Storia vera di Cesare Prandelli.
La fine della corsa è annunciata al 71° di un anonimo Sampdoria-Fiorentina, in un match infilato dentro la desolante cornice di un’annata a porte chiuse. Un silenzio assordante, quello di Marassi, a fare da eco alla solitudine e allo spaesamento di un Cesare Prandelli giunto al capolinea del suo viaggio, tra campo e panchina, lungo oltre quarant’anni. Qui, “una spaventosa sensazione di vuoto”, seguita al gol blucerchiato di Quagliarella e manifestatasi in una carenza di fiato, sarà il sintomo di quel malessere covato da alcuni mesi, o meglio di un “assurdo disagio” e di “un’ombra” crescente dentro di sé, per dirla con le parole usate dello stesso Cesare nella sua lettera ufficiale di dimissioni, vergata a cuore aperto un mese dopo la partita di Genova.
“Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la vita non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.
Sito ufficiale Fiorentina, 23 marzo 2021
Neanche a farlo apposta, in quella primavera di tre anni fa, il disagio particolare del mister bresciano anticipa quello universale di un’Europa calcistica che assisterà, e reagirà, nel mese di aprile al progetto della Superlega, presto naufragato (per ora), annunciato nottetempo da un’élite di dodici potenze del Vecchio Continente. Insomma, pur non essendo strettamente correlate le due vicende, un’ulteriore spia rossa a segnalare lo iato sempre più profondo tra la velocità di un treno in corsa e un ritmo a passo d’uomo.
Un’andatura, quella di Prandelli, che durante la fase più acuta della pandemia si traduceva nella potatura degli ulivi, nella casa di Firenze, e in altre attività legate al giardinaggio, cercando un’occupazione e un ristoro per la mente, anche per non farsi travolgere dal dolore per la scomparsa di molti amici del paese natale, in quel di Orzinuovi.
La città gigliata, dunque, quale ultima tappa di un viaggio in cui dare ai rapporti umani e agli affetti familiari, anche nella fase ascendente della carriera, una priorità rispetto al calcio. Firenze quale capitolo imprescindibile e luogo dell’anima sin dal 2005, quando la città aveva abbracciato Cesare in seguito a una stagione di stop forzato.
Lì la vita aveva suggerito che la scelta migliore fosse rinunciare alla panchina della Roma per stare vicino a sua moglie Manuela, sottoposta a pesanti cure a causa di una grave malattia che l’avrebbe portata via pochi anni dopo. Nonostante il dolore come compagno di strada, in quei giorni Prandelli avrebbe dovuto ancora scrivere il meglio della sua storia viola e di una carriera che l’avrebbe condotto fino al soglio azzurro di Coverciano.