Sofiane Boufal nasce a Parigi il 17 settembre del 1993. I genitori però sono marocchini, originari della meravigliosa Meknes, città che dal 1996 è diventata patrimonio dell’UNESCO, fondata dall’antica tribù berbera dei Miknasa che giocò un ruolo essenziale nella conquista islamica della penisola iberica. Sofiane, che non si sente francese ma marocchino, da bambino presenta qualità locomotorie fuori dal comune: una rapidità e un controllo del pallone che lasciano di sasso i dirigenti dell’Angers, che non esitano a integrarlo tra le file delle proprie giovanili. Magro, scuro, con gli occhi tipici della sua gente, “del colore dell’orizzonte quando arriva il vento che spira dal deserto”, il giovane Sofiane spicca per talento e irriverenza tra tutti i suoi compagni: a diciannove anni fa il suo esordio nella seconda divisone francese.
Nel contempo si è guadagnato un emblematico soprannome: l’enfant du dribble.
La continuità di prestazioni con l’Angers lo porta all’approdo nella massima serie, con il Lille, dove nell’annata 2015-16 (la sua miglior stagione) realizza 11 centri in 29 presenze. Questo impatto tremendo attira le attenzioni della Premier League, e nell’estate del 2016 Boufal viene acquistato dal Southampton per quasi diciannove milioni di euro – acquisto più costoso, all’epoca, della storia dei Saints. Oltremanica però Sofiane vive di alti e di bassi, non si ambienta mai del tutto. Il suo innato talento è insofferente alla continuità richiesta da un campionato iper-competitivo come la Premier League: spesso sprofonda, si sottrae, per poi riemergere purissimo con dei lampi abbacinanti.
Come il 21 ottobre del 2017, nella sfida contro il West Bromwich, con un gol da fuoriclasse assoluto che riassume tutte le sue qualità. Al minuto 87 Boufal parte dalla propria trequarti, resistendo alla vigoria fisica di Nyom e saltandolo, volteggiando su sé stesso. La porta avversaria dista settanta metri ma il fantasista non corre,vola palla al piede.Dribbla un altro difensore, Dawson, con una lestezza tale da far scontrare l’inglese con il compagno Nyom, che insegue il funambolico magrebino a perdifiato. Stordisce con un doppio passo il malcapitato nordirlandese McAuley e deposita il pallone in rete, calciando di mezzo interno, dando al pallone una rotazione fuori da ogni logica fisica. La prodezza è votata gol dell’anno in Premier e nominata gol del decennio dai tifosi dei Saints.
Con il Southampton mostra di cosa è capace, ma non riesce mai davvero ad incidere: gioca 59 partite in due anni, condite da 4 gol e 2 assist. Fino a che, nell’aprile 2018, si rifiuta di entrare in campo in un Southampton-Chelsea, con la squadra di casa in vantaggio per 2-0, e viene messo fuori rosa dall’allenatore Mark Hughes – la partita, per la cronaca, finisce con un rocambolesco 2-3 per i Blues. Una tempesta mediatica si scaglia contro Boufal: l’allenatore lo mette pubblicamente all’indice, e la sua avventura anglosassone termina quel giorno. Poco male.
Il talento di Boufal riemerge in Spagna, più vicino a casa, in una stagione al Celta Vigo segnata da 3 goal e 4 assist: ma non è da questi particolari, e da queste statistiche, che si giudica un calciatore come lui. Semmai da altri numeri, come quelli che lo incoronano miglior dribblatore della Liga 2019 davanti a un certo 10 del Barcellona, argentino, di nome Lionel Messi (144 i dribbling riusciti a Sofiane, 131 a Messi, 81 addirittura al terzo in classifica, Fabian Orellana). Quindi una mesta ricomparsa ai Saints e poi il ritorno alle radici, alla squadra che lo aveva cresciuto, l’Angers: qui Boufal torna pian piano a brillare con la sua classe cristallina, giocando con la solita anarchia, arroganza e strafottenza. Crescono anche gol e assist, rispettivamente 8 e 5 nella scorsa stagione, 3 e 3 in undici partite di quella in corso.
Perché lui è uno di quei giocatori, e ce ne sono stati diversi nella storia del calcio, che riescono a esprimere se stessi fino in fondo solo quando si sentono a casa.
In questo mondiale abbiamo perso la testa per lui, fin da quando ci ha stordito contro la Croazia: qui, accarezzando la palla d’interno sinistro e poi passandosela dietro il corpo con l’interno destro, il numero 17 manda per terra il pallone d’oro Luka Modric, che crolla come un pugile suonato. Le sfide con Belgio e Canada confermano le sensazioni, fino al colpo di fulmine decisivo in Marocco-Spagna: non immediato ma ragionato, razionale, coscienzioso e, proprio per questo, speciale.
Sofiane, contro gli Iberici, sfoggia una performance mastodontica, l’ultima pennellata di Dalì a La persistenza della memoria. I movimenti onirici del magrebino disorientano i difensori spagnoli: primo su tutti Marcos Llorente che, dopo l’ennesima finta di corpo del 17, oscilla, barcolla, come una nave in mezzo alla tempesta; come un toro giocato dal torero e dal suo drappo rosso, in questo caso con al centro la banda verde marocchina.
Noi, in quei 90 minuti, ci siamo innamorati definitivamente: fregandocene di tutto il resto, dei suoi numeri così come della sua età, del suo passato e delle sue “prospettive”. Boufal ha 29 anni, gioca nell’ultima in classifica in Ligue 1 (una squadra che ha fatto 8 punti in 15 partite) e probabilmente la sua carriera a livello di club l’ha già fatta. Ma il bello sta anche qui: Boufal è lo splendido trionfo dell’incompiutezza; è un amore vissuto e poi continuamente perduto. I critici ne sottolineano anche il temperamento ferino e l’incostanza, il fatto che su di lui non si possa davvero contare: tremendi bassi che seguono le luminose cime dei suoi alti. Ma non era forse Shakespeare a dire che “il miele più dolce diventa stucchevole per la sua eccessiva dolcezza: basta un assaggio per toglierne la voglia. Amatevi moderatamente, l’amore che dura fa così”.
Ecco Sofiane va preso moderatamente, alle sue condizioni: per continuare ad essere storditi, sempre e ancora sorpresi.
Il suo fascino sta nell’unicità, nel fatto di essere un dribblatore inimitabile. Boufal è nato per il dribbling, per sottrarsi, per evadere dal corpo a corpo e non concedersi mai: tanto agli avversari quanto alle statistiche e agli annuali. Divertito, divertente, irriverente, sfrontato. Non si limita a sfruttare la sua velocità in campo aperto. Non punta solo verso la porta. Sfida l’avversario, vis a vis, come in un duello cavalleresco. Prima scherzando con il pallone, poi con il suo corpo, muovendosi con ritmi tersicorei o, forse, come uno stregone, coltivando la virtù dell’inganno.
Una volta saltato l’uomo, non scarica palla o calcia verso la porta. Punta di nuovo i rivali, magari lo stesso, in un nuovo duello. Riparte, con un copione che non è mai simile alla precedente esibizione. Non con l’ansia arrivista di segnare, giungere avidamente al risultato, fatturare, come se il calcio non fosse altro che mera razionalità e logica in funzione del risultato. Ma come se il calcio e la vita in generale fossero un gioco. Magari anche con il desiderio, e la soddisfazione, di meravigliare chi lo guarda, di riempire gli occhi con un qualcosa di inedito. È un artista, il campo è il suo palcoscenico.
Come se non bastasse, dopo la vittoria con il Portogallo, Sofiane è stato protagonista della foto del mondiale, e per distacco. Foto che prima di diventare tale ed essere immortalata dalle telecamere era un romantico ballo con la madre, sul terreno verde dell’Education City Stadium. L’etica unita all’estetica. Una immagine insieme giovane e antica, leggera e profonda.
Questa sera, contro la Francia, Paese che lo ha ospitato ma che il giovane magrebino non ha mai sentito suo, va in scena un altro atto (speriamo non l’ultimo in questi Mondiali) dell’opera più lucente dell’artista Sofiane Boufal. Non ha nulla da dimostrare, perché la dimostrazione in sé sarebbe come mercificare la sua arte che, come la poesia, non può essere circoscritta al valore economico. Ma siamo sicuri che il 17 troverà il modo per farci sobbalzare ancora dal divano e brindare sotto il segno della bellezza. Troverà il modo (una veronica, un movimento di corpo, un paso doble, chissà) per stupirci di nuovo e farci innamorare ancora. Ed è importante farlo, nel calcio, come nella vita.