Per il ct azzurro il problema della nazionale è lo scarso utilizzo dei giovani.
Dove sono finiti i giovani calciatori italiani? O meglio: dove sono quelli forti? È di nuovo quella parte dell’anno che tra calciomercato, verdetti stagionali e sogni di un campionato che verrà trova il tempo di polemizzare sullo scarso utilizzo degli italiani nel nostro calcio. Walter Sabatini è stato intervistato da Repubblica (anche) sulla questione dei tanti (e giovani) stranieri nel nostro campionato. Lo sciamano profeta visionario ds della Salernitana ha detto:
«Basta con questa storia: se ci fossero italiani bravi, giocherebbero! Se l’Udinese che è una società saggia mette in campo 8-9 stranieri non è perché trascura i giovani, ma perché gli stranieri hanno più qualità. Smettiamola con questi slogan. L’Italia non vai ai Mondiali, e mi dispiace, non perché non fa esordire i giovani, ma perché ha giocato male, i titolari hanno sbagliato i rigori e perché la condizione atletica era scarsa». Dio lo benedica.
Certo, i manciniani si appelleranno al celeberrimo Decreto Crescita introdotto nel 2019 – dal maggio di quell’anno, acquistando un giocatore che nei due anni precedenti era stato all’estero si poteva risparmiare il 50% dell’ingaggio – e andranno a spulciare gli archivi del calcio inglese, spagnolo, tedesco, uzbeko, pur di indicare il “modello” (parola insopportabile) da cui ripartire. L’Italia è fuori dal mondiale per la seconda volta in otto anni, ma la colpa è degli allenatori e dei ds che non fanno crescere il talento made in Italy. Uscire con la Macedonia del Nord è senz’altro dovuto alla congenita gerontocrazia del Belpaese!
Insomma, se i dati confermano come l’aumento degli stranieri nel nostro calcio sia una tendenza inarrestabile – nel 2017-18 in Serie A 241 italiani e 292 stranieri, nel 2021-22 sempre in Serie A 213 italiani e 368 stranieri – è bene farsi due domande sul perché di questi dati anziché puntare il dito contro allenatori e dirigenze dei club. Caressa tempo fa parlava del rischio di impresa, nel senso che far giocare un ragazzo giovane quando devi portare a casa la pagnotta – discorso tipicamente italiano (bleah!) – non è scontato. Magari non significa nulla, ma il Genoa e il Cagliari sono due delle tre squadre (con l’Empoli) della nostra Serie A ad aver fatto giocare più minuti nel campionato ai calciatori italiani (54,12 e 60,22). Sono entrambe malamente retrocesse.
Perché Sabatini, che doveva salvare la Salernitana in pochi mesi e in una situazione prossima alla disperazione, ha puntato quasi solo su ragazzi (giovani e vecchi) stranieri, anziché italiani (escluso Verdi)? Probabilmente perché il suo occhio, dopo una rapidissima panoramica, ha visto altrove lo scintillio. Probabilmente, anche se questo Sabatini non lo dice, perché i prezzi che le società italiane appendono sui calciatori italiani (soprattutto le giovani promesse) sono altissimi, spesso inaccessibili.
Roberto Mancini, commentando lo stage azzurro degli scorsi giorni con 50 nuovi giovani italiani, ha detto: «I tre giorni sono stati ottimi, abbiamo visto più di 50 giocatori e quasi tutti bravi, con un grande futuro. Speriamo abbiano la possibilità di giocare. […] Alcuni sono molto bravi, come è possibile che non giochino in una squadra di Serie A? Per noi può essere molto utile». Tre giorni, più di cinquanta giocatori – sottoposti a chissà quali difficoltà prestazionali – e il solito, stucchevole ritornello criticato da Sabatini.
Il quale evidentemente non è l’unico a pensarla così. Solo nelle ultime ore, si sono espressi sul tema anche Saverio Sticchi Damiani e Pantaleo Corvino (maestro del mestiere), rispettivamente presidente e responsabile dell’area tecnica del Lecce. Il primo, commentando la salvezza della primavera del Lecce, ha detto: «Troppi stranieri? È una polemica che non ha alcun fondamento. Credo che la qualità trovi sempre spazio, a prescindere dal luogo di nascita». Con altrettanto pragmatismo è intervenuto anche Corvino, che ha detto:
«Negli ultimi due anni nessun salentino è emerso, non solo salentino nel Lecce ma anche salentino negli altri club. Io sono legato al mio territorio, ho creato una scuola calcio qui ed erano presenti Milanese dell’Alessandria e Oltremarini e Milli che sono nella nostra primavera. Io ho trovato poco e per far crescere il nostro settore giovanile ho dovuto guardare altrove. Noi non siamo una scuola calcio, devo portare risultati. La faremo la scuola calcio, ma noi abbiamo degli investimenti. Dobbiamo lavorare per produrre calciatori da Serie A, non da Lega Pro». Vaglielo a spiegare a Mancini, che nonostante il più grande fallimento della nostra nazionale nella sua storia continua a ripetere gli stessi noiosi e inutili ritornelli: no, il problema non sono le società di Serie A, il problema è il movimento tutto. Dopo la debacle palermitana, si parlava di rivoluzioni: chi ha fallito è rimasto al suo posto, forse perché in nazionale i risultati contano fino a un certo punto. Altro che giovani promesse.