Calciatore, allenatore, rockstar: un personaggio straordinario.
L’Argentina è da sempre terra di soprannomi e fantasie così grandi da entrare come protagoniste nella vita di tutti i giorni. Un costante realismo magico che passa per le mani di poeti come Borges per arrivare alle figure più amate e seguite dei nostri tempi, i giocatori di calcio. In questa fetta di mondo nasce German Burgos, detto El Mono (la scimmia): una figura così grande che, per non fuoriuscire dai confini della realtà, ha dovuto vivere tre vite. Calciatore, allenatore, rockstar.
Germán Adrián Ramón Burgos nasce il 16 aprile 1969 a Mar del Plata, cittadina della provincia di Buenos Aires, dove muove i primi passi come portiere della squadra del barrio di Caballito, il Ferro Carril Oeste. Qui il destino di Burgos si incrocia con Carlos Griguol, allenatore leggendario con una carriera trentennale alle spalle, così amato e stimato in Argentina da meritare poco tempo fa (in occasione dei suoi 82 anni) una statua in suo onore.
Ebbene l’eredità di Carlos Griguol nei confronti del Burgos non è né di carattere tecnico né tattico, bensì nasce da una incomprensione che dà origine al suo soprannome. L’allenatore infatti, vista l’imponente stazza di Burgos e le sue caratteristiche da tipico portiere sudamericano, voleva soprannominarlo “il gorilla”, per poi ritrattare (anche chissà intimorito) e ribattezzarlo definitivamente come tutti noi oggi lo conosciamo: “El Mono” Burgos. Dopo un centinaio di presenze German firma il suo primo grande contratto. È il 1994 quando inizia a vestire la gloriosa casacca del River Plate – che lo accompagnerà fino al 1999 – facendo parte del penultimo River Plate capace di conquistare la Libertadores.
In quella squadra c’erano giocatori poi divenuti leggendari come Matìas Almeyda, Pablo ‘El Payaso’ Aimar, Enzo ‘El Principe’ Francescoli, Marcelo Gallardo (allenatore dell’ultimo River capace dell’impresa, nel 2015), Ariel Ortega, Santiago Solari ed Hernan ‘Valdanito’ Crespo. Due sono gli aneddoti più curiosi della sua permanenza alla corte delle Gallinas. Il primo sicuramente è il soprannome affibbiato, questa volta da Burgos stesso, al giovane compagno Javier Saviola, che divenne così per sempre El Conejo.
L’altro è un gol subito da centrocampo: apparentemente nulla di così strano, eppure quasi mai l’autore della rete è proprio il portiere avversario. Ciò invece si verificò durante il Clausura del 1996, nella partita tra il Velèz Sarsfield e il River Plate, quando José Luis Chilavert segnò forse il più bello dei suoi 64 gol in carriera.
In 94 presenze Burgos riesce ad impreziosire il suo palmares con cinque campionati (quattro volte la Apertura e una volta la Clausura), una Supercopa Sudamericana e soprattutto la Libertadores del 1996 nella doppia finale contro i colombiani dell’América de Cali, vinta anche grazie al suo rigore parato nella partita d’andata (finita soltanto 1-0).
L’Europa diventa così meta inevitabile nel destino del Mono, e più precisamente la Spagna, dove milita prima nel Mallorca e poi nell’Atletico Madrid. I Colchoneros ai tempi erano relegati nella Segunda División, ma guidati da Luis Aragonés, e grazie soprattutto ad un giovane Torres, riescono a risalire in Liga vincendo il campionato cadetto. Uno degli episodi che rimarrà per sempre nel cuore dei tifosi madrileni è però legato a Burgos: parliamo del rigore parato a Luis Figo nel derby al Santiago Bernabeu. Un colpo non di reni, bensì di faccia.
Nel 2003 gli viene quindi diagnosticato un cancro ai reni, dal quale Burgos esce come al solito da combattente e vincitore. Un incidente di percorso, che comunque non gli fa dimenticare il campo.
“German, hai comunicato al mister il tuo stato di salute?”
“Quando giochiamo, domenica? Glielo dirò Lunedì”
Passa un anno e la carriera del Mono arriva alla fine. Eppure è la fine solo per quanto riguarda la prima delle sue tre vite. Durante gli anni all’Atletico German aveva stretto un sincero rapporto di amicizia e stima reciproca con Diego Simeone, suo compagno di squadra anch’egli a fine carriera. Il Cholo si ricorderà dell’amico durante la prima grande esperienza europea da allenatore: al Catania infatti i due si ritrovano (Burgos diventerà il suo vice) e danno vita a quella che diventerà una delle migliori coppie in panchina del calcio contemporaneo, nonché alla seconda vita del Mono.
Dopo la Sicilia sarà il turno del Racing Club de Avellaneda, per poi fare finalmente ritorno a casa: stadio Vicente Calderòn, Club Atlético de Madrid. Dietro al tanto decantato Cholismo c’è forte la mano di Burgos, vero e proprio collante tra Simeone e i calciatori, consigliere e amico, ma soprattutto grande conoscitore di specifici aspetti del gioco, come i calci piazzati. Qui l’obiettivo non è tanto quello di servire in maniera diretta un calciatore che concluda a rete, ma bisogna innanzitutto depistare la marcatura a zona avversaria. Per fare ciò, Burgos manda tanti giocatori a creare densità sul palo verso il quale non è diretto il pallone (es: sul primo palo), per poi liberare un uomo sull’altro (spesso Koke risulta il più efficace per il gioco di sponda) e servire in seconda battuta tutti i colpitori, pronti su quel secondo palo in cui viene meno una marcatura a zona ben organizzata. Grande stratega insomma, ma anche molto legato adinnovazione e tecnologia.
Il 13 Aprile 2014 per esempio, durante Atletico Madrid – Getafe (0-2), si presenta in panchina con la solita faccia minacciosa di sempre, eppure sembra avere qualcosa di diverso. Sono i Google Glasses, prototipo di realtà aumentata, che nel caso specifico registrano e aggiornano in tempo reale ogni singolo dato della partita in corso. In questo modo, senza perdere di vista neanche per un attimo lo sviluppo del gioco, si possono controllare dati (confrontandoli anche con quelli della precedente partita) e correggere eventuali errori della squadra in corso d’opera, senza bisogno di un’analisi successiva.
Le vite di Burgos però sono tre, di cui una parallela a tutte le altre e forse inaspettata: la rockstar. Nel 1992 con il suo amico e chitarrista Oscar Kamienomosky fonda “La Piara”, cover band di tutto ciò che il giovane German ascoltava sin da bambino; dal rock dei Rolling Stones a quello delle band locali come i Ratones Paranoicos o artisti del livello di Pappo (uno dei migliori chitarristi della storia, a detta di B.B. King). Da lì al primo disco il passo è breve: nel giro di sei anni esce prima Jaque al Rey, album d’esordio degli allora “Simpatia”, e poi Fasolera de Tribunas. Entrambi con una line-up sempre nuova, che mantiene però ovviamente Burgos come frontman e leader carismatico.
Da qui in poi la sua carriera artistica è una ascesa continua, prima con l’ultimo e definitivo cambio di nome in “The Garb”, poi con la registrazione in studio di un nuovo album (con corrispettivo disco live) che si allontana dalle influenze blues rock (con chiari richiami ai The Doors) per virare verso un rock più duro e una formazione che cambia a seconda del continente dove si esibiscono. Insomma, dentro e fuori dal campo, davvero una rockstar totale.
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