Critica
26 Giugno 2024

Il cerchietto alla testa

Cosa significa il revivalismo del pallone nei confronti degli anni Duemila.

Nel bel mezzo degli Europei, Nike ha annunciato le reissue delle sue Total 90 III: il modello di scarpe, sia da calcio che da leisure, introdotto nel 2004 e che all’epoca vide come testimonial d’eccezione Luis Figo, Roberto Carlos e un giovane Fernando Torres.

Un’operazione dal meccanismo assodato, in cui la nostalgia ventennale, più iconografica che estetica, può concedersi di fare anche a meno del buon gusto. Come ha tenuto a ribadire anche Adidas, con una serie di kit che vogliono strizzare l’occhio ai template usati per i mondiali del 2006. Tra questi, quello dell’Italia con tanto di errore vessillologico, come riportato a Il Fatto Quotidiano dall’esperto di araldica Mario Carassai, che ha denunciato l’inversione del rosso con il verde nelle tre strisce sulle maniche della divisa.

Forse un modo per vendicarsi della Coppa del Mondo persa in casa, forse un modo per venire incontro all’abitudine di due italiani su tre di appendere il tricolore al contrario dai loro balconi durante Europei e Mondiali. Abitudine che, per altro, non è venuta meno neanche durante l’ostensione della bandiera palestinese sul Duomo di Milano.

A liberarci dal giogo della retromania y2k, ci ha pensato per fortuna Calafiori. O meglio, il nastrino nei capelli di Calafiori, che deve aver preso un po’ troppo sul serio i paragoni con Maldini e Nesta di certa stampa ebbra da qualificazione europea del Bologna.

Il nastrino di Calafiori torna a sollevare una domanda che ci tormenta da due decenni: come hanno potuto, prima degli anni Duemila, fior di campioni (sul campo e al bancone) eccellere nella loro disciplina con i capelli lunghi, spesso fino alle spalle? Senza cerchietti, fascette, senza gel dall’effetto bagnato.

Il punto, a ben guardare, è un altro ancora. Non è forse il cerchietto, la cifra più identificativa del calcio italiano di inizio millennio? Più della linea Kombat di Kappa, più dell’adagio juventino “ahhh, se c’era Nedved”, più di Calciopoli e del mondiale tedesco. Lo fu così tanto da diventare una parodia – tanto atroce quanto emblematica – di Ficarra e Picone, il primo con i capelli lunghi, unti, divisi a metà sulla fronte e tenuti in posa dal cerchietto, il secondo a lamentarsi di infortuni da nulla in una parodia di un certo divismo mondano di molte star del pallone ai tempi di cerchietti e magliette Sweet Years.

Comicità di inizio millennio a cui Calafiori ha tenuto a riportarci, con la sua rocambolesca autorete, che tanto ha ricordato le seconde serate passate a ridere sui lisci di Mai Dire Gol. Per fortuna ci hanno pensato i croati. A redimere Calafiori, ma soprattutto l’Italia dall’onta schierando non uno, ma addirittura due cerchietti alla testa (il secondo, per altro, sosia tracagnotto di Modric). Non è forse, in fondo, una coincidenza che in cima alla classifica marcatori di Euro 2024 ci siano proprio gli autogol. Nostalgia canaglia d’inizio millennio.

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