Sul ruolo della fortuna nel calcio - e non solo.
Quando il fendente di Zaccagni, come una rasoiata di Atropo, si insacca nella porta dietro Livakovic, il fruscio della sfera in rete è il rumore dei sogni croati che esalano l’ultimo respiro. La torcida azzura delira, fra imbarazzanti paragoni con Del Piero, virate a 180° di chi invoca pomodori e umiliazioni pubbliche per i Luciano Boys, editoriali penosamente modificati all’ultimo. La passione di popolo può finalmente esondare dagli animi fin lì prigionieri del terrore, mentre Spalletti vive la botta di adrenalina di chi vede il patibolo trasformarsi in un podio da cui lanciare bellicosi proclami, e si impermalosisce quando qualcuno, nella fattispecie lo spesso ottimo Condò, gli fa notare la timidezza degli Azzurri, i loro molteplici errori, le mancanze.
Uno show che il ct ha nel suo repertorio e che prosegue nella conferenza stampa ufficiale, un duello rusticano con i media che costringerà la dirigenza alle scuse. E mi immagino la scena del Lucianone Nazionale se qualcuno avesse osato fargli notare che il gol del salvifico pari era conseguenza della forza della disperazione unita a una discreta dote dello Stellone, volgarmente detto culo. Lungi dal citare Seneca e acculturare la pletora in ascolto dicendo che la fortuna non esiste, ma è il momento in cui il talento incontra l’opportunità, la tensione post match lo avrebbe probabilmente reso protagonista di una memorabile sbroccata che avrebbe rifornito di materiale per meme gli influencer per mesi.
Ma perché? Per quale motivo la stragrande maggioranza degli uomini di calcio tende a minimizzare i benefici influssi della Dea Bendata sulle sorti (è il caso di dirlo) della propria squadra di appartenenza?
E sì che il calcio è un regno della scaramanzia sul quale non tramonta mai il Sole. Pensate ai mitici calzini rossi di Costantino Rozzi, monarca assoluto e prodigo di quell’Ascoli ricordato con nostalgia dagli aficionados della Serie A anni 70/80: o al vulcanico Anconetani, che spargeva sale sul terreno dell’Arena Garibaldi del suo Pisa per allontanare il malocchio: o alle scenate del pirotecnico Oronzo Pugliese, ispiratore dell’amatissimo e indimenticato personaggio di Oronzo Canà con le sue stramberie scaramantiche.
Oppure al grandissimo Nils Liedholm, il Liddas che per primo portò le Notti Magiche all’Olimpico con la Roma di Di Bartolomei e Conti, di Falcao ottavo re di Roma e di Pruzzo Rey di Crocefieschi; un uomo colto, fuoriclasse in campo e in panchina, dall’aneddotica sterminata condita da una lieve tendenza all’iperbole, che per ponderare le proprie scelte si rivolgeva ad astrologhi, maghi e cartomanti. Ma ogni calciatore, chi più chi meno, ha i suoi piccoli riti ai quali si piega in nome del classico “non è vero, ma ci credo!” Perché rassegniamoci, la fortuna ha un ruolo preponderante nelle vittorie di una squadra, a volte anche più del talento: del resto se Napoleone prediligeva i generali fortunati a quelli bravi, un motivo ci dovrà pur essere . . .