«Facciamolo per i nostri figli». È con queste parole che Gianni Infantino, novello Greta Thunberg, si è espresso sull’idea del mondiale ogni due anni – prima un’indiscrezione, poi una voce sempre più insistente, ora addirittura un ultimatum a UEFA e co. fissato per il 20 dicembre prossimo. Dopo aver lasciato la palla ad Arsene Wenger, promotore del cambiamento, è toccato al “nostro” Infantino dare la sterzata definitiva al progetto.
A meno che non si trovi un compromesso. Nelle ultime ore si è parlato infatti di un parallelo e altrettanto inquietante format per il calcio internazionale: il mondiale per club da disputarsi ogni anno non più tra squadre improponibili e la vincitrice della Champions, ma tra 24 squadre provenienti da tutto il mondo – di cui 12 dall’Europa. Un numero curioso, lo stesso delle iniziali aderenti al progetto Superlega.
Non mettiamoci dentro pure la cabala, però, che altrimenti non ne usciamo. Torniamo piuttosto alle ultime dichiarazioni di Infantino, rilasciate al termine del Consiglio Fifa per la riforma del calendario internazionale: «non si tratta di Fifa o Mondiale (lallero, ndr), ma dei nostri figli (sic!)». Sembra di rivedere – e risentire – Gerard Butler in Greenland. L’umanità è a rischio e un meteorite sta per abbattersi sulla terra. Salviamo i nostri figli, non pensiamo alla nostra pellaccia (qui ci sarebbe da aprire un breve paragrafo su La Pelle di Malaparte, ma lasciamo perdere certi riferimenti).
«Dobbiamo proiettarci al futuro, non proteggere il presente», continua Infantino mentre in sottofondo si alza un’epica colonna sonora. Ed è proprio qui, al culmine di un climax scritto e diretto da Quentin Infantino, che il presidente della FIFA dà il meglio di sé:
«Dobbiamo assicurarci che i nostri figli e i figli dei nostri figli (hai capito Gianni, ndr) continuino ad innamorarsi del gioco che tutti amiamo (sguardo sornione/ammiccante alla George Clooney nella celebre pubblicità del caffè)».
Insomma, un’interpretazione drammatica, sentita, da Marc’Aurelio d’Argento – visto che in questi giorni si sta svolgendo il Festival del Cinema di Roma. La giuria chiaramente siamo noi, poveri imbecilli che non sapremmo introdurre al pallone i nostri figli; non sapremmo trasmettergli il valore culturale e sociale, religioso persino, del calcio, né saremmo in grado di procurarci una sfera fatta di stracci o pezzi di scotch, di carta o polistirolo, per giocare con loro. Ma Infantino l’ha capito o no qual è il segreto del calcio?
Questa è una battaglia decisiva, signori. Usciamo dallo scherzo per un attimo e guardiamoci negli occhi: vi rendete conto chi sono i padroni di questo meraviglioso sport? Di cosa parla Infantino, quando dice di voler salvare il calcio per i suoi e per i nostri figli – e per i figli dei nostri figli? Quale strana spia gli si accende nel suo cervello per non capire che tutto questo rovina, anziché migliorare, la magia del pallone? Più più più. Sempre di più. Più competizioni, più partite, più nazioni, più stati, più stadi. La mucca è sempre più stanca e il latte sta finendo. Lo hanno fatto notare Maldini e Courtois di recente. Kroos di questi tempi, ma con un anno d’anticipo, già ci aveva visto lungo. Ha comunicato di lasciare la nazionale tedesca dopo l’Europeo e ci era sembrata la scelta di un calciatore viziato. Forse era semplicemente un grido d’allarme.