La parabola misteriosa dell'allenatore che ha rimesso Barcelona sulla mappa del calcio.
Chi il talento lo possiede, spesso, ne gode senza la necessità di doverne usufruire a pieno, o almeno, tanto quanto gli occhi avidi e giudiziosi di noi spettatori sono abituati a richiedere. Nel caso del Rijkaard allenatore, potremmo dire che questo talento, una volta concepito e sviluppato in terra catalana, si è preferito metterlo in congelatore in un esercizio di narcisismo tra i più raffinati. La storia del Frank Rijkaard giocatore, del resto, la conosciamo tutti: campione indiscusso, bandiera di squadre come Milan, Ajax e la nazionale Olandese, giocatore capace di reinventare il ruolo di difensore e sollevare tutti i maggiori trofei per club che potessero essere vinti o quasi. La sua storia da allenatore, invece, è decisamente più curiosa, condita dal quel quid misterioso, che da dietro le quinte, senza la comprensione umana del fenomeno mediatico, diventa difficile da spiegare. Un po’ come sono sempre stati il suo gioco e il suo carattere, tanto semplici quanto inafferrabili, parte di un uomo pacato ed estroso al contempo, ma che lascia intravedere poco della sua personalità reale.
Frankie Rijkaard, protagonista da calciatore con il Milan di Sacchi e con la propria nazionale. Qui nell’unico trionfo della storia Oranje, in testa la Coppa Europea del 1988. (Photo by Bongarts/Getty Images)
La traiettoria da allenatore è cominciata sulla panchina dell’Olanda lungo la strada che avrebbe portato a Euro 2000. La squadra Orange era tra le favorite del torneo e proprio per questo, Rijkaard, aveva promesso pubblicamente le sue dimissioni qualora la squadra non fosse tornata a casa con la Coppa. Il proseguo della storia è ben noto a noi italiani, grazie all’ormai iconico “cucchiaio” di Totti ai danni di Van Der Sar e la successiva sconfitta degli olandesi per mano di Toldo sul decisivo rigore parato a Bosvelt. Presto fatto: le dimissioni arrivarono. Dopo un anno senza allenare, Rijkaard passò a dirigere il suo primo club – uno Sparta Rotterdam in necessità di restauro per risalire la china. Nonostante l’eliminazione in semifinale, l’Olanda di Euro 2000 aveva in effetti dimostrato un calcio credibile, dinamico ed offensivo, che aveva entusiasmato il proprio pubblico e la stampa. Ma le cose non andarono come previsto a Rotterdam e nel 2002, l’anno successivo, per la prima volta nella sua storia lo Sparta Rotterdam si trovava in seconda divisione olandese. L’ormai allenatore olandese decise di rimanere un altro anno senza allenare, poi all’improvviso, nel cielo nitido di agosto arriva un fulmine: la chiamata del Barcellona.
La prima panchina di Frankie, alla guida dell’Olanda a Euro 2000, da padrone di casa. (Photo by Lutz Bongarts/Bongarts/Getty Images)
Nell’intricato e delicatissimo gioco a sfondo politico che è il calcio moderno, è bene ricordare alcuni passaggi per capire il contesto in cui ci troviamo nell’estate del 2003. Il Barcellona di allora è una squadra in piena crisi che non vince nulla da quasi un lustro e la cui ultima gloria europea risale all’epoca Cruyff. A Barcellona è anno di elezioni per la nuova presidenza del Club, al ballottaggio: Lluis Bassat e Joan Laporta. Il secondo, poi vincitore, è spalleggiato da quella che a Barcellona e Amsterdam è considerata una sorta di costante presenza, così illustre quanto spesso scomoda: quella di Joan Cruyff. L’ex gloria milanista è una sorta di “protetto” di Johan Cruyff, dopo aver condiviso anni di relazione allenatore-giocatore e spesso essere stato indicato come l’erede di un certo spirito di gioco tutto cruyffiano. Lo stesso Cruyff pare essere stato infatti essere tra i mandatari del primo incarico in assoluto da allenatore per Rjikaard, quello alla guida degli oranje. Ma certamente, la vittoria di Laporta a Barcellona per Frank Rijkaard non diventò subito una notizia.
Johan Cruyff a Barcelona è stato e sempre sarà un riferimento costante. (Photo by Paul Gilham/Getty Images)
Laporta, per riportare in alto il Barcellona preferiva puntare su grandi nomi, ma ai rifiuti di Hiddink e Van Gaal, è proprio Cruyff a sbraitare a gran voce il nome di Rijkaard come nuova opzione per la panchina blaugrana. Dopo un inizio molto difficile, che a dicembre vedeva i catalani nella parte destra della classifica, la prima stagione si conclude con un secondo posto in campionato dietro al Real Madrid, quanto basta per assicurarsi un altro anno al sicuro a Barcellona. Nel frattempo, la squadra si rinforza, arrivano Deco, Eto’o, Giuly, si consacrano pietre miliari come Carles Puyol e Ronaldinho. E infatti, cominciano ad arrivare le vittorie: prima una Liga, poi un’altra Liga, le super coppe di Spagna e infine la tanto desiderata Champions League. Dal vivaio sono poi arrivati Xavi, Messi ed Iniesta, i primi due parte fissa della rotazione di Rijkaard. Dopo un ciclo vincente che a Barcellona non si viveva da più di un decennio, fatto di 2 campionati, due super coppe spagnole e una Champions League, il calo quasi fisiologico. Due anni senza vittorie, uno spogliatoio demotivato, i leader ormai attempati e fuori forma. Finalmente la necessità di un cambio di rotta dopo la tragica sconfitta 4-1 per mano degli acerrimi rivali del Real Madrid, proprio nell’ultima giornata di campionato del 2008. Da Barcellona e con un palmares invidiabile per un allenatore con meno di 10 anni alle spalle (1 semifinale europeo, 2 Liga, 2 Super Coppa di Spagna, 1 Champions League), l’anno successivo Frank Rijkaard decide, sorprendentemente, di prendere l’incarico del Galatasaray. Una considerevole campagna acquisti (Jo, Dos Santos, Elano, Keita, oltre a Rijkaard in panchina) non basta però a portare il Gala al trionfo, staccato a più di 10 lunghezze sia dal Fenerbache che dal Bursaspor campione. La stagione successiva, l’allenatore olandese dura 8 partite prima di essere sollevato dall’incarico.
Il delirio tra le strade di Barcelona nel 2006. Sotto la guida di Rijkaard arriva la seconda, tanto attesa, Champions in Catalogna. (Photo by Denis Doyle/Getty Images)
Nel frattempo, però la vita privata di Rijkaard prende dei risvolti che arrivano alla ribalta pubblica per via di una spigolosa storia d’amore che coinvolge la sua governante. Rijkaard nel 2009, lascia la seconda moglie, decide di stare con la governante di casa che diventerà poi la sua terza moglie. La storia fa discutere moltissimo in Olanda e solleva un polverone mediatico che arriva a destabilizzare in parte anche il professionista. Fedele alla sua missione, il calcio, ma con la volontà di restare lontano dai riflettori, decide così di accettare l’offerta dell’Arabia Saudita nel 2011, diventandone commissario tecnico per poco più di un anno. La sua avventura col mondo del calcio, non più da allenatore, proseguirà poi in Florida alla Monteverde Academy, realtà impegnata nello sviluppo di talenti e nella promozione del modello europeo nel calcio americano. Le chiamate da club e nazionali non tardano ad arrivare: Cina, Inghilterra la stessa Olanda. Ma il suo agente non si scomoda più neanche a tirare su la cornetta, tanto è chiara la decisione di Frank.
Un attempato Frankie Rijkaard durante la sua infruttuosa esperienza alla guida dell’Arabia Saudita. (Photo by Robert Cianflone/Getty Images)
E oggi? Dopo 4 anni in Florida, la decisione di ritirarsi a vita privata. E a parlarne è proprio lo stesso Rijkaard in una intervista uscita lo scorno anno in cui si definisce in maniera onesta un allenatore non proprio autentico, non ritrovandosi in quel ruolo cucitogli quasi addosso da Cruyff dopo il suo ritiro da giocatore:
“I did it from 1998 until four years ago, and if I’m honest with myself, I do not really see myself as an authentic trainer. So I’ve done something for about 16 years which is not directly a match for me. But I did it with made heart and soul, I worked hard, was always willing to see games and make video analysis”.
Succede di osservare per anni allenatori mediocri, senza arte né parte, senza idee di gioco o capacità spiccate di gestione dello spogliatoio, alternarsi sulle panchine dei campionati più importanti al mondo. Poi accade anche di assistere ai casi di meteore come Rijkaard, capaci di lasciare un segno profondo, come restituire la città di Barcellona ai palcoscenici più importanti della storia del calcio, per poi evaporare in una nuvola di anonimato.