ll meraviglioso cammino della nazionale croata nel mondiale di Francia 98. Una squadra (e una Nazione) che dieci anni prima nemmeno esisteva.
A quella competizione vollero partecipare proprio tutti, furono ben 174 le nazionali ad iscriversi. Diverse le novità presentate in quell’edizione: l’allargamento a 32 squadre, l’introduzione del golden goal, l’espulsione per il fallo da tergo, la possibilità di effettuare tre sostituzioni e i pannelli luminosi per indicare i minuti di recupero. Tutto il mondo aspettava quel torneo per la consacrazione del ragazzo brasiliano dalla testa rasata, nonostante avesse soltanto ventun anni; Ronaldo era considerato il migliore al mondo, e quell’estate doveva dimostrarlo. Tuttavia le cose non andarono come previsto. Il torneo verrà ricordato per la vittoria francese, proprio ai danni del Brasile e di un Ronaldo irriconoscibile in finale a causa del malore avuto la sera prima della gara; ma anche per la colonna sonora di Ricky Martin, lo storico incontro tra Stati Uniti e Iran, le espulsioni di Beckham e Zidane – rispettivamente contro Argentina e Arabia Saudita – la traversa di Di Biagio e soprattutto il capolavoro della debuttante Croazia. La nascita dello Stato croato è direttamente collegata alla dissoluzione della Jugoslavia, e in seguito a quell’avvenimento storico furono Slovenia e Croazia le prime repubbliche a dichiarare la propria indipendenza. In entrambe questa volontà indipendentista diede vita allo scontro militare, ma se in Slovenia il tutto durò pochi giorni, in Croazia le tensioni si dilungarono maggiormente e furono più violente, soprattutto per la presenza della comunità serba nel territorio croato.
Ottenuta l’indipendenza il 25 giugno del 1991 venne formato un governo, emanata una costituzione, e ovviamente costituita una nazionale di calcio, anche se non era la prima volta per i croati. Una rappresentativa era già esistita durante il periodo della seconda guerra mondiale, quando grazie all’appoggio italo-tedesco la Croazia diede vita a uno stato indipendente presieduto da Ante Pavelić. Quella squadra giocò solamente sedici partite, e dopo la fine del conflitto divenne parte della Jugoslavia. Dopo la conclusione dello scontro militare, la popolazione croata poteva finalmente vivere tra i confini che aveva sempre considerato propri, con una bandiera e dei colori da difendere a livello internazionale.
“Giocare per la Jugoslavia non significava niente. Era soltanto sport, nient’altro. Ora ciò che provo è incomparabile”. Igor Štimac.
Anche i primi passi della rappresentativa a scacchi bianco-rossi furono intrecciati agli ultimi istanti di vita della nazionale jugoslava. Un anno dopo il riconoscimento dell’indipendenza, l’UEFA dichiarò definitivamente la morte della Jugoslavia sportiva, con l’invio di un fax che riportava le seguenti parole: «In osservanza della risoluzione 757 del consiglio di sicurezza delle nazioni unite, la Jugoslavia non potrà essere accettata in alcuna competizione sportiva». Venne così impedito agli jugoslavi di partecipare all’Europeo del 1992, permettendo il ripescaggio della Danimarca, la quale si laureò campione d’Europa. Proprio contro i danesi, quattro anni dopo, la Croazia iniziò a mostrare al mondo il proprio potenziale, sconfiggendo i campioni europei in carica con un netto tre a zero.
Il primo torneo continentale per i croati si concluse ai quarti di finale, sconfitti dai tedeschi, che si sarebbero laureati campioni. Il commissario tecnico di quella rappresentativa era Miroslav Blažević, un soggetto piuttosto particolare. Un croato di Bosnia nato a Travnik e amico personale di Tudjman, col quale condivideva idee politiche, arrivando persino a dichiarare – in una delle sue incursioni nel mondo politico – il suo sostegno ad Ahmadinejad. Il commissario tecnico era inoltre un tipo molto superstizioso, tanto da presentarsi in ritardo alla conferenza stampa prima del match con la Francia in attesa dell’oroscopo, scusandosi con i giornalisti e dicendo loro che stava guardando il film Sette anni in Tibet; inoltre, da buon appassionato di vini, fu lui a decidere che il ritiro della squadra dovesse essere nella regione del Beaujoulais, noto vino della zona del Rodano.
Miroslav Blažević con il diploma del terzo posto.
Schierò i suoi uomini con un 3-5-2. In porta Ladic, i tre difensori erano Simic, Bilić (attuale allenatore del West Ham) e Štimac, colui che qualche anno prima aveva augurato a Mihajlovic la morte dei suoi genitori: «Prego Dio che i nostri uccidano i tuoi a Borovo» . I due esterni di centrocampo erano Jarni e Stanić, i due mediani Soldo e Asanovic, e nel reparto offensivo c’era da stropicciarsi gli occhi. Dietro alle punte il numero dieci, il capitano, l’orgoglio nazionale: Zvonimir Boban. Non gli fu difficile dimostrare l’amore nei confronti della patria, gli bastò quel calcio al poliziotto nella partita mai giocata di otto anni prima. Le due punte erano Šuker, fresco campione d’Europa con il Real Madrid e Vlaović (i tifosi del Padova se lo ricorderanno).
“Fumare in Europa è normale. Ai miei tempi in nazionale, nel ’98, eravamo una decina di fumatori. Cosa ci diceva il Ct? Niente, ce ne scroccava una perché non ne aveva mai!” Slaven Bilić
La prima partita del girone di qualificazione fu contro un’altra debuttante, la Giamaica. Rispetto alla formazione tipo al posto di Vlaović giocò Prosinečki, uno dei pochi ad aver disputato i mondiali con due casacche diverse, per la Jugoslavia nel 90’ e per la Croazia nel 98’ e nel 2002. Fu Mario Stanić a sbloccare la gara, con un tocco facile sotto porta, ma la Giamaica pareggiò all’ultimo minuto del primo tempo con un bel colpo di testa di Earle. La ripresa incominciò con un vero e proprio capolavoro di Prosinečki.
Semplice, no?
A venti dal termine Šuker mise la parola fine al match. La seconda gara contro il Giappone si rivelò più ostica per la Croazia, che riuscì ad agguantare i tre punti con il risultato di uno a zero grazie alla rete di Šuker. Nella terza partita, valevole per il primato del girone, i croati vennero sconfitti dall’Argentina per una rete e zero. Agli ottavi di finale una sfida tutta balcanica contro la Romania di Hagi: i romeni si presentarono alla gara con i capelli tinti per festeggiare la qualificazione, e con un atteggiamento altezzoso. Fu la Croazia a dominare la partita e a passare in vantaggio nel primo tempo grazie al rigore di Šuker – il numero nove spiazzò Stelea, l’arbitro fece ripetere il penalty e il croato non sbagliò neanche la seconda volta. La terza rete dell’attaccante nel torneo aprì le porte dei quarti, dove si ripresentò la sfida di due anni prima: Croazia-Germania. Il finale sembrava già scritto, ma la partita prese tutt’altra direzione. Fatale per i tedeschi fu il cartellino rosso di Worns, che si fece buttare fuori nel primo tempo, per una brutta entrata ai danni di Šuker . I croati si presero la loro personale rivincita, vincendo per tre a zero grazie alle reti di Jarni, Vlaović e del solito Šuker.
Il protagonista assoluto di quella nazionale
In semifinale trovarono i padroni di casa, i quali, convinti di sbarazzarsi facilmente della nazionale con la maglia a scacchi, dovettero sudare più del previsto. Il primo tempo fu dominato dai transalpini, che sfiorarono il gol più volte con Zidane, ma i croati riuscirono a contrastare bene glia attacchi francesi. Nella seconda parte di gara fu Thuram il vero protagonista, inizialmente ai danni della propria squadra, quando non seguì i suoi compagni nella trappola del fuorigioco dando la possibilità a Šuker di presentarsi da solo davanti a Barthez per siglare l’uno a zero. Un momento storico quello, istanti nei quali tutti i croati presenti allo stadio e quelli a casa avranno sicuramente ripensato alla guerra conclusasi pochi anni prima, ai parenti persi per sempre e alle sofferenze di quegli anni. Per un minuto la Croazia fu in finale, ma il sogno dei bianco-rossi durò pochissimi secondi.
Ci pensò Thuram a pareggiare immediatamente i conti, approfittando dell’errore di Boban, che perse palla vicino alla propria area di rigore. Il difensore siglò anche la rete del sorpasso, una doppietta che permise alla Francia di raggiungere l’atto finale della competizione. La Croazia si consolò battendo l’Olanda nella finale per il terzo posto. Una medaglia di bronzo che ebbe un significato enorme per la squadra e per la popolazione. Il protagonista assoluto di quella spedizione fu Davor Šuker, che si laureò capocannoniere del torneo con sei gol davanti a Batistuta, Vieri e soprattutto davanti a Ronaldo, un fenomeno che dovette rimandare agli occhi del mondo l’appuntamento con la consacrazione.
L’irresistibile “calcistizzazione” che ha ormai contagiato tutti gli strati e i ceti sociali, si spiega con un'inconscia e primordiale "spinta comunitaria" che è uno dei fondamenti, probabilmente il più importante, della “nuova” politicità, trascendente le forme tradizionali legate ai partiti e ai movimenti, che si va affermando ovunque.
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