 4X100 le è negata per via di una squadra polacca non all’altezza. Pur limitata dall’unica gara adatta a lei, corre i cento in 11.9 secondi, eguagliando due volte il suo stesso record mondiale e vincendo uno dei due ori ottenuti dall’intera spedizione polacca. Ora è  un’eroina nazionale.

Dopo le Olimpiadi, si trasferisce all’Università di Varsavia e comincia corsi di Educazione fisica e giornalismo, ma le manca lo stile di vita americano e quando si infortuna gravemente a una caviglia, decide di tornare a Cleveland dopo soli sei mesi.

stella walsh
Stella Walsh nel 1938

Nei quattro anni che separano l’Olimpiade di Los Angeles da quella che si terrà nella Berlino nazista nel 1936, al cospetto del nuovo dittatore emergente, Adolf Hitler, Stella si guadagna l’appellativo di “Regina dello sprint”, ma sta salendo alla ribalta una rivale pericolosa. Dal Missouri, stato rurale dell’America più profonda, si sta facendo largo un’altra ragazzona tutta muscoli alta un metro e ottanta, una rarità quasi da Circo Barnum per quegli anni in cui il cibo scarseggia, il rachitismo dilaga e la denutrizione affama porzioni sempre più ampie della popolazione.

Helen Stephens, che non si preoccupa di apparire femminile e si mostra volentieri mentre va in giro per i boschi circostanti a caccia di conigli con in braccio il suo fucile, ha il poster di Stella in camera, ma racconta di riempirlo di puntine ogni giorno perché sogna di stracciarla alle Olimpiadi. Ha piedi giganteschi e un sorriso aperto in cui dominano le gengive sporgenti. Ma è spigliata e piace moltissimo alla stampa: è la perfetta ragazza americana, niente a che vedere con quella musona polacca. Siccome i suoi non si possono permettere un mezzo per accompagnarla a scuola, ci va di corsa affiancando un cugino che invece sta in groppa a un cavallo e i compagni la chiamano “Braccio di ferro”. Ma sembra quasi piacerle.

Nel marzo 1935, Stella e Helen si sfidano in un meeting sui cinquanta metri e la giovanissima outsider – fino a quel momento un’illustre sconosciuta – si lascia alle spalle senza troppa fatica la più esperta olimpionica.

I giornali ci sguazzano e cominciano a costruire una rivalità che in quei mesi infiammerà ogni discorso sull’atletica femminile. Intervistata al termine della gara Stephens risponde a un giornalista che le domanda cosa abbia provato a battere Stella Walsh uno “Stella chi?” che rimane negli annali delle risposte più passivo aggressive delle storia dello sport.

Stella subisce la personalità prorompente della ragazza terribile dello sprint americano e i media, ancora piccati per la sua rinuncia alla nazionalità americana, danno ampio spazio al nuovo che avanza che dal canto suo non lesina attacchi: “Posso batterla a piedi nudi”. La campionessa, minacciata, evita il confronto e prova a mettere a tacere le critiche continuando a fare ciò che le riesce meglio: battere record del mondo su tutte le distanze. Ma ormai sanno tutti che il suo regno è minacciato e presto o tardi è destinato a cadere sotto i colpi della Stephens.

Ha solo ventitré anni, ma Stanisława è già il passato e il suo atteggiamento sfuggente rischia di costarle una squalifica perché la società sportiva di Helen, il St. Louis Athletic Club, chiede che venga sospesa a causa del suo continuo rifiutarsi di affrontare la rivale. Alle Olimpiadi, in ogni caso, Stella non potrà negarsi.

Helen Stephens

Negli Stati Uniti le voci critiche verso la partecipazione dei Giochi che diventeranno facilmente una spettacolare macchina di propaganda per il regime nazista si alzano numerose, ma il futuro segretario del Cio Avery Brundage fa di tutto affinché la nazionale a stelle e strisce partecipi. Le sue inclinazioni filo-naziste sono note a tutti e l’idea che la Germania escluderà per meri motivi razziali i suoi sportivi ebrei dalle gare non lo scandalizza. Anzi.

La sfida tra Helen e Stanisława potrà così avere il suo grande palco, tra atleti con il braccio teso nel saluto nazista e una generale esaltazione del patriottismo tedesco che sarà il preludio alla Seconda guerra mondiale.

Davanti ai centomila spettatori dell’Olympiastadion di Berlino, sotto gli occhi del Führer presente tra il pubblico, Stella e Helen tornano finalmente a sfidarsi e – di nuovo – è la bionda del Missouri a vincere, ottenendo il record del mondo con un tempo di 11.5. Tutti i giornalisti, a fine gara, vanno da lei e Stella rimane in un angolo a rimuginare la sua sconfitta. Quando le due rivali si stringono la mano a fine gara, Stella è senza scarpe e guarda in tralice Helen, che invece sorride luminosa dall’alto del suo metro ottanta. Forse Stella stava già pensando all’accusa che presto avrebbe fatto trapelare da un giornale polacco: Helen è un uomo.



Gli ispettori di Brundage, prima delle gare, l’hanno già esaminata per il primo “test della sessualità” dei Giochi, una pratica abominevole che come accadeva nel più buio Medioevo costringeva le atlete a subire un controllo dei genitali da parte di un medico. Negli anni successivi verrà istituzionalizzato a livello Federale, e non più a carico delle singole nazioni, e porterà per qualche anno alla cosiddetta “parata del nudo”. Un’umiliante camminata senza vestiti tra uomini in abiti istituzionali che controllano che le atlete non nascondano nulla tra le gambe.

La diatriba andrà avanti qualche tempo, Stella vincerà due ori ai campionati Europei del 1937 e poi la guerra metterà tutti a tacere per un lungo, triste intervallo.

Stephens si ritirerà presto a vita privata, da imbattuta, mentre Walsh continuerà a correre, vincere e fare dello sport la sua vita – entrando anche nella Hall of Fame – nonostante a lungo abbia minacciato il ritiro dopo la sconfitta di Berlino. Passano gli anni, la storia di quella rivalità viene dimenticata e Stella, anziana e in difficoltà, arriva addirittura a contare solo sull’assegno dei Servizi sociali per mantenersi. Come tanti nella sua situazione, vende i suoi cimeli, ma non sembra che separarsi da coppe e medaglie le interessi poi troppo. È sempre stata una a cui piace guardarsi avanti.

Fa sport, da anziana indossa una parrucca per l’alopecia e si disegna le sopracciglia per provare a rimanere quella che era, almeno un po’. Beve un po’ troppo, tanto che la cirrosi comincia a corroderle il fegato. Quel 4 dicembre era qualcosa di più che alticcia, tanto che il livello dell’alcool nel suo sangue potrebbe essere quantificato in circa otto birre bevute nell’ora precedente la morte. È due volte più alto del limite legale per guidare negli Stati Uniti.

stella walsh gara
Prima di una gara

Forse per questo che, arrivata alla sua auto ferma in un parcheggio – sempre nella sua Cleveland, la città dove ha vissuto quasi tutta la sua vita – quando due rapinatori le puntano una pistola e provano a rapinarla lei reagisce impavida. Cerca di farsi sotto ai malviventi, di difendersi e disarmarli. E quelli gli sparano. L’ambulanza che dovrebbe portarla in ospedale, chiamata da un passante, buca sul tragitto e ritarda quei minuti essenziali che forse l’avrebbero potuta salvare. Ma nelle sue condizioni fisiche, con la pressione del sangue alle stelle e alla sua età forse non avrebbe comunque potuto vivere più di due o tre anni ancora.

Walter Cronkite, “l’uomo più credibile d’America”, dal TG dà la notizia a un Paese abituato alla violenza e a gente che si becca un proiettile senza preavviso. Le strade sono quelle ritratte nei Guerrieri della notte, sporche, malfamate e piene di gente arrabbiata e feroce, e una pistola la trovi facilmente pure al supermercato. Già l’uccisione di una delle sportive più acclamate e note degli anni Trenta, forse LA più nota e acclamata, sarebbe di per sé una news da prima pagina, ma quando escono i risultati dell’autopsia rimangono tutti sbalorditi.

Il coroner è molto cauto e delicato, e definisce Stella “individuo”, ma esaminandola ha scoperto che ha una rara patologia genetica conosciuta come mosaicismo, ovvero la presenza di due o più linee genetiche diverse. Ha caratteristiche fisiche, sessuali e cromosomiche sia maschili che femminili e subito c’è chi protesta affinché l’oro di Los Angeles e l’argento di Berlino – oltre a tutte le altre coppe e medaglie – le vengano strappati postumi.

Stella the fella” si dice che qualcuno abbia cominciato a dire. Stella è un ragazzo. Intervistano il marito, che la definisce con pochi giri di parole uno “scherzo della natura” ma di non essersi accorto di nulla nel corso dei rari incontri sessuali.

Spuntano amici di famiglia, conoscenti, ex allenatori e altre sanguisughe e tutti sostengono di aver capito tutto da subito, di aver pensato che Stella non fosse ciò che diceva di essere. Che ci fosse qualcosa di strano e un po’ perverso. Poi, la morte di John Lennon – anche lui colpito da un proiettile appena quattro giorni dopo – sposta l’attenzione su altro.

Stella ha vissuto tutta la vita come una donna. Ha corso come una donna e non ha mai fatto uso di sostanze dopanti. Sono tutti fatti. Forse la sua unica colpa, il suo unico scivolone sono state le parole infamanti rivolte alla sua avversaria a Berlino. Dopo un’analisi attenta, il Cio decide di non invalidare le sue vittorie né i suoi record: non ha avuto vantaggi di sorta dalla sua condizione.

Alle Olimpiadi il problema della sessualità delle atlete si ripresenterà come ogni anno, succede sempre: dalle sorelle Press a Caster Semenya, fino al recente caso di Lia Thomas, la nuotatrice transgender che non potrà partecipare ai Giochi di Parigi.

Maschio o femmina sono due categorie che almeno nello sport dovrebbero proteggere la correttezza delle gare, in modo che nessuno possa avvantaggiarsi sui rivali, ma spesso è difficile – figurarsi in casi come quello di Stella – propendere per l’una o l’altra strada. Stella sapeva di essere “diversa” ma per tutta la vita si è comportata come se questa differenza non esistesse e chi le stava attorno non ha notato nulla di “strano”. Nonostante tutto. Nonostante i benpensanti e i moralisti.

La sua morte ha rivelato il suo segreto, ma alla fine è alla sua vita che tutti hanno guardato quando si è trattato di scegliere se toglierle o meno ciò che aveva conquistato con tanta fatica. Un oro olimpico che resterà suo per sempre.

Ti potrebbe interessare

Esports alle Olimpiadi? No, pietà!
Papelitos
Leonardo Aresi
14 Marzo 2019

Esports alle Olimpiadi? No, pietà!

Impediamo ai nerds di mettere le mani sui Giochi.
La boxe cubana dopo Fidel
Altri Sport
Raffaele Scarpellini
30 Novembre 2022

La boxe cubana dopo Fidel

Una nuova rivoluzione, stavolta sportiva.
Se le Olimpiadi dividono
Altri Sport
Michele Larosa
12 Luglio 2024

Se le Olimpiadi dividono

Nessuno sta parlando dell'esclusione degli atleti russi.
Da Che Guevara a Che Flores
Papelitos
Federico Brasile
29 Ottobre 2023

Da Che Guevara a Che Flores

L'Angolo del Brasile, episodio XVIII.
Luigi Busà, il Gorilla d’Avola con l’oro al collo
Altri Sport
Antonio Aloi
07 Agosto 2021

Luigi Busà, il Gorilla d’Avola con l’oro al collo

Il primo karateka a vincere un oro olimpico è italiano.