L'ultima parola di Leach, tra l'essere e il nulla.
Mentre Declan Rice, capitano del West Ham, sollevava nel cielo di Praga il trofeo della Conference League – il design della coppa è proprio da rivedere – il piombo e le tastiere hanno iniziato a raccontare senza sosta l’epopea dei vinaccia e blue. Quell’immaginario ha invaso carta stampata, giornali, teleschermi e pellicole. In ogni angolo d’Italia e d’Europa, in ogni gradinata o curva il West Ham è diventato, nel corso degli anni, l’amuleto per chi cerca l’essenza dello spirito ultras. La sostanza dei sogni formati da giovani esagitati e maneschi – no in questo caso nessuno legge Dostoevskij, ma neanche Chaucer – che hanno terrorizzato l’Inghilterra di Margaret Thatcher (e ora il suo ricordo terrorizza noi, i prodigi del capitalismo).
Londra è il cuore del mondo. La perfida Albione per decenni ha regalato mode, culture e sottoculture che hanno trovato la loro ramificazione tra le latitudini e le longitudini del globo. Chiunque abbia indossato una polo Lyle&Scott, una giacca Stone Island, un paio di Adidas Spezial ha cercato quel brivido lungo la schiena che le regole delle gradinate impongono. Quella volontà, persa tra la schiuma di un boccale, di imporre la legge del proprio gruppo. E mentre il West Ham saliva sul tetto d’Europa l’immagine di Carlton Leach diventava sempre più vivida, sempre più leggendaria.
Ma chi è Carlton Leach? Uno dei pesi massimi dell’hooliganismo britannico. Altaforte Edizioni lo ha portato in Italia e ha tagliato in due, non vi diremo come cosa, il mercato letterario italiano.
Hooligan. L’ultima parola (240 pp.; 20,00€), la traduzione dell’auto-produzione The final say (appena uscito è stato per due giorni il testo più venduto su Amazon in terra britannica), è la storia senza sconti di chi sconti non ne ha fatti a nessuno. Men che meno a sé stesso. Top boy direbbero con l’accento cockney, lo sottoscriviamo anche sotto la Madunina. Con le mani dure come pietre Carlton ha attraversato gli anni ’70, assieme al padre, ha conosciuto l’assoluto edonismo degli ’80, per poi proseguire nell’essenzialismo superficiale dei ’90. Su Twitter è una star dei furono 140 caratteri, tra nostalgia, perenne lotta al calcio moderno e vecchi ricordi. Incapaci di sbiadire.
«Non pensate che io sostenga che siamo sempre usciti vincitori!». Vero, sincero, reale. «Tutte le tifoserie hanno combattuto dure risse su e giù per il Paese, a voltesiamo stati sconfitti, mentre in altre ne siamo usciti vincitori, ma in entrambi i casi è stata una cosa fottutamente fantastica». Un’altalena dove tutto sale, tutto scende, tutto è vorticosamente veloce nell’eterna sfida della gioventù alla vita.
«Nemmeno in un milione di anni ho mai provato rimpianto! Gli spalti dove una volta vagavo mi hanno reso l’uomo che sono oggi».
Lo stadio come unità formativa, lo stadio come reggimento di anime erranti, lo stadio come libera forma metallica per uomini che cercano la battaglia metropolitana. «Non c’è dubbio nella mia mente: gli uomini con cui ho combattuto fianco a fianco e contro di loro, sono gli stessi uomini che vorresti se mai andassimo in Guerra». Eccoli, à la guerre comme à la guerre. Tribalismo tra mattoni e cemento che ha pervaso il pianeta trovando le sue forme di ribellione attorno a un rettangolo verde.
Carlton nel Regno Unito è una sorta di guru. Nel tempo si sono create queste leggende, provenienti da svariate tifoserie, che catechizzano il pallone dei tifosi. Trasferte, pullman, treni, auto, scontri e vitalismo. Tutti a questo punto del testo aspettano la comparsa dell’ICF e di Cass Pennant, ma Bill Gardner e soci sono sempre stati qui. Tra le righe di questo brano, tra gli assalti alla pubblica sicurezza a cavallo. Tra le celle puzzolenti di piscio, tra la voglia di emergere. Tra i quartieri di Londra, tra le violenze di bande contro bande.
Ecco cos’è l’hooligan. State cercando ancora un’emozione? Qualcosa che bruci la pelle come le nocche delle dita in pieno volto? Eccolo qui nelle pagine di Carlton Leach e nei suoi film. Il suo primo libro, Muscle, è divenuto anche una produzione cinematografia. Rise of the Footsoldier. I soldati del calcio. Anno 2007 con Ricci Harnett nei panni di Carlton Leach ed è tutto così culto, così maledettamente nichilista da trasformare questi uomini, questi muscoli, questi tendini nel sogno folle e lucido di Nietzsche misto al mito solipsistico stirneriano.
«Voi dite che la buona causa santifica persino la guerra? Ed io vi dico: la buona guerra santifica ogni causa».
Così parlò Zarathustra
Chi invece a Praga ci è nato, Franz Kafka, scrisse che un libro dev’essere come un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi. Ecco cos’è in poche assolute parole il testo di Carlton Leach. Un lancio di dadi nel buio dell’esistenza. Due volte sei o due volte uno. Lo scopriamo all’angolo della prossima via, mentre con il fiatone per le innumerevoli sigarette e una birra di troppo lanciamo l’ennesimo assalto ai sogni, oppure era soltanto la tifoseria rivale in una notte di sirene e polizia? Chi può dirlo, ah già Carlton Leach, l’hooligan che pone la parola fine alle inutili discussioni estive di calcio. Meglio combattere per un’idea, ma anche per il proprio club non è poi così male.