Un'analisi sulla chiusura del programma televisivo più seguito al mondo.
The Grand Tour, programma automobilistico capitanato dal trio Clarkson-May-Hammond che da qualche anno si è reinventato nella piattaforma digitale Amazon Prime, ha segnato un passaggio epocale. È stato dismesso ufficialmente il format televisivo che per anni aveva rappresentato la serie più apprezzata (e piratata) del mondo, un vero e proprio manifesto culturale che più di qualunque altra cosa ha approfondito, amplificato e sviluppato la passione moderna per l’automobile: Top Gear.
Le lacrime dei presentatori alla fine dell’ultima puntata avevano sorpreso tutti, essendo loro ironici per vocazione e totalmente estranei al sentimentalismo (con l’eccezione straordinaria del prologo nella prima puntata su Amazon), ma anticipavano quel che sarebbe concretamente accaduto: The Grand Tour è diventato un programma di avventure e viaggi intorno al mondo slegato totalmente dalla focalizzazione automobilistica. La fine di un’era, una fine iniziata nel 2015 con il licenziamento di Jeremy Clarkson da parte della BBC.
Sembrano in bianco e nero i ricordi del tempo in cui centinaia di milioni tra appassionati, cultori, sognatori si potevano godere l’insindacabile verdetto del Cool Wall, bacheca in cui una Ferrari poteva essere marchiata come auto “assolutamente non figa” o una Fiat 500 piazzata all’apice in categoria “Subzero” perchè odiata dal più stravagante dei presentatori, Captain Slow James May.
Impossibile dimenticare le gesta folli di un mitologico personaggio senza volto come The Stig: quando dall’amorfo casco bianco uscì la testa di Michael Schumacher andò in onda uno dei frammenti più alti della televisione nel mondo. Così tra test di automobili, metafore geniali, idee illuminanti, interviste “ignoranti”, tecniche di montaggio video futuriste, una linea editoriale completamente libera dagli uffici stampa delle case costruttrici e enormi budget, prese forma quello che è diventato un capolavoro insuperabile di informazione giornalistica.
Quando Jeremy Clarkson venne licenziato dalla BBC, morì il trio originale non il programma, al quale tutt’oggi viene dato un seguito. Stupidamente però, i produttori pensarono che gli effetti speciali, il cazzeggiare più o meno simulato e le supercar stesse bastassero a fare la differenza per il successo del programma e che il trio fosse facilmente rimpiazzabile: un errore. Per non parlare del tentativo di esportare il prodotto Top Gear in Italia: nemmeno commentabile. Non a caso gli ascolti del programma originale nel Regno Unitocome nel resto del mondo non si sono più registrati.
Il giornalista di Doncaster ne ha parlato in questi termini:
“Tutti quelli che conosco sotto i 25 anni non sono minimamente interessati alle automobili. A loro viene insegnato a scuola, prima di dire ‘mamma o papà’, che le macchine sono cattive. Ce l’hanno proprio nella testa. Quanti di loro stanno crescendo con i poster di qualche bella macchina appesi in camera da letto? Per questo Greta Thunberg ha ucciso gli show dedicati al mondo dell’auto”.
La sofferenza è reale, ma se è vero che andare in giro a dire che moriremo tutti non risolverà un bel niente, ci si chiede chi ha ucciso l’essenza di questo programma, la passione autentica per la benzina bruciata, il pensiero libero e trasversale, politicamente scorrettissimo, che rappresentavano l’identità nonchè la fortuna commerciale di Top Gear e The Grand Tour.
Non è l’oggi, non è la Thunberg, figlia di questo passaggio culturale più che generazionale, e non è Amazon il colpevole (uno spirito corsaro pur diluito è rimasto nel semi-rinnovato format). Se il messaggio colpevolizzante della ragazzina con l’impermeabile giallo non è chiaro, è vero che questa è l’epoca in cui per diversi motivi è in crisi l’automobile stessa come concetto legato all’individuo libero di muoversi.
Siamo di fronte a un’evoluzione degli stili di vita. Dal 2015, quella di Top Gear è stata una morte lenta e soffocante, resa evidente con il licenziamento di Jeremy Clarkson da parte della BBC, frutto di un processo di delegittimazione ad opera del politically correct, quasi un gretismo ante-litteram che si è lentamente attuato.
Solo qualche sprovveduto potrebbe infatti credere alla favola che vuole una star come Clarkson, conduttore della serie TV più seguita al mondo, cacciata dalla più importante emittente britannica per aver preso a male parole il proprio produttore per una bistecca non cotta. Il tutto è reso ancora meno credibile proprio da ciò che lo stesso Clarkson ieri come oggi rappresenta: un uomo al vertice dei consensi del pubblico e degli ascolti della BBC malgrado accuse di xenofobia, sessismo e quant’altro.
Per fare qualche esempio: le auto fabbricate in Messico definite più inefficenti e “pigre”, la Romania “paese Borat, composto di zingari e playboy russi” oppure lo speciale in Argentina dove il trio inglese rischiò la vita girando per le strade locali con evidenti richiami alla guerra delle Falkland (ricordiamo l’auto targata H982 FKL). Senza dimenticare una perla che fece risentire il governo tedesco: «per definire un mini-van il più tedesco possibile, esso deve essere equipaggiato con a sat-nav that only goes to Poland» (un navigatore satellitare che porta solo in Polonia, in riferimento evidente alla campagna di Polonia).
Non si potevano più dire certe cose.
Il mainstream, attraverso la BBC, si è mangiato in tempi e modi insospettabili il trio più amato dagli appassionati di motori. Adesso c’è da chiedersi chi difenderà quello spazio dello spirito critico e dissidente che per anni Jeremy Clarkson, James May e Richard Hammond hanno rappresentato.