9 marzo 2003. A “La Fortaleza”, cancha di Lanús, si gioca una delle partite più sentite sul pianeta: il Clásico de Avellaneda. Il Racing è avanti per 1 a 0 quando il numero 37 in maglia albiceleste – il giovane Juan Manuel Torres – si invola pericolosamente verso la porta avversaria; a questo punto il difensore del Rojo Gabi Milito, nei pressi del limite della sua area di rigore, decide di atterrarlo da dietro con un placcaggio irregolare: punizione dal limite per La Academia.
Il direttore di gara, Horacio Elizondo, estrae senza esitazione il cartellino giallo ma Diego Milito, attaccante e tifoso del Racing che si trova nei paraggi, lo raggiunge come una furia chiedendo in maniera veemente l’espulsione dell’avversario-parente. A quel punto lo spirito di fratellanza era stato ampiamente surclassato dall’agonismo (o per meglio dire antagonismo) sportivo, e così Gabi va subito a protestare con il fratello maggiore. Volano parole forti e insulti di tutti i tipi. A Gabi scappa anche la classica espressione locale:
«la concha de tu madre».
Diego, di tutta risposta
«es la misma que la tuya, loco»
ricordandogli che si trattava della stessa genitrice. Il battibecco infuocato prosegue finché l’arbitro, insegnante di educazione fisica di entrambi alle elementari, decide di intervenire per separare i due litiganti e porre fine al diverbio. Storie che solo il calcio sudamericano sa regalare.
Lo stupefatto Elizondo mostra la tarjeta amarilla a Gabi, ma il diverbio paradossale tra i due fratelli Milito rimarrà uno degli aneddoti più curiosi della sua ottima carriera arbitrale.
Il bizzarro episodio è emblematico della follia che alimenta questa storica rivalità, un sentimento viscerale che prevale persino sui legami di sangue. Le due squadre sono il cuore e l’anima di Avellaneda, città portuale al confine sud di Buenos Aires. Sono l’identificazione massima di ogni suo cittadino, e rappresentano i due poli contrapposti che rendono a quelle latitudini l’aria così elettrizzante.
Come in quasi qualsiasi parte del mondo, il fatto di condividere lo stesso quartiere o la stessa città inasprisce la già forte rivalità tra le parti. Ma ad Avellaneda c’è un particolare che aumenta esponenzialmente il sentimento di ostilità: il “Juan Domingo Perón” del Racing, che tutti conoscono come El Cilindro, e La Doble Visera dell’Independiente, ribattezzato “Libertadores de América” dopo la ristrutturazione del 2005 si trovano a soli 300 metri di distanza. Pur così vicini, sono il simbolo di due mondi lontanissimi e contrapposti.
La strabiliante vista aerea di Avellaneda. I due stadi, quello rosso la Doble Visera dell’Independiente e quello azzurro El Cilindro del Racing, sono divisi solo da una strada. Quella strada si chiama per metà Avenida Bochini e per metà Avenida Milito. Divisi in tutto, sempre.
Nel 1967 il Racing Club de Avellaneda diventa la seconda squadra argentina a vincere la Copa Libertadores – seconda proprio all’Independiente che la vince nel ’64 e nel ’65 -, ma poco dopo è anche la prima a vincere la Coppa Intercontinentale battendo gli scozzesi del Celtic. Da qui deriva uno dei suoi soprannomi, El Primer Grande. Era inimmaginabile che proprio questo trionfo sancisse l’inizio di una pluridecennale sfortuna che ebbe fine solo nel 2001, anno in cui La Academia tornò sul tetto d’Argentina dopo 35 anni di digiuno. Infatti, dopo che gli odiati rivali vinsero l’ambito trofeo intercontinentale, alcuni tifosi dell’Independiente si resero protagonisti di un gesto che rimane a metà tra mito e leggenda: si intrufolarono nel Cilindro einterrarono nel campo le carcasse di 7 gatti neri con il chiaro intento di portare iella all’intero universo Racinguista, profanandone la casa.
Questo gesto è passato alla storia come la Maldición de los Siete Gatos, ed effettivamente riuscì nell’intento.
Le sventure non tardarono quindi ad arrivare: già nel 1970 si consumò una tragedia sportiva tutt’ora indelebile nella storia del Racing. Alla vigilia dell’ultima giornata del Torneo Metropolitano l’Independiente si trova in cima alla classifica a pari merito con il River Plate: la compagine di Nuñez deve affrontare l’Unión de Santa Fe – sconfitta venerdì 24 luglio con un sonoro 6 a 0 al “Monumental” – mentre il Rojo deve vedersela in trasferta proprio contro il Racing nell’incontro domenicale. La partita, inizialmente rinviata a causa della pioggia torrenziale, si disputa lunedì 27 luglio 1970.
I padroni di casa passano in vantaggio con il Chino Benítez, ma poco dopo l’arbitro concede un rigore a favore degli ospiti. Sul dischetto si presenta Anibál Tarabini che per ben due volte si fa ipnotizzare da Agustín Cejas; in entrambe le occasioni, però, il direttore di gara fa ripetere il penalty, ritenendo che l’estremo difensore si fosse mosso in avanti anzitempo. Al terzo tentativo Tarabini segna il gol del momentaneo pareggio, scatenando la furia dei tifosi presenti allo stadio.
“El tipo puede cambiar de todo: de cara, de casa, de familia, de novia, de religión, de Dios… pero hay una cosa que no puede cambiar… de pasión”. Il Cilindro e il Racing sono protagonisti anche di una delle scene più significative della splendida pellicola El Secreto de sus Ojos, di J. Campanella. Qui un dettaglio del suo azzurro che si confonde nel cielo di Avellaneda (Credits: Vito Alberto Amendolara / riproduzione riservata)
Nel caos più totale, il finale di primo tempo ripropone lo stesso copione: Racing di nuovo in vantaggio con Perfumo e Independiente che pareggia con Maglioni. Ma nei minuti finali di gara ecco la svolta: Chirola Yazalde segna il definitivo 2 a 3 per il Rojo che, ritrovandosi a pari punti con il River e avendo la stessa differenza reti, si laurea campione di Argentina grazie al maggior numero di gol segnati, 43 contro i 42 dei Millonarios.
Dopo aver vissuto sulla pelle il trionfo dei rivali di sempre nella propria casa, la tendenza degli anni successivi rimane invariata.
Il Racing continua a non aggiungere trofei alla propria bacheca mentre l’independiente spicca il volo anche a livello internazionale. Gli anni ’70 sono infatti un’epoca d’oro in cui, capitanati dalla formidabile coppia d’attacco Bochini-Bertoni, i “rossi” di Avellaneda riescono a vincere ben quattro Libertadores consecutive tra il ’72 e il ’75, oltre alla tanto agognata e storica Coppa Intercontinentale del 1973, vinta ai danni della Juventus (per inciso, la Juve disputò tale gara al posto dell’Ajax che, pur avendo vinto quell’edizione della Coppa dei Campioni, rinunciò a partecipare a causa – ufficialmente – di problemi finanziari, anche se il vero motivo non è mai emerso).
La maledizione non ne volle sapere di interrompersi e il 22 dicembre 1983, esattamente dodici giorni dopo il ritorno della democrazia in Argentina, la storia del Racing venne macchiata da un’altra pesante disfatta. Quell’anno il cammino delle due squadre fu diametralmente opposto: Il Racing era matematicamente retrocesso alla penultima giornata. Al contrario, i «diavoli rossi» stavano lottando per il titolo assieme a San Lorenzo e Ferro. Il calendario prevedeva che l’ultima partita stagionale fosse proprio il Clásico, da disputarsi a La Doble Visera e quel giorno, dopo la secca vittoria per 2 a 0 dei padroni di casa, Avellaneda si spaccò a metà tra chi festeggiava la vittoria del campionato e chi partecipava al funerale per la prima retrocessione della sua storia.
Ricardo Bochini è il massimo idolo del popolo Rojo, e quello personale di Diego Armando Maradona.
L’anno successivo, l’ormai soprannominato Rey de Copas vince la 7ª Libertadores, mentre i biancocelesti di Avellaneda non riescono a tornare in prima divisione al primo colpo. Dovranno aspettare il 1985 e l’arrivo del Coco Basile sulla propria panchina per ritornare tra i grandi, senza comunque riuscire in seguito a raggiungere i risultati sperati. Per rompere definitivamente il maleficio, il Racing aspetterà fino al 27 dicembre 2001.
L’Argentina era un Paese devastato dalla crisi economica, politica e sociale e incendi e saccheggi erano all’ordine del giorno. Le proteste si intensificarono sempre di più, fino a che il presidente Fernando de la Rúa dichiarò lo stato d’assedio sei giorni prima di Natale. In quel clima pesante, a soli due giorni dall’ultima partita di campionato e con La Academia che si gioca il titolo con il River di Ramón Díaz, le manifestazioni di piazza furono represse nel sangue: morirono 39 cittadini e poco dopo il Presidente rassegnò le dimissioni e scappò in elicottero dalla Casa Rosada, lasciando il Paese in preda al delirio.
Il fútbol passò inevitabilmente in secondo piano e la conclusione della stagione sembrò essere rimandata al 2002. Invece, inaspettatamente, l’ultima di campionato si disputò solamente 7 giorni dopo quei tragici avvenimenti, il 27. Così quel giorno i tifosi del Racing invasero il “José Amalfitani” per assistere all’incontro decisivo contro il Velez. Quelli che non riuscirono a prendere i biglietti riempirono invece il Cilindro, aperto al pubblico con un maxi schermo per l’occasione.
Il Club di Avellaneda è stato così il primo a riempire due stadiper la stessa partita, una partita in cui a La Academia bastava un pareggio per essere campione e che vide il Velez riportare il punteggio in parità dopo il gol del vantaggio di Loeschbor, in chiara posizione irregolare. Al 92esimo Campagnuolo, il portiere del Racing, si ritrovò con la palla in mano e gridò all’arbitro Brazenas:
«Quanto manca? Non vedi come sta questa gente?»
indicando il pubblico euforico sulle tribune. Il direttore di gara rispose: «Calcia il pallone e fischio la fine». Così fu, e il popolo racinguistapoteva finalmente festeggiare il titolo tanto atteso nel bel mezzo di una crisi nazionale senza precedenti.
Nel 2001 e poi nel 2014, i titoli del Racing hanno il graffio del grande Idolo del popolo del Racing: Diego Milito.
Nel 2013 è toccato all’Independiente subire la soffertissima prima retrocessione della sua storia e, ironia della sorte, l’anno successivo il Racing è tornato a essere campione d’Argentina 13 anni dopo il successo del 2001. A consegnargli il trionfo sempre il suo idolo – appena tornato dalla lunga e trionfale esperienza europea – Diego Milito.
L’importanza del Clásico si può riassumere nel fatto che Avellaneda fa parte – insieme a Buenos Aires, Madrid, Milano e Montevideo – delle cinque uniche città in cui entrambe le squadre hanno raggiunto la vetta del mondo calcistico. La storia dei due club è un continuo intreccio di gioie e dolori e di ricerca di supremazia.
Come in molti derby del mondo, la stagione si giudica positiva o negativa in base ai risultati ottenuti contro il rivale di sempre, piuttosto che per i trofei. Ad Avellaneda il calcio non è solo uno sport, bensì una questione di identità. Prima del nome, ti viene chiesto se sei dell’Independiente o del Racing. È una scelta di vitale importanza, anzi una questione di nascita, originaria e pre-razionale: è l’essenza del calcio, sottratta ad ogni logica e a qualsiasi convenienza.