Calcio
10 Maggio 2020

Ode al Dribbling

Il gesto tecnico che riassume la bellezza del calcio.

Se ci si attiene al fonema, alla sua fredda definizione, dovremmo rimandare il lettore a Treccani, che ne indica la sintesi più corretta: “dribblingdrìbliṅ› s. ingl. [der. di (to) dribble: v. dribblare], usato in ital. al masch. – Nel gioco del calcio, manovra individuale dell’atleta che consiste in leggeri tocchi del piede, dati rapidamente al pallone, per portarlo da destra a sinistra o viceversa, così da ingannare l’avversario e scartarlo velocemente.”

 

 

Ma, da appassionati del gioco, descrivere questo gesto con un semplice esercizio filologico sarebbe intellettualmente disonesto. Un affronto che nessun lettore dovrebbe essere tenuto a sopportare. In ogni competizione vincere è l’obiettivo ultimo, certo. Ma esistono dei piaceri che trascendono la vittoria, che si manifestano nel gesto tecnico, in un senso puramente estetico.

 

 

Uno di questi piaceri, per gli occhi e per il cuore, si chiama dribbling. Del resto, come si possono ridurre al mero pragmatismo i fiati sospesi per le giocate da circense di Ronaldinho, gli occhi di meraviglia dopo una ruleta di Zidane, gli applausi a scena aperta dopo uno slalom di Messi?

 

Ronaldinho dribbling
Il refolo d’aria, lo spostamento del corpo, quella sensazione di gioia: l’avversario è ormai superato (Photo by Michael Steele/Getty Images).

 

 

Il dribbling possiede implicitamente una componente di sberleffo agonistico, insinua nell’avversario il timore subconscio che possa accadere ancora, mette in allerta interi sistemi difensivi. È l’emozione che si manifesta nel vincere la propria battaglia, anche se si dovesse perdere poi la guerra.

 

 

Si può esultare fino a piangere per un gol brutto, fortuito, di carambola, ma vedere un centrocampista uscire dal pressing di cinque avversari con due finte di corpo resterà sempre il motivo per cui ci si è innamorati di questo sport. Un doppio passo, la finta di tiro, un elastico, chi ne ha più ne metta: fantasia al servizio della concretezza.

 

Denilson dribbling
Denilson è stato uno dei funamboli del gesto. Qui in semifinale contro la Turchia ai mondiali 2002, quando Scolari lo inserì a pochi minuti dalla fine per gestire il pallone e i suoi dribbling fumosi furono essenziali per far scorrere gli ultimi minuti di gara (Photo by Tim De Waele/Getty Images).

 

 

A livello tattico saltare l’uomo è, oggi come un tempo, fondamentale per creare quella che viene comunemente definita superiorità numerica. Ogni sforzo nell’uno contro uno dovrebbe essere rivolto alla creazione di un pericolo per la squadra avversaria. Questo, almeno, secondo gli allenatori. Perché il dribbling ha il potere di essere superfluo, vano, insensatamente rischioso. Si tratta semplicemente di affrontare l’uomo per il gusto di farlo; di superarlo, aspettarlo e puntarlo ancora, solo per il piacere sfidarlo nuovamente.

 

 

Nell’estetica del calcio moderno il ruolo del dribbling ha cambiato forma, perdendo molta della centralità che ha avuto in passato a favore di una sempre maggiore fisicità e di una tattica esasperata. Siamo passati dai “leggeri tocchi del piede, dati rapidamente al pallone per portarlo da destra a sinistra o viceversa” alle lunghe falcate di atleti che rasentano la perfezione fisica. Possiamo ad esempio dire di aver mai assistito a un dribbling per definizione da parte di un giocatore come Gareth Bale?

 

Dribbling roman
Oggi il dribbling è mutato, molto più muscolare. Sarà sempre più raro trovare giocatori in grado di emulare i dribbling incantati di Román, dove l’inganno gioca nella testa, nei piedi, nelle movenze. Non nei muscoli (Photo by Michael Steele/Getty Images).

 

 

Non fraintendiamoci: la predominanza fisica, di cui il calcio moderno è ormai saturo, è caratteristica da ammirare in ogni atleta. Ma non c’è corsa spalla a spalla o scatto da centometrista che potrà mai muovere le stesse corde emotive di un tocco di suola e di un difensore che capitola sulla finta di corpo per il cambio di direzione. Il dribbling è la sublimazione del gioco, un gesto che associa doti tecniche, atletiche, agonistiche. Controllo di palla, del proprio corpo, delle mosse dell’avversario. Riflessi, rapidità di gambe, fantasia.

 

 

Saremo sempre quelli che aspettavano le pubblicità sportive per imparare i nuovi numeri dai nostri idoli, per scoprire il nuovo colpo su cui perdere i pomeriggi, la nuova mossa da allenare. Saremo sempre quelli che da piccoli scartavano gli alberi e le piante in giardino, provavano a fare il tunnel alle sedie in salotto, se ne andavano in doppio passo tra i corridoi.

 

 

Chiamateci romantici ma continueremo ad innamorarci del superfluo, di chi nasconde il pallone, dei giocolieri, dei difensori che vanno al bar sulla finta di corpo, degli avversari che non riescono nemmeno a compiere fallo dopo aver ricevuto il tunnel; soprattutto in questi tempi brutti e veloci, in cui il risultato e il profitto la fanno da padroni. Perché il calcio e la vita vogliono anche l’estetica e, parafrasando Ernst Junger, sono gli animi volgari a diffidare della bellezza.

 

 

Ti potrebbe interessare

Aleppo è libera
Recensioni
Andrea Antonioli
04 Febbraio 2017

Aleppo è libera

https://www.youtube.com/watch?v=D2s-e9FDxQY&feature=share
Il calcio del futuro è con i confini
Editoriali
Andrea Antonioli
09 Luglio 2020

Il calcio del futuro è con i confini

Nulla è irreversibile, nemmeno la globalizzazione.
Le multiproprietà rischiano di uccidere il calcio
Calcio
Umberto De Marchi
15 Ottobre 2019

Le multiproprietà rischiano di uccidere il calcio

Come se non bastasse tutto il resto, il tema delle multiproprietà si sta imponendo nel calcio in modo sempre più problematico.
La Cina si è presa l’Africa, anche nel calcio
Calcio
Alessandro Previdi
15 Gennaio 2020

La Cina si è presa l’Africa, anche nel calcio

Un riassunto di come la Cina, attraverso la diplomazia degli stadi, ha colonizzato sportivamente l'Africa.
David Bowie e Andres Iniesta, gli illusionisti
Calcio
Annibale Gagliani
08 Gennaio 2021

David Bowie e Andres Iniesta, gli illusionisti

Riflessioni oniriche in onore di David Bowie, che avrebbe compiuto 74 anni.